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martedì 18 dicembre 2012

Just about my fingers Official Trailer



un documentario di PAOLO MARTINO montaggio MATTEO CUSATO immagini DARIO CESTARO suono NICOLA TURRIZIANI musiche FABIO GRANDE, KALIBE' assistente FRANCESCO VECCHIO supervisione GIULIO CANTAGALLO traduzioni GIULIA COVARINO, BEATRICE ANDRE

A lungo "sorella minore" delle rotte migratorie nordafricane, la Grecia è oggi il principale punto di accesso all'Unione europea per rifugiati e richiedenti asilo diretti in Europa.

Migliaia di viaggiatori clandestini vivono ad Atene, Patrasso e Igoumenitsa in attesa di attraversare l'Adriatico nascosti in un rimorchio o a bordo di un gommone. Anche su chi riesce a raggiungere le coste italiane incombe però una inquietante minaccia: è il Regolamento di Dublino, la norma europea che permette di trasferire i richiedenti asilo nuovamente in Grecia.

Just About my Fingers racconta la vita dei "ragazzi delle reti", giovani costretti a spendere i loro migliori anni a caccia del sogno chiamato "Europa".

sabato 15 dicembre 2012

venerdì 14 dicembre 2012

PERDRE UN ULL / PERDER UN OJO




Ester Quintana, 42 anni, ha perso un occhio dall’impatto di un proiettile sparato dalla Mossos d’Esquadra (la polizia anti-sommossa Catalana) durante lo sciopero generale del 14 Novembre nella città di Barcellona. La sua versione contraddice frontalmente le dichiarazioni del ministro per gli Affari Interni Catalano, Felip Puig.
Il vostro contributo è molto importante per Ester: Se siete stati nella zona di Passeig de Gràcia tra la Gran Via e da Plaza Catalunya (calle Casp) il 14 novembre dalle 20.30 alle 21.00 circa (ora locale), o avete visto qualcosa di rilevante per il caso da una finestra o dal balcone di un appartamento, siete pregati di contattare Ester, i suoi parenti e gli amici immediatamente a:animsester@gmail.com

euronews science - Cura della leucemia con le cellule T



http://it.euronews.com/ I medici hanno prelevato le cellule dello stesso sistema immunitario di una bambina malata di Philadelphia (USA). Hanno inserito un nuovo gene in queste cellule che rimmesse nel corpo della piccola sono diventate anticancerogene. Opportunamente addestrate le cellule T aggrediscono il cancro anche se l'effetto indesiderato è la depressione del sistema immunitario. La bambina è comunque guarita.

giovedì 13 dicembre 2012

Israeli soldiers shooting at farmers in Khuza´a, Gaza Strip. 12/12/2012



Palestinians farmers and international activists get shot with live ammunition and tear gas while working inside the so-called "buffer zone" in Khuza´a, Gaza Strip; on December 12th 2012.

mercoledì 12 dicembre 2012

Michigan State Police Pepper Spraying Michigan Protesters



This isn't Michigan democracy! What began as a model of American values of free speech and free assembly deteriorated as mounted Michigan State Police began using pepperspray against protesters in Lansing.

Send a message urging Gov. Snyder to veto legislation that hurts Michigan women, workers, and families at http://ow.ly/g0peq

