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mercoledì 18 luglio 2012

Santino Fois: morto per 'fatalità' coloniale

Santino Fois: morto per 'fatalità' coloniale
Mentre gli stanno perquisendo la casa alla ricerca di armi, un uomo di 64 anni viene colpito da un infarto. Invece di prestargli le cure necessarie i poliziotti continuano la perquisizione, e l'uomo muore. L'organizzazione sarda A Manca pro s’Indipendentzia lancia un'inchiesta.

La mattina del 6 luglio 2012 moriva a Nugoro Santino Fois. Lollovese, 64 anni, Santino non era impegnato in politica, non era appartenente alla nostra organizzazione, tuttavia è sempre stato un grande amico di molti compagni di a Manca e tante volte ha dato una mano all’organizzazione mettendosi a disposizione nella realizzazione delle iniziative. La sua morte, imprevedibile ed inaspettata, ha gettato tutti nello sconforto. Ma l’accaduto diventa, oltreché umanamente triste, anche politicamente inquietante. Santino è morto infatti a seguito di una perquisizione poliziesca nella sua abitazione. Provati dalla perdita del caro amico, ma determinati nel fare luce su una vicenda troppo sbrigativamente archiviata come “fatalità”, una apposita commissione della nostra organizzazione si è messa al lavoro per costruire delle indagini – le uniche finora svolte – che spieghino come sono andate realmente le cose quella maledetta mattina del 6 luglio.

Sin da subito gli elementi emersi dalla testimonianza delle pochissime persone presenti durante i suoi ultimi istanti si sono rivelati assolutamente inquietanti. Mano a mano che le indagini di A Manca vanno avanti – e non sono tuttavia ancora concluse – lo scenario sembra sempre più mostrare una pesante responsabilità delle Forze d’Occupazione Italiane nella morte di Santino.

Andiamo per ordine:

alle 7.30 circa si presentano a casa di Santino, dopo aver suonato a tutti i campanelli del palazzo, cinque poliziotti (due in divisa e tre in borghese) per eseguire una perquisizione alla ricerca di armi. Tra i cinque che operano in casa e gli otto (tra “catturandi” e scientifica) che stanno nel cortile davanti alla palazzina si contano 13 agenti, senza considerare gli altri due che seguivano l’operazione a distanza. Un po’ troppi forse, considerando che si trattava di un uomo di 64 anni, assolutamente non atletico e con una protesi al ginocchio, residente in una palazzina che ha una sola via d’uscita: quella presidiata da ben otto poliziotti. Appare dunque già nella stessa maniera di porsi, considerando il tipo di reato, la persona da perquisire e il dispiegamento di forze, un eccesso di zelo, se così si può dire. Eppure il capo della squadra mobile di Nugoro, Fabrizio Mustaro, in un’intervista alla stampa rilasciata l’indomani definiva questo vero e proprio assedio come «una normale perquisizione prevista dall’art. 41 Tulps. Una consueta attività preventiva alla ricerca di armi».

In casa inizia la perquisizione, con Santino e la moglie visibilmente agitati, e in assenza di un avvocato. La perquisizione va avanti senza alcun esito, e questo fa andare in escandescenze il poliziotto che coordina, il quale inizia ad urlare ai suoi sottoposti di cercare bene perché deve esserci qualcosa. Sostengono infatti di aver ricevuto una lettera anonima in cui vengono avvisati che la casa di Santino sia “piena di armi”. Invece di tranquillizzarsi perché ha davanti un cittadino che non ha commesso alcun reato, il dirigente si infuria e urla, avvisando con tono minaccioso che a breve sarebbero andati a cercare anche in altri luoghi di pertinenza di Santino, quali la cantina e la casa del fratello.

Nel frattempo Santino, certamente anche a causa del forte stress a cui è sottoposto, inizia a sentirsi male. Nella sua vita Santino ha scontato alcuni anni di carcere, accusato per un sequestro di persona che lui non ha mai commesso, e difatti era stato anche risarcito dallo Stato per l’ingiusta detenzione. Sapeva bene, quindi, che esiste la possibilità di essere incarcerati ingiustamente, e questa eventualità lo preoccupava molto, considerando anche le apprensioni che aveva nei confronti della moglie malata. Pur sapendo di non dover avere niente da temere dal punto di vista della consumazione di un reato, la sua agitazione era dunque ben motivata.

