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martedì 26 novembre 2013

nei secoli fedele (2013)



Questo è il documentario di Giuseppe Uva per favore fatelo girare è importante che tutti sappiano cosa è successo a Giuseppe.
Pregherei il DOTT.ABATE,E IL PROCURATORE MAURIZIO GRIGO,DI GUARDARLO ATTENTAMENTE CHE PROBABILMENTE LE IDEE VI SI SCHIARISCONO.

La polizia attacca gruppo pacifico di donne

domenica 24 novembre 2013

This is my land Hebron (integrale)



Chiunque parli della situazione palestinese nel bene o nel male dovrebbe vedere questo documentario. Provate a perdere un'ora del vostro tempo e quando parlerete di Iran; Korea; Siria o altre nazioni che non rispettano le leggi internazionali o le risoluzioni ONU vi ricorderete anche di israele!

venerdì 22 novembre 2013

giovedì 14 novembre 2013

Lampedusa a Padova: la conferenza stampa





E’ trascorso poco più di un mese dalla strage di Lampedusa e, al di là del cordoglio per i tanti morti, il nostro sguardo ha bisogno di spostarsi verso chi è sopravvissuto, perché non sia abbandonato.
Per loro, così come altre migliaia di rifugiati in Italia, si apre un futuro incerto, difficile, travagliato.
E’ una storia che conoscono bene gli attivisti dell’Associazione Razzismo Stop e delle altre che con loro si sono battute al fianco dei rifugiati, a partire dalle vicende di centinaia di persone che in questi anni hanno trovato rifugio nei locali di via Gradenigo 8 a Padova.
Oggi la situazione del centro di accoglienza è nuovamente esplosiva, perché esplosivo è il contesto dell’accoglienza in Italia e a Padova.
In questi lunghi mesi trascorsi non si è mai fermata la ricerca di soluzioni, anche aprendo un confronto con l’amministrazione comunale offrendo una collaborazione gratuita affinché i rifugiati, in via Gradenigo o altrove, fosse garantita un’accoglienza degna.
Ma così non è stato.
Ed ancora oggi nei locali del quartiere Portello si trovano circa 50 persone.
Non si tratta di un fatto episodico, neppure di un “residuo” di persone in “sovrappiù” da sistemare. Perché la crisi economica, l’inverno incombente, i tanti scenari di conflitto che interessano il Medio-Oriente così come il continente africano, dalla Siria all’Egitto, dalla Somalia alla Libia, ci raccontano di un domani, che è anche il nostro presente, in cui l’esigenza di costruire spazi e progetti di accoglienza risulta essere una vera urgenza: una necessità strutturale.
Tutte le ricerche svolte sul tema da autorevoli organizzazioni ed enti, così come dall’Unione Europea, denunciano l’insufficienza e l’inadeguatezza del sistema di accoglienza italiano. Quella realizzata da ASGI, insieme ad A.I.C.C.R.E, Caritas Italiana, Communitas Onlus, Ce.S.Pi, dal titolo Il diritto alla protezione, per esempio, rileva che solo il 32,4% dei rifugiati trova un luogo dove stare.
La storia di quel restante 67,6% è quella di chi, come a Padova, è costretto a trovare sistemazioni di fortuna. Lo dimostra il crescente numero di persone che raggiungono la sede di via Gradenigo. 12 etnie diverse, alcuni di loro hanno raggiunto le nostre coste da pochi mesi, qualcuno è arrivato solo 10 giorni fa in Sicilia, altri invece tornano dai viaggi nel cuore dell’Europa, da altri stati in cui hanno cercato fortuna ed invece sono andati incontro alle gabbie di Dublino, una parte consistente rappresenta il fallimento del piano per l’emergenza nordafrica,
E’ troppo facile insomma piangere i morti per poi abbandonare i sopravvissuti, guardare alle stragi che accadono altrove mostrando cordoglio per poi chiudere gli occhi di fronte alla realtà che si materializza davanti ai propri occhi, quella non mediata dalle telecamere, quella che bussa direttamente alla porta e si materializza nelle strade. C’è insomma chi chiude gli occhi quando Lampedusa è a Padova.
Per questo l’Associazione Razzismo Stop invitia tutte le associazioni, le organizzazioni, i collettivi ed i cittadini ad essere al fianco dei rifugiati giovedì 14 novembre 2013, alle ore 16.30 davanti a Palazzo Moroni, per chiedere risposte alle istituzioni cittadine.