Piazza Fontana, 12 dicembre `69, Strage fascista Strage di Stato




È di nuovo 12 dicembre, una data che a Milano pesa, o meglio dovrebbe pesare, anche 43 anni dopo. Già, perché quella bomba che nel 1969 devastò la Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana e rubò la vita a 17 persone, alle quali si sarebbe aggiunto tre giorni più tardi l’anarchico Giuseppe Pinelli, fatto precipitare da una finestra della Questura, non fu soltanto un infame delitto, ma anche un atto costituente e rappresentativo di un’intera periodo e, soprattutto, di una precisa modalità scelta dal potere costituito, o da parti fondamentali di esso, per tentare di ostacolare ed impedire il cambiamento sociale e politico, reclamato allora da uno straordinario movimento di studenti ed operai.
Non è un caso, infatti, che la vera matrice della strage, nonostante i depistaggi ufficiali, fosse evidente da subito e in quanto tale denunciata dal movimento: fu strage di Stato e fascista. E non è nemmeno un caso che ancora oggi manchino una verità ufficiale, dei colpevoli da punire e quindi anche degli atti degni di essere chiamati giustizia, sia per la strage di Piazza Fontana, o per quella di Piazza della Loggia di Brescia, che per l’intera stagione della strategia della tensione.
Basterebbe questo, in fondo, per spingerci a vivere il 12 dicembre come un anniversario “pesante”, come un’occasione di mobilitazione o, almeno, di indignazione. Sì, lo so, ora qualcuno dirà che dopo tanti anni continuare a chiedere verità e giustizia è tempo perso, che tanto hanno insabbiato e depistato tutto, che ormai i protagonisti sono molto anziani o già morti e che in fondo possiamo accontentarci della cosiddetta verità storica, che riconosce che la mano era fascista e che la mente si trovava in qualche pezzo dello Stato.
Ebbene, io non sono d’accordo, perché ragionamenti di questo tipo sanno un po’ troppo di rassegnazione, di accettazione dell’inaccettabile, cioè che l’omertà di Stato vale più della vita dei cittadini. E non sono d’accordo perché sono ragionamenti ingenui, poiché ignorano, o fingono di ignorare, che le verità storiche hanno bisogno di cura e di memoria attiva per poter vivere o semplicemente sopravvivere. E questo vale in particolare per la verità storica sulle stragi, che a un certo punto è senz’altro diventata memoria culturalmente egemone, ma mai è stata memoria condivisa e, anzi, in questi ultimi tempi inizia persino ad essere messa in discussione.
Certo, non siamo di fronte a una contestazione radicale e non parliamo neanche di coloro i quali da sempre hanno osteggiato da destra questa verità storica, ma ci riferiamo piuttosto ad un lavorio che toglie un pezzo di qui e ne aggiunge un altro di là, che insinua dubbi, che si fa forte dei tanti anni passati e della voglia di chiudere una vicenda durata fin troppo e di produrre riappacificazione.
Hanno iniziato con il 40° anniversario della strage, che come tutti i numeri belli tondi aveva una notevole forza di suggestione, e hanno usato lo stesso ricevimento al Quirinale di Licia Pinelli, la vedova di Giuseppe, da parte del Presidente della Repubblica, per dire che ormai tutto era a posto, che si poteva chiudere anche l’ultima pratica rimasta aperta. Dopo quella sorta di teoria del pareggio tra Pinelli e Calabresi, sono poi arrivate una produzione cinematografica e qualche nuovo libro “d’inchiesta”, che con indubbia presunzione e con rigore alquanto discutibile, appunto, tolgono un pezzo di qui e ne aggiungono un altro di là. Alla fine, comunque, la memoria risulta modificata e la “verità storica” inizia ad essere riscritta.
Ecco, dunque, un secondo motivo per non lasciar passare sotto silenzio il 12 dicembre, cioè per non permettere a nessuno di riscrivere la verità storica, dopo aver negato quella giudiziaria.
Infine, c’è anche un terzo motivo. Disperdere la nostra memoria, far riscrivere le verità storiche e far trionfare l’oblio non produce riappacificazione e convivenza, ma soltanto nuovi mostri e nuovi violenze. Viviamo in un tempo di crisi, non solo economica, ma anche sociale, politica e culturale, e in molte parti dell’Europa si riaffacciano, a volte prepotentemente, movimenti di ispirazione fascista o addirittura nazista, portatori di ideologie violente, autoritarie, antisemite, razziste. Dimenticare ciò che erano queste forze nel nostro paese, non solo nel Ventennio, ma anche negli anni delle stragi, quando misero a disposizione del potere costituito la loro manovalanza assassina per tentare di spezzare ogni speranza di cambiamento, significa privarci degli anticorpi necessari per poter far fronte alle sfide di oggi.
Non è certo nelle nostre intenzioni fare paragoni fuori luogo. L’accoltellamento dell’attivista antifascista del 2 dicembre scorso è vicenda ben diversa dalla strage di Piazza Fontana e il rapporto di complicità e cooperazione tra apparati di Stato e gruppi neofascisti nella strategia della tensione è altra cosa rispetto alla concessione di sedi politiche e di reclutamento a gruppi militanti neofascisti. Tuttavia, sarebbe imperdonabile e irresponsabile sottovalutare la situazione, non cogliere i segnali che ci sono nel nostro paese e anche nella nostra città. E sarebbe peggio ancora non intervenire per stroncare subito ogni elemento di complicità tra istituzioni e gruppi nazifascisti, a partire da quella vergogna della concessione di uno spazio nelle case popolari di viale Brianza ad opera dell’Aler (vedi anche Appello per chiudere le sedi nazifasciste a Milano).
Eccovi dunque tanti motivi validi per dare questo 12 dicembre un contributo perché non si dimentichi, non si consideri accettabile l’impunità per gli stragisti, non si permetta a nessuno di riscrivere la storia e, infine, non si consenta alcuna complicità istituzionale con i gruppi nazifascisti e razzisti.
A Milano il 12 dicembre 1969, 17 morti e 89 feriti:
1. Giovanni ARNOLDI, anni 42
2. Giulio CHINA, anni 57
3. Eugenio CORSINI
4. Pietro DENDENA, anni 45
5. Carlo GAIANI, anni 37
6. Calogero GALATIOTO, anni 37
7. Carlo GARAVAGLIA, anni 71
8. Paolo GERLI, anni 45
9. Luigi MELONI, anni 57
10. Vittorio MOCCHI
11. Gerolamo PAPETTI, anni 78
12. Mario PASI, anni 48
13. Carlo PEREGO, anni 74
14. Oreste SANGALLI, anni 49
15. Angelo SCAGLIA, anni 61
16. Carlo SILVA, anni 71
17. Attilio VALÈ, anni 52
Questi sono gli appuntamenti milanesi in occasione del 43° anniversario della Strage di Piazza Fontana, dei quali vi segnalo in particolare il corteo di sabato 15 dicembre.
Mercoledì 12 dicembre:
ore 9.30, L.go Cairoli, corteo studentesco
ore 16.15 in poi, Piazza Fontana, commemorazione ufficiale e posa corone. Unici interventi previsti quelli dei familiari delle vittime di piazza Fontana, della Camera del Lavoro e dell’ANPI.
Sabato 15 dicembre:
ore 15.00, P.ta Venezia, corteo cittadino con arrivo in p.zza Fontana, organizzato da Memoria Antifascista, Adesso Basta, Amici e Compagni di Luca Rossi, Associazione Amici e Familiari di Fausto e Iaio, Associazione Culturale Antifascista Dax 16 Marzo 2003, Associazione Culturale Punto Rosso, Associazione di Amicizia Italia Cuba, Associazione Per Non Dimenticare Varalli e Zibecchi, Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa, Comitato Antifascista Zona 6, Comitato Antifascista Zona 8, Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre, Partigiani in Ogni Quartiere, Teatro della Cooperativa, Zona 3 per la Costituzione

12 dicembre 1970 viene ucciso Saverio Saltarelli





Milano, 12 dicembre 1970. Quel pomeriggio nel centro di Milano erano in programma quattro manifestazioni. La prima, da via Conservatorio a piazza del Duomo, era stata indetta dall'Anpi (Associazione nazionale partigiani d'Italia) per protestare contro le condanne a morte inflitte ad alcuni militanti baschi dal regime franchista al termine di un processo svoltosi a Burgos in Spagna. La seconda era un presidio antifascista promosso dal Movimento studentesco nella zona circostante all'università Statale di via Festa del Perdono. La terza, un comizio in piazza del Duomo organizzato dai circoli anarchici in occasione del primo anniversario della strage di piazza Fontana e della morte di Giuseppe Pinelli, ucciso innocente nei locali della questura di Milano. La quarta, un'adunata in piazza San Carlo dei gruppi del neofascismo cittadino legati al Msi.
Di queste quattro iniziative le ultime due erano state vietate dal questore per "motivi d'ordine pubblico.
Al termine del comizio gli anarchici danno vita a un corteo che viene caricato alle spalle dalla polizia agli ordini del vicequestore Vittoria e sospinto verso l’Università Statale presidiata dal Movimento Studentesco. Nel frattempo alcuni squadristi lanciano molotov contro la sede dell’associazione Italia-Cina e da piazza San Babila numerosi fascisti si muovono verso la Statale. Proseguono le cariche. Gli studenti difendono la loro postazione mentre la polizia cerca di rompere i cordoni di protezione.
Nel corso degli scontri in Via Larga lo studente Saverio Saltarelli, di 23 anni, viene ucciso da un candelotto lacrimogeno sparato ad altezza d'uomo; quel giorno infatti, il tiro a segno venne praticato largamente sia dalla PS che dai carabinieri e ciò è testimoniato da numerose persone e da documenti fotografici. Il pubblicista Giuseppe Carpi riporta ferite da armi da fuoco.
Le prime versioni ufficiali sulla morte di Saltarelli parlarono di “malore” e poi di “collasso cardiocircolatorio”. Dopo l’autopsia, di fronte all’evidenza dei fatti, si ammise che il cuore di Saltarelli fu spaccato da un “artificio lacrimogeno”.
L’inchiesta fu caratterizzata dall’”ostruzionismo continuo e il sottile bizantinismo fondato su manipolazioni procedurali” da parte di organi giudiziari e di polizia – come si legge nell’ordinanza istruttoria – ma grazie all’impegno del movimento, insieme ad avvocati e giornalisti democratici, si chiuse con l’emissione di sei avvisi di reato.
Nel 1976 il capitano di PS Alberto Antonetto, comandante del reparto da cui partì il candelotto mortale, fu condannato per omicidio colposo a 9 mesi con la concessione delle attenuanti generiche, la sospensione condizionale e la non menzione. Il capitano dei carabinieri Antonio Chirivì (oggi comandante dei Vigili Urbani di Milano) e un sottufficiale furono indiziati di reato per il ferimento del pubblicista.
Poco piu’ di un anno prima, il 27 ottobre 1969, a Pisa in circostanze analoghe aveva trovato la morte lo studente Cesare Pardini. In seguito ad una manifestazione antifascista contro il regime dei colonnelli greci, gruppi sparsi di squadristi aggrediscono a più riprese cittadini antifascisti isolati senza che la polizia intervenga. Quest'ultima si fa viva solo quando la popolazione, sindaco in testa, decide di protestare energicamente. Le forze dell'ordine attaccano un corteo di alcune migliaia di giovani che si dirigono verso il quartiere di S.Martino. Nel corso degli scontri, che durano fino a notte, lo studente universitario Cesare Pardini, di 22 anni, viene ucciso da un candelotto lacrimogeno sparatogli contro dalla polizia.

