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giovedì 4 luglio 2013

3/7/2013 NoTav in piazza Montecitorio, parla Paolo Perotto



Ieri il tronco della Clarea è arrivato a Roma. Meglio, ne sono arrivati tre, posizionati da Paolo ed Eugenio davanti alla Camera, al Senato e a Montecitorio.
Con loro alcuni esponenti del M5s, che con biciclette, bandiere e quant’altro stanno accompagnando ed aiutando i valsusini, che  a nome di tutta una popolazione amante del proprio territorio sta chiedendo ragioni di tanta distruzione.
Alle 18 è stato letto il comunicato che in tutti i paesi della Valsusa e a Torino in questi giorni viene distribuito.

mercoledì 3 luglio 2013

Lucia Uva protesta davanti al tribunale di Milano



La protesta della sorella di Giuseppe al tribunale di Milano. Il video di Acad, associazione contro gli abusi in divisa 
Una maglietta a due facce: da una parte un’immagine di Ruby sorridente, dall’altra il volto di Giuseppe Uva, morto in ospedale il 14 giugno del 2008 dopo che era stato fermato dai carabinieri ubriaco per strada e trattenuto in caserma a Varese per alcune ore. A indossarla è Lucia Uva, sorella di Giuseppe, che sta protestando davanti al Tribunale di Milano perchè, come è scritto sui due lati della maglia, «alla giustizia interessano le Olgettine di Berlusconi», ma «la morte di Giuseppe non interessa alla giustizia».

«Finalmente si sono accorti di me», dice Lucia dopo il flashmob. Una protesta che aveva preannunciato due giorni fa, domenica 30 giugno, mentre sfilava con Ilaria Cucchi e Domenica Ferrulli nell’anniversario dell’omicidio del padre di quest’ultima da parte di quattro agenti che ora sono sotto processo. Quel giorno, prima del corteo, c’è stato un dibattito (promosso anche dal circolo di Zona 4 di Rifondazione comunista) sulla malapolizia e la repressione a cui hanno preso parte attivisti, centri sociali e parenti delle vittime, legali e associazioni come l’Osservatorio repressione e Acad, neonata, che ha l’obiettivo di gestire un numero verde contro gli abusi in divisa. E alcuni dei partecipanti a quella fiaccolata erano con lei anche stamattina. A loro si sono mescolati i passanti curiosi e uomini della digos e dei carabinieri. Poco dopo, Lucia è stata ricevuta dalla segreteria del procuratore capo di Milano. 
Lo scorso 14 giugno, la Corte d’Appello di Milano ha confermato l’assoluzione dello psichiatra Carlo Fraticelli dall’accusa di omicidio colposo in relazione alla morte di Giuseppe Uva, che aveva 43 anni quando incappò in una gazzella dei carabinieri che operò un arresto illegale, stando a quanto sostiene la parte civile. Dopo un passaggio in una caserma della polizia in cui Uva fu sentito urlare di spavento e dolore, l’uomo fu spedito in Tso - anche questo di dubbia legittimità - all’ospedale di Varese dove sarebbe morto. 

Oltre allo psichiatra erano stati assolti, in primo grado, gli altri due medici dell’ospedale di Varese accusati di errori nelle cure e di aver somministrato una dose sbagliata di farmaci a Uva, che era stato ricoverato con trattamento sanitario obbligatorio. Perché il suo non è un caso di malasanità ma di malapolizia. La sorella di Uva, infatti, col presidio davanti al Palazzo di Giustizia di Milano vuole «denunciare», in particolare, che «per tre volte la Procura Generale ha respinto» la richiesta di avocazione delle indagini sulla morte del fratello (presentata dal legale della donna, Fabio Anselmo, lo stesso dei Cucchi, degli Aldrovandi, dei Ferrulli, dei Budroni ecc…). Si deve proprio al pm di Varese, Agostino Abate, la deviazione delle indagini sui medici ignorando il ruolo di chi ebbe in carico Uva prima del Tso, senza accendere i riflettori su quelle ore in balìa di agenti e militari, senza farlo nemmeno dopo che il giudice di primo grado gli aveva rispedito gli atti con la precisa richiesta di fare luce sull’operazione dell’arresto di Giuseppe. «Il pm - afferma Lucia - non ha indagato sui carabinieri e ora tutto sta andando in prescrizione e il paradosso è che sulla morte di mio fratello non ci sono più inchieste nè processi e io sono l’unica indagata per diffamazione nei confronti del pm». E chiarisce: «Noi non vogliamo fare la guerra ai magistrati, vogliamo verità e giustizia, vogliamo sapere perchè un uomo di 43 anni è morto di botte». 