Gli agenti trascurano completamente le sue lamentele che dicono chiaramente di accusare un forte dolore nella parte sinistra del petto. Forse pensano che sia uno stratagemma dell’accusato per distrarli, ma la legge non li autorizza a supporre stratagemmi di fronte a chiari segnali di infarto. Difatti mentre Santino, pallido e sudato, continua ad accusare questi sintomi, anziché chiamare immediatamente un’ambulanza per farlo visitare, pensano bene di intimargli di scendere le scale e andare ad aprirgli la cantina.

Va detto, per inciso, che anche il più inesperto sa bene che è fondamentale, per salvare la vita a un infartuato, evitargli assolutamente qualsiasi movimento e fargli prestare immediatamente le cure. I poliziotti, che vengono preparati tramite corsi di preparazione medica a prestare le prime cure a un infartuato. Loro questo non lo sapevano forse. Decidono quindi, rabbiosi per l’esito negativo della perquisizione domiciliare, non solo di non prestare le cure dovute alla persona in pericolo di vita, ma per giunta di obbligarlo a scendere ben quattro rampe di scale!

Cosa sia successo nel tragitto che da casa sua, tramite le scale, porta alla cantina lo sanno solo i poliziotti. Sta di fatto che quando Santino è giunto davanti alla sua cantina si è accasciato al suolo, perdendo conoscenza. Solo a quel punto gli inquirenti hanno chiamato un’ambulanza, che peraltro è arrivata in pochissimi minuti vista la breve distanza dell’ospedale da casa di Santino. Ma a quel punto il tempo utile era ormai passato, e non certo per responsabilità dell’ambulanza. Mentre Santino moriva loro proseguivano ostinatamente la perquisizione nella sua cantina, alla disperata ricerca di armi. Alla fine la perquisizione ha dato esito negativo: nessun’arma è stata trovata.



Le indagini da parte nostra, come detto, proseguono per fare piena luce sulla vicenda. Nonostante la raccolta di tanti elementi, restano ancora tanti lati oscuri. Resta da capire, ad esempio, perché al Pronto Soccorso del San Francesco di Nugoro non conoscessero l’identità di un cadavere arrivato con un’ambulanza chiamata dalla polizia: infatti gli infermieri chiamavano col cellulare di Santino agli ultimi numeri registrati, chiedendo a chi rispondeva se sapesse chi fosse il proprietario di quel telefono, e chiedendo di andare lì per il riconoscimento del cadavere. Resta da capire, ad esempio, perché non sia stata fatta l’autopsia e chi e perché si sia opposto alla sua esecuzione. Chiunque si sia opposto e per qualsiasi motivo, rispettando le opinioni e i sentimenti dei parenti nel caso sia stato per decisione loro, ha a parer nostro commesso un errore. Da un’autopsia potrebbero emergere chiaramente ulteriori responsabilità da parte dei membri delle Forze d’Occupazione, dato che si potrebbe vedere chiaramente che Santino ha effettuato degli sforzi mentre era sotto infarto, dimostrando quindi la pesante responsabilità dei poliziotti nella sua morte.
Da parte nostra, spingeremo affinché la vicenda non venga coperta dall’impunità del silenzio, anche a costo di far chiedere una riesumazione della salma per verificare questi gravi indizi a carico delle Forze d’Occupazione.

Siamo convinti che Santino Fois non sia morto, come qualcuno molto comodamente voleva far credere, per fatalità.

Chiediamo a tutti presenza, sostegno e partecipazione, affinché questa ennesima storia di soprusi non cada – come tante altre, purtroppo – nel silenzio e nell’impunità.
 
A Manca pro s’Indipendentzia
Santino Fois: morto per 'fatalità' coloniale:

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