11 Dicembre 1974: Zunno Minotti


L'11 dicembre 1974 è il giorno in cui muore Zunno Minotti. A ucciderlo furono le botte che subì dalle forze dell'ordine nel corso delle cariche ordinate per disperdere il corteo a cui Minotti stava partecipando.
Quel giorno era in programma a Roma una manifestazione nazionale un po' particolare, quella degli invalidi di guerra, che intendevano sfilare per le vie della capitale per protestare contro le miserabili condizioni in cui erano costretti a vivere. Di quella giornata di lotta, di quell'omicidio poliziesco, è oggi quasi impossibile trovare traccia. Qui riportiamo il pochissimo che abbiamo trovato in rete, con la speranza che in futuro qualcuno riesca a recuperare del materiale sulla vicenda, in modo che il nome di Zunno Minotti venga conosciuto e ricordato al pari delle tante altre vittime della repressione di piazza. 

Roma. La polizia carica gli invalidi di guerra convenuti da tutta Italia per una manifestazione di protesta contro le ignobili condizioni in cui si trovano. Quindici invalidi vengono ricoverati all’ospedale S Giovanni . Uno di essi, Zunno Minotti di 63 anni, muore in seguito alla violenza subita. Su uno dei cartelli di denuncia c’era scritto: “Signori del Governo, scusate se non siamo ancora morti”





11 Dicembre 1974: Zunno Minotti:

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martedì 11 dicembre 2012

Il pestaggio di Michele Ferrulli raccontato dalla figlia Domenica




Michele Ferrulli, 51 anni, il 30 giugno 2011 subisce un fermo di polizia sotto la sua abitazione, in via Varsavia a Milano. Ferrulli si trovava in compagnia di due amici; e insieme ascoltavano la musica che usciva dallo stereo del loro furgone, chiacchieravano e bevevano birra.
Erano le 21.30 di una calda serata estiva. I poliziotti intervengono chiamati da qualcuno infastidito dal suono dello stereo e, secondo quanto riferiscono alcuni testimoni, Ferrulli risponde pacatamente alle domande degli agenti e fornisce loro i documenti. In pochi attimi, per ragioni non chiarite, tutto precipita. Michele Ferrulli viene immobilizzato, ammanettato e buttato a terra. I video acquisiti dalla Procura mostrano come Ferrulli, inerme, sia stato colpito più volte con calci e pugni.
La documentazione videoregistrata acquisita agli atti riguarda tre differenti riprese, disponibili da oggi sul sito Unita.it. La prima di queste è stata effettuata dalla telecamera esterna a una farmacia: nella scena si vede Ferrulli accanto al furgone, che parla e ride con gli amici e con uno di loro, poco dopo, accennerà qualche passo di danza. All’arrivo dei poliziotti la situazione sembra essere tranquilla, Ferrulli si avvicina a un cestino per buttare la bottiglia di birra e parla con gli agenti. Uno di questi, negli attimi successivi, dà uno schiaffo a Ferrulli senza che dal video se ne capisca il motivo.
Poi si vede l’arrivo di una seconda auto pattuglia dalla quale scendono altri due agenti e, poco dopo, tutti gli uomini scompaiono dall’inquadratura. Gli altri due video sono stati girati con dei telefoni cellulari e mostrano la scena successiva, quella delle percosse subite da Michele Ferrulli. Il primo filmato è ripreso dall’alto di un palazzo, e la scena appare poco distinguibile, mentre il secondo è girato dall’interno di una macchina parcheggiata in prossimità del luogo dove è in corso il fermo. Questo è di sicuro il documento più interessante. L’autrice del video è nell’abitacolo con un’altra donna e insieme commentano ciò che vedono.
Le loro parole, tradotte in italiano dal romeno, sono queste: «l’hanno preso per i capelli, non vuole dargli il braccio», «hai visto che cazzotto in bocca?», «guarda come lo picchiano, prima le manette e poi lo hanno massacrato», «ma non gli spezzano i reni? vedi? poverino!», «è morto!», «è morto dici?», «non vedi ha la faccia nera non si muove più». Flebili, e quasi indistinguibili, si sentono le invocazioni di Ferrulli: «aiuto, aiuto, basta». Michele Ferrulli muore per arresto cardiaco sull’asfalto, ancora con le manette ai polsi.
Il fascicolo aperto per la sua morte ha rischiato di essere archiviato ma l’acquisizione dei video ha fatto ripartire le indagini. Il giudice per l’udienza preliminare ha rinviato a giudizio i quattro poliziotti, riqualificando il reato da cooperazione in omicidio colposo a omicidio preterintenzionale. E il Gip così scrive nel decreto che dispone il giudizio: gli agenti hanno agito con «negligenza, imprudenza e imperizia, consistente nell’ingaggiare una colluttazione eccedendo i limiti del legittimo intervento, percuotendo ripetutamente la persona offesa in diverse parti del corpo, pur essendo in evidente superiorità numerica».
Si tratta di una decisione estremamente importante. In vicende simili, quando cioè non sono presenti ferite mortali agli organi vitali, difficilmente viene riconosciuto il nesso di causalità tra l’intervento, violento come in questo caso, degli agenti e la morte del fermato. Questa volta, invece, il processo partirà dall’ipotesi che gli agenti coinvolti abbiano agito in maniera gravemente sproporzionata e che il loro intervento abbia concorso in maniera diretta a provocare la morte di Ferrulli. La prima udienza si è tenuta il 4 dicembre e a partire dal 23 aprile 2013 saranno ascoltati i testimoni. Nel frattempo il giudice deciderà se ammettere le telecamere all’interno dell’aula, com’è stato chiesto dalla figlia e dalla moglie di Ferrulli.