Negli uffici del procuratore capo, la donna s’è sentita rassicurare, ché il processo ci sarà, mancano - appunto - solo le carte che Varese ancora non spedisce. In compenso, la procura della cittadina lombarda ha messo sotto accusa la sorella della vittima e alcuni giornalisti che si sono occupati del caso, tra loro Adriano Chiarelli, autore del docufilm “Nei secoli fedeli". 

«Nel nostro caso le indagini sono andate avanti e ora è in corso un processo agli agenti, noi siamo soddisfatti, ma siamo qua in solidarietà a Lucia», dice Domenica Ferrulli (succede spesso che queste madri e sorelle e figlie si facciano coraggio a vicenda). Ma anche per lei esistono tutte le difficoltà di un processo contro uomini in divisa che godono di forti appoggi istituzionali, che ridono in faccia a sua madre durante le udienze. E che, nell’immediato dei fatti, avevano già mostrato la potenza di fuoco sferrando un attacco alla persona morta. Michele Ferrulli era un’occupante di case per necessità ma fu detto che era un pregiudicato, un violento. Un copione che si replica in tutte le vicende del genere provando a ribaltare i ruoli, a tramutare gli accusati in accusatori e le vittime in carnefici, almeno di sé stessi. 

Per questo Fabio Anselmo ha lanciato la proposta di rompere la solitudine delle vittime anche nelle aule di giustizia. Il 26 settembre, alla prossima udienza del processo Ferrulli, Domenica sarà meno sola. 

E Lucia Uva aggiunge: «Io, Ilaria Cucchi, Domenica Ferrulli e Patrizia Aldrovandi e tante altre siamo tutte una grande famiglia». Giuseppe, conclude, «è stato vittima delle forze dell’ordine e oggi è vittima ancora una volta della giustizia, io andrò in Procura a Roma e a Brescia e tornerò ancora qua, perchè voglio giustizia anche per i cittadini normali». «La nostra solidarietà a Lucia Uva. Chiediamo, come fa lei dal 2008, verità e giustizia sulla morte di Giuseppe, morto dopo essere stato fermato dai carabinieri e portato in una caserma, in un luogo dello Stato - dice Paolo Ferrero, segretario del Prc - vergognoso che la magistratura su questo caso non stia facendo il proprio lavoro e l’accertamento della verità non appare nemmeno all’orizzonte. La magistratura faccia fino in fondo il suo lavoro anche quando è lo Stato che uccide».

lunedì 1 luglio 2013

Testimonianza sugli arresti di Via Torrevecchia a Roma (Notte di Martedì...



E' da poco passata la mezzanotte di Martedì 25 Giugno 2013
In Via di Torrevecchia,quadrante nord ovest di Roma, un gruppo di persone esce da "Valle Fiorita" (ex clinica abbandonata da due anni e ora occupata a scopo abitativo)per affiggere dei manifesti che annunciavano un'iniziativa musicale presso il parco pubblico di Via della Cellulosa a Casalotti.
Poco dopo sono intervenute diverse pattuglie della polizia che hanno tratto in arresto quattro persone con l'accusa di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.
Ai quattro,processati per direttissima,sono stati confermati gli arresti a piede libero
con l' obbligo di firma per tre volte a settimana fino alla prossima udienza che si terra' a luglio.Nella versione della polizia,riportata dal quotidiano"Il messaggero",si sostiene che la prima volante intervenuta sul luogo dell' attacchinaggio sia stata accerchiata e aggredita fisicamente da un gruppo di una ventina di persone.
Un occupante di "Valle Fiorita",presente quella notte,ci racconta i fatti.

Appello delle madri e delle famiglie dei migranti tunisini dispersi a Gi...