Nessun colpevole

Nessun colpevole, tutti assolti. Dopo undici anni di inchieste e processi, ieri Juan Luis Pía, presidente del Tribunale Superiore di Giustizia della Galizia, chiamato a giudicare i responsabili della tragedia del Prestige, ha assolto gli unici tre accusati per la più grave catastrofe ambientale che la Spagna abbia mai subito: il capitano della petroliera Apostolos Mangouras e il suo vice Nikolaos Argyropoulos, e l’ex direttore della Marina Mercantile José Luis López Sors, unico esponente dell’amministrazione imputato. Nessuna responsabilità per chi dirigeva la petroliera che riversò sulle coste galiziane decine di migliaia di tonnellate di greggio inondando uno degli ecosistemi più preziosi e incontaminati di tutto il contintente europeo, e neanche per l’Amministrazione incaricata di vigilare e che non vigilò e anzi sottovalutò l’incidente aggravandone le conseguenze. Per i tre imputati l’accusa chiedeva pene dai 5 ai 12 anni di reclusione. Ma l’unica condanna, poco più che simbolica – 9 mesi che non sconterà - è stata inflitta all'ormai anziano capitano del Prestige perché riconosciuto colpevole del delitto di disobbedienza grave alle autorità spagnole, ma non di quelli di crimini contro l’ambiente e danni ad un ecosistema protetto. Il primo ufficiale della petroliera, Ireneo Maloto, non è stato neanche processato, visto che da tempo è irreperibile.
Anche sul fronte dei risarcimenti la sentenza disillude le aspettative, riconoscendo i danni economici causati da 63 mila tonnellate di greggio sparsi su 2900 chilometri di costa e 1177 spiagge sparse dalla Galizia fino alle Lande francesi, passando per le coste asturiane, cantabriche e basche. Ma non riconosce nessuna responsabilità penale perché non sarebbe possibile conoscere le vere cause dell’avaria alla petroliera che provocò un disastro ambientale senza precedenti in Europa. Una presa d’atto che però cozza con quanto il magistrato ha detto durante la lettura della sentenza, cioè che ‘l’impresa proprietaria dell’imbarcazione era al corrente del fatto che le sue condizioni non erano adeguate al trasporto di grandi quantità di greggio ma fece finta di nulla”.  Ma sulle responsabilità dell'armatore, dell'impresa proprietaria e delle autorità spagnole che gli accordarono permessi e licenze niente da dire.
La sentenza lascia l’amaro in bocca anche perché sul banco degli imputati non si sono neanche seduti i responsabili politici di quella tragedia: dall’ex ministro del Partito Popolare Francisco Álvarez-Cascos all’attuale premier Mariano Rajoy, all’epoca vice del capo del governo Josè Maria Aznar.
Incredibilmente la sentenza afferma che l'ecosistema galiziano si è totalmente ripreso dai danni causati dal 'chapapote'. Una bugia antoassolutoria e autoconsolatoria, visto che solo due anni fa in alcune spiagge galiziane, a pochi metri di profondità, la melma nera ancora ricopriva i fondali desertificati dalla marea nera del 2002. Il colpo di spugna giudiziario non può nascondere gli effetti di una tragedia che avrà effetti su larga scala ancora per molti, molti anni.
Undici anni fa, manifestando per le strade delle loro città, i galiziani scelsero di sventolare bandiere a lutto, quelle con la striscia azzurra della Galizia in campo nero. Il nero del petrolio che inondò le loro coste e ora anche dell'oblio in cui cadranno colpe e responsabilità.

14 novembre 1951 L’alluvione del Polesine

Il 14 novembre 1951 l’Italia ha vissuto una delle sue peggiori tragedie del Dopoguerra: l’alluvione del Polesine.
Il Polesine è una terra agricola che corrisponde alla provincia di Rovigo: si trova tra il fiume Po e l’Adige, in prossimità della loro foce. La abitavano genti lavoratrici e povere.
Dopo giorni di incessanti piogge, la piena del fiume Po, sommata a quelle dei suoi affluenti, spazzò via i tentativi della popolazione di arginare la violenza dell’acqua. Tutta la vasta area della provincia di Rovigo fu sommersa dall’alluvione. Le vittime furono un centinaio, gli sfollati ben 180 mila. Ad appena sei anni dalla fine della distruttiva II Guerra Mondiale, l’alluvione del Polesine rappresentò un duro colpo che mise in ginocchio l’Italia.
La solidarietà italiana e internazionale fu notevole e il lavoro delle istituzioni, con la bonifica, permise di tornare a coltivare la terra già nel 1952. Moltissimi emigrarono: se nel 1951 la popolazione del Polesine era di quasi 358 mila abitanti, nel 1961 si era ridotta a meno di 278 mila.

martedì 12 novembre 2013

Barcellona. L’indipendentista al banchiere: “ci vediamo all’inferno

David Fernández, uno dei tre deputati della Cup – sinistra indipendentista - al Parlamento Catalano, è stato protagonista di un gesto dall’enorme impatto simbolico e politico. 
Ieri l’ex presidente di Bankia – grande gruppo bancario salvato dal governo spagnolo con miliardi di euro - Rodrigo Rato era stato chiamato dall’istituzione regionale catalana a dichiarare davanti alla speciale commissione d’inchiesta del Parlament sulle banche.
Dopo aver ascoltato l’intervento dell’ex manager, Fernandez ha cominciato a sventolare una scarpa - per la precisione un sandalo - e rivolgendosi a Rato ha chiesto: “Lei sa che fanno in Irak con questo, simbolo di umiliazione e disprezzo per il potere del potere?" e poi ha rinfacciato al Partito Popolare le sue responsabilità nella partecipazione spagnola nella guerra contro l’Iraq e, su un altro livello, alla "guerra economica contro i poveri ".
E poi ancora, rivolgendosi a Rato, Fernandez ha chiesto: "Lei ha paura?". Quando Rato ha risposto “Di chi, di lei?” l’esponente della sinistra indipendentista catalana ha chiarito: "No, di perdere tutto, come milioni di famiglie, e che un giorno la gente si arrabbi”.
E poi ancora, in un crescendo studiato ed efficace: "Ci vediamo all’inferno. Il suo inferno è la nostra speranza (...) A presto bandito. Fuori la mafia”. Rato ha evitato di replicare.
In precedenza, David Fernández aveva interrotto Rato mentre questi affermava che era impossibile che Bankia avesse durante il suo mandato di presidente causato almeno 80 mila sfratti.

Comunque durante il suo intervento Rato, presidente di Bankia dal gennaio del 2010 al maggio del 2012, ha ammesso di essere il responsabile delle decisioni che portarono l’istituto bancario – una cassa di risparmio - ad una crisi pagata poi dal governo con miliardi di euro dai contribuenti in un momento in cui il paese è alle prese con una disoccupazione al 27%.