giovedì 6 dicembre 2012

Icaro Tv. Il corteo contro la riforma Fornero (live)


Le immagini del corteo contro la riforma Fornero promosso a Rimini dal Collettivo Studentesco e dalle associazioni Rumori Sinistri e Schiavi in Riviera. Dall'Arco d'Augusto il corteo, dopo avere causato qualche disagio al traffico, ha raggiunto la sede dell'Inps. Qui, dopo la mediazione delle forze dell'ordine, una delegazione ha incontrato il direttore provinciale al quale è stato consegnato un documento sugli effetti dalla Mini Aspi.

4100 BAMBINI MUOIONO OGNI GIORNO: CRISI MONDIALE D'ACQUA - IxR

panni sporchi studenti italia



Il diritto allo studio, il ddl Aprea, il futuro dell'Italia e delle nuove generazioni, la politica e le proteste. Reportage per L'Espresso di Duccio Giordano

mercoledì 28 novembre 2012

Il 28 novembre 1977 BENEDETTO PETRONE




Il 28 novembre 1977 a Bari viene ucciso a coltellate Benedetto Petrone. Aveva 18 anni, faceva l’operaio ed era comunista (iscritto alla Fgci).
La sera del 28 una nutrita squadra di fascisti esce dalla sede Passaquindici del Msi, con in mano mazze ed in tasca alcuni coltelli.
L’agguato è premeditato: si dirigono verso Bari Vecchia con l’obiettivo di colpire alcuni capi del movimento studentesco. Il gruppo viene però avvistato da una ragazza che corre al bar del borgo vecchio dove si trovano i compagni. I fascisti tentano di avvicinarsi al locale ma vengono immediatamente messi in fuga per i vicoli della città.
Arrivati nella piazza della prefettura, nel pieno centro cittadino, i fascisti vedono tre ragazzi, tra cui c’è Benedetto Petrone. I tre ragazzi cercano di scappare, ma Petrone è più lento per colpa di una malattia che lo affligge che comporta problemi di deambulazione. L’amico torna indietro ma i fascisti ormai gli sono addosso. Benedetto Petrone viene colpito con mazze e coltelli. Sarà una coltellata ad ucciderlo. L’amico, Franco Intranò, viene ferito al torace.
Il 30 ottobre un corteo attraversa le strade di Bari. Più di 30’000 persone scendono in piazza per opporso alla violenza fascista e gridare che “Benny vive!”.
Davanti alla Prefettura, che è il luogo dove il ragazzo era stato ucciso, vengono fatte alcune barricate, rovesciando delle macchine parcheggiate. Le barricate permettono ai manifestanti di salire al primo piano della Cisnal e devastarla. Stessa fine farà poi la sede dell’Msi: i manifestanti entrano all’interno della sede da dove erano partiti i fascisti che viene distrutta e bruciata.
La verità processuale individuò un solo colpevole: solo un missino fu condannato per l’omicidio, nonostante furono in più di trenta a partecipare all’agguato. Il tentativo fu di far passare il tutto come una rissa tra teste calde di opposti estremismi.
Il coltello che colpì Benedetto Petrone fu ritrovato in una stanza della sede del Movimento Sociale Italiano, che divenne poi il quartiere generale di An ed oggi è motivo di contesa tra Pdl e Fli.

martedì 27 novembre 2012

Patteggiano i carabinieri che torturavano gli immigrati - Affaritaliani.it


Patteggiano i carabinieri che torturavano gli immigrati

Martedì, 27 novembre 2012 - 10:14:00
Gettavano stranieri nel fiume gelato, torturandoli. In un caso una persona è morta. I carabinieri li chiamavano “trattamenti particolari per rinfrescare le idee”, ma erano vere e proprie forme di tortura. Accusati di abuso di potere Tre carabinieri hanno patteggiato la pena, mentre un quarto andrà a processo.
Si tratta del maresciallo capo Claudio Segata, 45enne originario di Bolzano, (sconterà 2 anni); il carabiniere Giovanni Viola, 32enne di Avola (un anno e 10 mesi); l’appuntato scelto Daniele Berton, 45enne di Legnago in provincia di Verona ( dovrà pagare 300 euro di multa). Sarà processato invece l’appuntato scelto Angelo Canazza, 43enne di Monselice, accusato di aver omesso denuncia all’autorità giudiziaria.
L’inchiesta era iniziata nel 2011 dopo il ritrovamento del cadavere del 24enne Abderrahman Salhi, un marocchino senza fissa dimora. Una morte sospetta che aveva fatto emergere le pratiche alle quali i carabinieri costringevano presunti molestatori.
Si trattava di trattamenti a base di acqua gelata. Un abuso di potere secondo l’accusa che, come spiega il Mattino di Padova, non era “waterboarding” – l’annegamento controllato di Guantanamo ma non era certo una pratica legale. E forse la storia non sarebbe venuta fuori se uno dei torturati non fosse morto.
I carabinieri Segata e a Viola, che hanno patteggiato la pena, erano chiamati a rispondere di sequestro di persona e di violenza privata continuata con l’aggravante di aver commesso i fatti nella veste di pubblici ufficiali con abuso dei poteri e in violazione dei doveri inerenti a una funzione pubblica.
L’ultima volta in cui era stato vista in giro la vittima del “trattamento”, era stato a una festa di Paese. L’uomo era stato accusato di molestare alcuni passanti, perché ubriaco. I carabinieri l’avevano caricato in auto. In base alle ricostruzioni dei pm, il giovane sarebbe rimasto vittima di un un bagno freddo. Fatale per il giovane immigrato che, ubriaco e privo di forze, è annegato.

Patteggiano i carabinieri che torturavano gli immigrati - Affaritaliani.it:

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lunedì 26 novembre 2012

Cosa significa essere bambini a Gaza



Parleremo delle condizioni di vita dei bambini a Gaza dopo l'annoso conflitto israelo - palestinese. Secondo i dati dell'Unicef, al momento sono 22 i bambini uccisi e 277 quelli feriti durante gli attacchi aerei. Ma il numero delle vittime e' destinato ad aumentare visto i presupposti. In studio con Josephine Alessio, Filippo Ungaro, responsabile della comunicazione Save the Children e Cecilia Gentile, giornalista de "La Repubblica" che ha scritto un libro intitolato "Bambini all'inferno".

giovedì 22 novembre 2012

Risorge il Movimento degli studenti Nuova coscienza di massa e una stup...