Partiti in 270 durante al cosiddetta “Primavera Araba”, dal 2011 non si hanno più notizie su di loro. I familiari, sostenuti dal collettivo di donne Le venticinque Undici, promotore della campagna Da una sponda all’altra: vite che contano, hanno diffuso appelli, organizzato manifestazioni e sit-in, incontrato ministri e funzionari. Hanno anche chiesto all’Unione europea di istituire una Commissione d’inchiesta sulla sorte dei loro figli (ne abbiamo parlato qui).
Per ora, senza alcun risultato.
Per cercare un sostegno e non lasciare cadere questa vicenda nell’ombra, le madri e le famiglie dei migranti tunisini dispersi ormai da un anno hanno deciso di inviare una lettera video a Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa.

VIBO _ Parlano i 13 OPERAI ITALCEMENTI sul SILOS a 90 metri dal suolo



13 operai dell'Italcementi di Vibo Valentia sono da 4 giorni su un silos a 90 metri d'altezza per protestare contro la chiusura dell’Italcementi di Vibo Marina deciso dall’azienda. Con la chiusura, tra addetti diretti e indotto, sono messi sul lastrico 400 lavoratori.  La protesta è ancora in atto. Nessun lavoratore si è detto intenzionato a scendere dai silos. Gli operai intendono anzi resistere il più a lungo possibile.
Fra i lavoratori da ieri sul silos, anche Giovanni Patania, componente della Rsu dell’Italcementi di Vibo Marina e sindacalista dello Slai Cobas. Il sindacalista, contattato telefonicamente dall’AGI, ha spiegato che i lavoratori sono intenzionati a rimanere sul silos "sin quando non si avranno certezze sul futuro occupazionale delle 80 maestranze dell’azienda. In tale nostra forma di protesta - ha aggiunto Patania - non ci spaventano nè il sole, nè la fame e la sete, non avendo ormai più nulla da perdere".

La migliore risposta alle provocazioni poliziesche, una nuova occupazione!


Venerdì 28 giugno a Roma si è vissuta un'altra giornata di lotta e riappropriazione. I movimenti per il diritto all'abitare, assieme a realtà sociali presenti nei territori, sono tornati ad occupare stabili abbandonati nelle zone di Battistini, Tiburtina, Spinaceto e Torre Maura: quest'ultima occupazione è stata tempestivamente sgomberata dalle "forze dell'ordine", come sempre celeri nell'intervenire a difendere rendita e speculazione. 

Decine di blindati e centinaia di uomini sono anche stati utilizzati in mattinata per sventare due occupazioni di natura più simbolica, ad ennesima dimostrazione di quante energie siano disposte a spendere le istituzioni per difendere palazzi vuoti e perpetuarne l'abbandono. 

Con questa nuova ondata di occupazioni abbiamo voluto evidenziare il patrimonio pubblico in via di dismissione e svendita: non ci stiamo a vedere la nostra città regalata agli speculatori mentre sempre più persone non riescono ad arrivare a fine mese né a mettersi un tetto sopra la testa. 

Per questo con le azioni di riappropriazione vogliamo sia soddisfare un bisogno primario che proporre alla città un altro modello di sviluppo, basato sul riuso, l'autorecupero e la gestione collettiva. Anche per questo saremo in piazza lunedì 1 luglio (ore 15 metro Colosseo), a dare il nostro "benvenuto" alla nuova giunta comunale e a ricordarle che in questa città c'è una vera e propria emergenza sociale, che soltanto i movimenti stanno affrontando in maniera credibile. 

Allo stesso tempo, pensiamo sia fondamentale che le lotte di riappropriazione avanzino ovunque senza tregua, in modo tale che finalmente le politiche di austerità e sacrifici vengano messe in discussione non solo a parole, ma nei fatti: pensiamo sia necessario arrivare all'autunno, in particolare al corteo nazionale del 19 ottobre, forti di una grande offensiva che riporti i temi della casa, del reddito e della riappropriazione al centro dell'agenda politica nazionale

Nel frattempo, ribadiamo incondizionata solidarietà alle famiglie sgomberate a Torre Maura, così come ribadiamo la nostra determinazione nel voler difendere gli spazi che con tanta fatica sottraiamo ogni giorno alle leggi del profitto...come gridiamo sempre in piazza, "ogni casa sfitta sarà occupata, ogni sgombero sarà una barricata"