22 Novembre 1975 Piero Bruno ha sempre 17 anni | O capitano! Mio capitano!…



Piero Bruno
















La sera di sabato 22 novembre del 1975 si svolge a Roma, con un’ampia convergenza di forze democratiche, una manifestazione a sostegno della lotta del popolo angolano. Il corteo si snoda per Via Labicana quando, all’altezza dell’Ambasciata dello Zaire, un gruppo di manifestanti, una decina, si stacca. L’intenzione è quella di una protesta dimostrativa contro un paese che partecipa all’aggressione imperialista in Angola, responsabile di continui massacri di quella popolazione.
Appena il gruppo si affaccia, dall’imbocco di Via Muratori, in largo Mecenate, si sente gridare: “eccoli!”.
“Eccoli!” è un’esclamazione che lascia pochi dubbi sullo stato d’animo di chi la grida. Nessuna sorpresa: “ecco sta arrivando chi stiamo aspettando”. Da parte dei compagni la sensazione è quella della trappola; vengono lanciate un paio di molotov, distanti da dove sono posizionate le forze dell’ordine, l’intenzione è di coprirsi la fuga, di sparire al più presto. In una frazione di secondo inizia la fuga e l’inizio di un vero e proprio tiro al bersaglio da parte di chi vedeva le spalle del proprio “nemico”.
Le forze dell’ordine sparano, i giovani scappano.
Tre bersagli, nonostante siano “bersagli mobili”, sono colpiti: uno al “centro”, crolla sull’asfalto, colpito alla schiena; altri due di “lato”, sono colpiti alla testa, ma riescono a continuare la fuga.
Chi giace sull’asfalto urla. Chi è più vicino a lui si ferma: prova ad alzarlo, non ci riesce, chi è a terra non sente più le gambe. Chi soccorre tenta di trascinarlo via da quell’inferno. Verso quel pericoloso gruppo, formato da un giovane di diciotto anni disteso per terra e da un altro giovane che, disperato, prova a salvarlo, vengono sparati altri colpi di pistola. Due raggiungono quei bersagli, diversi dai precedenti, questi sono: “bersagli immobili”. Chi è a terra viene colpito di nuovo su una gamba, chi osava soccorrere viene colpito su un braccio. Chi può cambia il proprio stato di bersaglio, da immobile diventa mobile: non rimane che fuggire.
Uno degli agenti si avvicina al corpo ormai agonizzante di Piero Bruno e, puntandogli la pistola a pochi centimetri, urla: “Così ti ammazzo!”.
E così è: ancora una volta i fedeli esecutori della Legge Reale sparano per uccidere.
Una donna testimonierà: “La mia attenzione è stata immediatamente attratta da un giovane disteso per terra in Via Muratori, sul lato opposto alla mia abitazione a circa 5 o 6 metri dal piazzale antistante l’ambasciata; ho notato poliziotti o carabinieri, anzi credo più poliziotti disporsi alla fine di Via Muratori, evidentemente per isolare la zona. Ho quindi sentito che il ragazzo disteso per terra si lamentava e contemporaneamente ho visto un uomo in borghese sbucare attraverso i poliziotti che si è avvicinato di corsa al ragazzo disteso per terra urlando, presso a poco “ Ti pare questo il modo di ammazzare un collega” e quindi, “ Cane, bastardo, carogna ”, ho quindi visto che l’uomo ha puntato la pistola verso il ragazzo disteso per terra, urlando “Ti ammazzo” ed ho sentito il clic del grilletto. Il ragazzo ha gridato “No ” ed ha fatto il gesto di coprirsi il volto con le mani. Quindi l’uomo, chinandosi sul ragazzo gli ha detto “ ma io ti ammazzerei veramente ” e lo ha scosso.”
Piero Bruno muore il giorno successivo mentre è ancora piantonato in ospedale.
I suoi assassini verranno identificati nel tenente dei carabinieri Bosio, nel suo collega Colantuomo e nell’agente in borghese Tammaro che, come per i molti altri casi di omicidi eseguiti con freddezza all’ombra della Legge Reale, verranno tutti assolti con abili giri di parole ed insabbiamenti delle prove.


LA SENTENZA
Il primo proiettile che raggiunse Piero alla schiena fu esploso dal carabiniere Pietro Colantuono. Il colpo sparato mentre Piero era già a terra fu esploso da un poliziotto in borghese, poi identificato nella guardia di PS Romano Tammaro.
Per simulare una situazione di pericolo ed accreditare la versione di intenti aggressivi da parte dei dimostranti, le forze di polizia trascinarono il ferito verso l’ambasciata.
Oltre a Colantuono e Tammaro, ad aprire il fuoco fu certamente anche il sottotenente dei CC Saverio Bossio.
Nonostante tutto questo, nel dicembre 1976 il giudice istruttore emise la sentenza di archiviazione, scrivendo in tale ordinanza: “se per la difesa dei superiori interessi dello Stato, congiuntamente alla difesa personale, si è costretti ad una reazione proporzionata alla offesa, si può compiangere la sorte di un cittadino la cui vita è stata stroncata nel fiore degli anni ma non si possono ignorare fondamentali principi di diritto. La colpa della perdita di una vita umana è da ascrivere alla irresponsabilità di chi, insofferente della civile vita democratica, semina odio tra i cittadini”.
L’utopia è come l’orizzonte: cammino
due passi e si allontana di due passi.
Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi.
E allora a cosa serve l’utopia ?
A questo: serve per continuare a camminare.
(E. Galeano)







22 Novembre 1975 Piero Bruno ha sempre 17 anni | O capitano! Mio capitano!…:

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lunedì 5 novembre 2012

Fuori casapound da Cremona: presidio antifascista il 10 Novembre

Sabato 10 Novembre casapound Cremona ci onorerà ancora una volta della sua presenza in città. 
In questa data infatti organizzeranno, in Via Milano n.6 al “Bar Soirèe” alle ore 16, la presentazione di un libro sulla disinformazione di massa, che coraggio! 
Conosciamo bene questi individui e la loro politica fatta di violenze, aggressioni fisiche e prevaricazioni di ogni genere, mascherata dietro la strumentalizzazione di problemi sociali. Conosciamo bene le loro intenzioni: insediarsi nel tessuto sociale
aprendo una sede in città per avere un luogo dove educare giovani al pregiudizio raziale e all’utilizzo della violenza.
Di nuovo, quel giorno, un tratto della città sarà militarizzato a spese dei cittadini per tutelare questi sporchi fascisti. 
E’ vergognoso! E’ ora di dire basta! E’ il momento di alzare la testa, Cremona ricorda bene il periodo fascista, ha pagato a caro prezzo le mille nefandezze commesse da quel regime, ed è ripartita dalla cultura del diritto riuscendo a ricreare una propria identità nella valorizzazione dei principi costituzionali e nella loro difesa. 
Ne abbiamo dato prova di recente, quando, dopo che questa giunta infame ha privatizzato l’acqua andando contro il volere popolare in salvaguardia dei beni comuni, un’intera città si è mobilitata per chiedere le dimissioni del Sindaco Perri difendendo l’esito referendario.
Come lo sono stati nostri genitori, nonni, o parenti ancora una volta siamo noi chiamati a difendere quei valori.
Nella nostra città non ci sarà spazio per questi rifiuti sociali. Mostriamo loro il nostro lato migliore, col sorriso stampato in volto, il sorriso di un bambino, di un anziano, di una giovane donna e il sorriso di chi non si arrende di fronte alle ingiustizie di ieri e di oggi.

Il ritrovo per famiglie, cittadini e tutte le forze democratiche e antifasciste è di fronte al “Bar Soirèe” alle ore 15

Cremona ripudia il razzismo!

Cremona è antifascista!








Fuori Casapound da Cremona: presidio antifascista il 10 Novembre:

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Ikea. Campagna di denuncia e di solidarietà con i lavoratori


Ikea. Campagna di denuncia e di solidarietà con i lavoratori
Davanti e dentro Ikea di Napoli, Padova, Collegno, Sesto Fiorentino tra ieri e oggi iniziative di denuncia contro la multinazionale svedese e di solidarietà ai lavoratori delle cooperative caricati dalla polizia venerdi a Piacenza.
Da ieri è partita la campagna di solidarietà per i lavoratori in lotta delle cooperative della logistica, che servono l'IKEA di Piacenza. Dopo le brutali cariche di venerdi da parte della forze dell'ordine ai lavoratori in sciopero e in presidio ai cancelli, diventa ancora più urgente fare pressioni in tutti i modi, sulla multinazionale svedese. Un appello in questo senso è stato lanciato da Clash City Workers.
Presso il punto vendita IKEA di Afragola (Napoli), alcuni compagni hanno distribuito volantini, invitando le persone a consegnare il coupon posto in basso al volantino, alle casse, per esprimere la propria contrarietà ai metodi da "democrazia alla scandinava" che la multinazionale sta adottando nei confronti dei lavoratori della logistica. Volantinaggi e azioni analoghe sono state organizzate anche davanti ai centri Ikea a Padova (vedi foto), Collegno, Sesto Fiorentino e saranno organizzate nei prossimi giorni anche in altre parti d'Italia. Invitiamo a moltiplicare questo tipo di iniziative che vanno proprio a colpire IKEA nel suo punto più debole: l'immagine comune e familiare che tende a dare all'eserno, svelandone il vero volto.
Dopo una prima distribuzione all'ingresso, gli attivisti si sono addentrati nel megastore IKEA di Afragola (Na)per continuare la sensibilizzazione, raccogliendo la solidarietà sia dei lavoratori che di tanta gente che ha consegnato alle casse il "coupon" di denuncia sistemato alla fine del volantino distribuito.

Qui di seguito il coupon da consegnare alle casse di Ikea






Ikea. Campagna di denuncia e di solidarietà con i lavoratori:

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domenica 4 novembre 2012

Sabrina Ancarola: 11/11 Siria I Care Blogging Day






Aderisco al blogging day "Siria, I Care"  Leggete e partecipate Grazie!!  Sabrina Ancarola: 11/11 Siria I Care Blogging Day:

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Contro la guerra.: 7 NOVEMBRE H 17.30 IN PIAZZETTA GARZERIA A PADOVA CONTRO SPESE MILITARI E LOGICA DI GUERRA


7 NOVEMBRE H 17.30 IN PIAZZETTA GARZERIA A PADOVA CONTRO SPESE MILITARI E LOGICA DI GUERRA


ARMI, ILLEGALITÀ E TANGENTI

SENZA ARMI E STRUTTURE MILITARI NON CI SAREBBERO  GUERRE

Nei mesi scorsi denunciavamo che il nostro governo, anche in questo momento di grave crisi economica,  sperpera risorse in spese militari.
Il bilancio delle forze armate nel 2011 è stato di 23 miliardi di euro.
Per la missione in Afghanistan si spendono più di 2 milioni di euro al giorno.
La Difesa aveva preventivato 12 miliardi di euro per l’acquisto di 90 cacciabombardieri F35. Ci sembrava che la spesa prevista fosse già altissima, invece si è aggiunto un aumento del 60% per cui ciascun F-35 anziché 80 milioni di dollari ne costerà 127: sarà un aumento di spesa di 3 miliardi e 200 milioni di euro.
Il rigore di Monti vale per esodati/e, pensionati/e, studenti, insegnanti, precari/e, ma non per le armi. 
Altra storia di armi. Di recente è stato firmato un accordo tra Italia e Israele che prevede da parte dell'Italia la fornitura di 30 aerei M346, un affare da circa 1 miliardo di dollari che saranno compensati da acquisti italiani dello stesso importo e dello stesso tipo: un satellite spia e due velivoli per la guerra elettronica. Tutto ciò in palese violazione della legge italiana, che vieta la vendita di armi a paesi in guerra e/o responsabili di gravi violazioni dei diritti umani: Israele occupa militarmente dal 1967 i Territori Palestinesi, ha violato decine e decine di Risoluzioni delle Nazioni Unite, mantiene la Striscia di  Gaza sotto assedio e appena una nave internazionale cerca di portare aiuti umanitari, navi e aerei militari israeliani la attaccano in acque internazionali sequestrando nave, passeggeri e beni trasportati. È già successo tre volte, e l'ultima è di qualche giorno fa.
Gli M346 sono prodotti da Finmeccanica, che è la maggiore azienda italiana nella produzione di armi e proprio in questi giorni a proposito di Finmeccanica stanno venendo alla luce brutte storie di corruzione. Sembra, da quanto si sa delle indagini in corso, che per ogni affare concluso ci sia un 11% che finisce in mazzette e tangenti.

Siamo molto preoccupate di questi fatti, perché se ne parla troppo poco, perché sembra che se ne ignori il peso e l'importanza, sia da parte dell'opinione pubblica che dei mezzi di comunicazione: così le decisioni rimangono soltanto nelle stanze del potere.
Ci opponiamo a scelte che non solo ricadono sulla nostra vita quotidiana, togliendoci risorse, ma ci imprigionano in una società sempre più militarizzata facendoci credere che accettare le armi, l'uso della violenza, la guerra sia un male inevitabile.


La nostra visione è quella di un mondo di pace.
Rifiutiamo di vivere nel terrore delle armi, e rifiutiamo una continua corsa agli armamenti. 
Rifiutiamo che il denaro pubblico - scarso per la scuola, la salute, la previdenza -  venga sprecato in armi e imprese militari.
Vogliamo che le relazioni tra le persone e i popoli siano improntate a democrazia e cooperazione pacifica, per costruire un mondo più sicuro e giusto.





Contro la guerra.: 7 NOVEMBRE H 17.30 IN PIAZZETTA GARZERIA A PADOVA CONTRO SPESE MILITARI E LOGICA DI GUERRA:

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INAUGURAZIONE PRESIDIO NO TAV CHIOMONTE CON IL BOTTO!

Padova ikea

mercoledì 31 ottobre 2012

Verdi 15 occupata- com'era prima dello sgombero del 30 ottobre 2012.




Ieri martedì 30 ottobre la Verdi 15 è stata sgomberatà lasciando per strada più di 100 studenti che vi alloggiavano al suo interno. Questo video è stato realizzato a pochi mesi dall'occupazione e non è mai stato messo online per vari motivi... è una breve intervista per sapere il motivo dell'occupazione. Godetevelo e giudicate!!!

martedì 30 ottobre 2012

Cinque morti sul lavoro in un giorno. Ma nessuno ne parla


Cinque morti sul lavoro in un giorno. Ma nessuno ne parla

sicurezzalavoro4
Cinque vittime sul lavoro in un solo giorno. E’ il tragico bollettino di Lunedì 29 ottobre, giornata costellata da incidenti mortali sul lavoro in tutta Italia. L’ultimo episodio, battuto dalle agenzie, vede come vittima un contadino di 71 anni, travolto dal suo trattore in Alto Adige. L’incidente si è verificato nel tardo pomeriggio a Laion, vicino Chiusa. Sono intervenuti la Croce bianca e i carabinieri, ma per l’anziano agricoltore non c’era più nulla da fare.
In precedenza un uomo di 64 anni, Antonio Roselli, aveva perso la vita in un incidente sul lavoro accaduto nel deposito di un’azienda edile di Corato, in provincia di Bari. Per cause in corso d’accertamento da parte dei carabinieri, riferisce l’agenzia Agi, l’operaio sarebbe caduto da un’impalcatura mobile e per lui, nonostante il tempestivo soccorso, non c’è stato nulla da fare. Accertamenti sono in corso per verificare la posizione lavorativa della vittima. Al momento non è stato reso noto il suo nome.
In provincia di Lucca ha invece perso la vita un piccolo imprenditore, nel comune di Massaros, morto dopo essere precipitato da un tetto, cadendo da un’altezza di circa otto metri. L’uomo, Fabrizio Del Soldato di 41 anni, era titolare di una ditta di pannelli fotovoltaici, la Dgm, stava lavorando alla posa di pannelli sul tetto quando la copertura ha ceduto.
Maurizio Lorenzetto è invece il nome di un’altra delle vittime odierne, un operaio di 55 anni, scivolato nell’Adige ed annegato. E’ successo a Cavanella, nei pressi di Chioggia, come riferiscono le testate locali. L’uomo era dipendente della Sistemi territoriali: stava effettuando la manutenzione dell’impianto, quando ha scavalcato una recinsione e attraversato una passerella. E’ caduto nel fiume ed è deceduto poco dopo.
La quinta vittima, di 42 anni, si chiamava Stefano Mirabelli ed era co-titolare della ‘Fratelli Mirabelli’, azienda meccanica di Ronco Scrivia, in provincia di Genova. L’uomo è morto questo pomeriggio all’interno dell’azienda, è rimasto schiacciato da un muraglione crollato per circostanze ancora da chiarire.
A parte Rassegna.it, la notizia non è stata data da nessuna agenzia di stampa, da nessun quotidiano, da nessun tg. Nessun sindacato si è indignato, nessun politico si è indignato, nessuna Istituzione si è indignata. E con tutti questi morti sul lavoro ch ci sono ogni giorno (oggi addirittura 5), ancora ci definiamo paese civile?


Cinque morti sul lavoro in un giorno. Ma nessuno ne parla:

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martedì 23 ottobre 2012

On line i segreti della polizia


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Nella notte gli attivisti informatici di Anonymous sono entrati nel database riservato e nelle mail interne delle forze dell’ordine. Svelati centinaia di documenti, tra cui quelli sui No Tav e sugli agenti infiltrati tra i manifestanti
Informative sulle attività dei No-Tav, analizzate nei minimi dettagli – scritte sui muri comprese – e sui movimenti o singoli attivisti considerati “estremisti”; documenti sulla posizione legale degli “agenti provocatori” e su come muoversi nelle attività sotto copertura; schede tecniche sulla tecnologia utilizzata nelle cimici micro-ambientali criptate di ultima generazione, e la relazione del primo dirigente della questura di Torino sulla dinamica dell’incidente al valsusino Luca Abbà, caduto dal traliccio mentre era inseguito da un poliziotto; ma anche stipendi di singoli agenti, Cud, buonuscite, elenchi di numero di cellulare del personale dell’Ufficio Prevenzione Generale Soccorso Pubblico della questura di Mantova; o ancora, liste dei responsabili di squadra. E poi anche mail personali di agenti inviate alla fidanzata; o richieste di materiali e armi da parte di uffici dislocati in varie parti d’Italia, dalla sciabola allo sfollagente che si è spezzato nel corso di un arresto.La polizia italiana è stata insomma esposta e squadernata sul web in seguito a un’azione di Anonymous Italia, che poche ore fa ha pubblicato online una grande mole di documenti e comunicazioni private sottratte al suo database. Si tratta di 3500 file per un totale di circa 1,3 Gb. Gli hacker sono entrati sfruttando una vulnerabilità del sito diPoliziadistato.it, o presumibilmente dal suo portale riservato Doppia Vela, e hanno saccheggiato l’archivio: dopodiché hanno avuto accesso anche ad alcune caselle di posta.Il risultato, pubblicato nella notte sullo stesso blog di Anonymous Italia e sul sito internazionale di leaks di area “anonima” Paranoia, sotto la definizione di operazione AntiSec, che sta a indicare nel gergo quelle azioni che colpiscono forze dell’ordine, intelligence e security, è una vera debacle dal punto di vista della cybersicurezza per la polizia.
«Da settimane ci divertiamo a curiosare nei vostri server, nelle vostre e-mail, i vostri portali, documenti, verbali e molto altro. (…) Il livello di sicurezza dei vostri sistemi, al contrario di quanto pensassimo, è davvero scadente, e noi ne approfittiamo per prenderci la nostra vendetta», scrivono i cyberattivisti. «Questa volta preferiamo non rilasciare dichiarazioni. I dati parlano da soli», è il commento di uno di loro all’Espresso. Anche se non mancano, nel comunicato, alcune richieste: l’introduzione del reato di tortura: la telesorveglianza dei luoghi in cui operano gli agenti; e l’introduzione di un codice di identificazione degli stessi.
Ma al di là della violazione informatica, e diversamente da altre azioni passate degli hacktivisti, questa volta i ‘leaks’, cioè i documenti trafugati, presentano contenuti piuttosto rilevanti. Spiccano in particolari molti materiali legati alle attività di repressione e indagine sul movimento No-Tav, che da tempo gode del sostegno di Anonymous Italia.
Dai diversi documenti pubblicati al riguardo emerge un’attenzione minuziosa da parte di questura, prefettura e polizia verso tutte le attività dei manifestanti No-Tav e verso tutte quelle realtà considerate antagoniste. In particolare, in una relazione riservata inviata dalla questura di Torino al ministero dell’Interno, vengono tratteggiate in dettaglio le aggregazioni politiche della provincia considerate estremiste: dagli anarchici, con indirizzi e indicazioni di stabili occupati, al centro sociale Askatasuna o al Gabrio, ai siti Infoaut.org e Indymediapiemonte.org; fino a un elenco dettagliato di presunti leader principali, con eventuali trascorsi ma anche informazioni su compagni/e di vita.
E in questo elenco sono inclusi anche gli ambientalisti del Comitato Settimo Non Incenerire di Settimo Torinese, Greenpeace, i comitati No Tav della Bassa Val di Susa, con indicazioni precise sulla biografia politica dei suoi leader, da Alberto Perino a Luca Abbà.
Proprio di Abbà, l’agricoltore che lo scorso febbraio, dopo essersi arrampicato per protesta su un traliccio, era caduto ed era rimasto gravemente ferito, si parla in un altro documento del leak, in cui un dirigente della polizia presente sul posto descrive l’accaduto. All’epoca c’era stata anche polemica sul fatto che Abbà fosse rimato fulminato nel tentativo di sfuggire a un agente che lo stava raggiungendo. Nella relazione il funzionario, «colpito dall’agilità» di Abbà nel dribblare i blocchi e arrampicarsi veloce sul traliccio, spiega come un assistente della polizia sia effettivamente salito dietro al manifestante, ma che nel momento dell’incidente «lo scrivente non ha più visto l’assistente significando che era ormai sceso fermandosi sotto il traliccio».





On line i segreti della polizia - l’Espresso:

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sabato 20 ottobre 2012

20 ottobre 1974: i fascisti uccidono Adelchi Agrada

Sergio Adelchi Argada, giovane operaio militante del ''Fronte Popolare Comunista Rivoluzionario Calabrese'' (FPCR) viene b20 ottobrearbaramente ucciso, il 20 ottobre 1974, a colpi di pistola dai fascisti Michelangelo De Fazio e Oscar Porchia.
Il primo studia Legge a Firenze, ragazzo di buona famiglia conosciuto sia dai fascisti del posto che da quelli dell'università toscana. Il secondo, anche lui studente, è un militante del Movimento Sociale e per un paio d'anni è stato anche il segretario del Fronte della gioventù di Lamezia.
Oltre a Sergio, nell'agguato squadrista rimangono feriti altri quattro giovani operai che sono con lui (fra cui il fratello Otello). 
La mattina del 20 ottobre, di fronte al Comune di Lamezia, ci fu una manifestazione nell'ambito del Festival Provinciale dell'Avanti. Nella notte, scritte fasciste ingiuriose sui muri avevano provocato tensioni; fino ad arrivare alle mani, spinte, minacce: la questione però era destinata a non finire lì.
Fu infatti alle 15.30 di quella domenica di ottobre che, i fratelli Argada, accompagnati dai fratelli Morello, incontrarono sulla strada di ritorno dallo stadio cinque camerati. A rivolgersi ai fascisti ci pensò Giovanni Morello, disgustato dalla vigliaccheria dimostrata da questi personaggi solo ventiquattro ore prima, quando avevano picchiato il fratello più piccolo, quattordici anni appena.
E quattordici furono anche i colpi che riecheggiarono per le strade di Lamezia; quattro mortali indirizzati al giovane Adelchi, intervenuto per proteggere e aiutare l'amico ferito da un colpo alla gamba.
Il giorno dei funerali, trentamila furono le persone che scesero in piazza per salutare Sergio Adelchi Argada. La cattedrale non bastò a contenerli tutti e, per le orazioni, venne utilizzato il palco della festa de ''L'Avanti'', ancora montato nella piazza del Municipio per il concerto della sera precedente.
Jovine, uno studente, parlò a nome dei ragazzi di Lamezia: "Conoscevamo Adelchi Argada come uno dei nostri migliori militanti, sempre schierato dalla parte degli oppressi. Bisogna capire perché è morto; era un operaio, uno dei tanti giovani costretto a una certa età a lavorare perché per i proletari, per i figli dei lavoratori, non esistono privilegi che sono di altri. Argada ha fatto una scelta, si è messo dalla parte di chi vuole una società diversa non a parole, in cui lo sfruttamento sia abolito e il fascismo non possa trovare spazio".
Arrestati, gli assassini di Adelchi Argada ebbero dalla loro parte soltanto una pretestuosa tesi di legittima difesa. Una posizione che più di qualche giornale conservatore fece propria e diffuse con forza. Nel caso di Oscar Porchia e Michele De Fazio sostenere di avere sparato per difendersi non funzionò: imputati di omicidio, dopo aver ottenuto di spostare la tesi processuale a Napoli, nel 1977 furono condannati rispettivamente a quindici anni e quattro mesi e a otto anni e tre mesi di reclusione.

Lamezia Terme, 20 ottobre 2011 – In occasione del trentasettesimo anniversario dell’uccisione di Adelchi Argada, avvenuta il 20 ottobre 1974, l’Amministrazione comunale di Lamezia Terme ha voluto organizzare una giornata in sua memoria. Così, questo pomeriggio alle 17:00, è stata scoperta una targa in sua memoria nella villetta comunale in via Santa Bernadette. Il piccolo parco con recinzione dove giocano i bambini porterà il nome del giovane di sinistra ucciso con 14 colpi di pistola vicino la chiesa di San Domenico.


20 ottobre 1974: i fascisti uccidono Adelchi Agrada:

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