- “Che cosa sta registrando?”
- “Il mio corpo”
- “Il mio corpo”
- “Mi scusi, vado a parlare con il mio capo, non so se questo è possibile” (da ElPais.com )
Il diritto all’aborto non è mai al sicuro, lo dimostra ciò che sta succedendo in Spagna.
Per questo vale la pena ogni giorno lottare per tenere ben stretto il diritto alla salute e alla scelta, all’autodeterminazione.
Per questo vale la pena ogni giorno lottare per tenere ben stretto il diritto alla salute e alla scelta, all’autodeterminazione.
I prolife non esistono, sono solo oscurantisti. Esistono le e i pro-choice, al massimo, chi vuole il rispetto delle scelte delle donne sul proprio corpo, sulla propria biologia.
In Spagna, il ddl firmato dal ministro Alberto Ruiz-Gallardon del Partido Pupular di Rajoy annulla la precedente normativa del governo Zapatero e, in clima da controriforma, propone la ““Legge dei diritti del concepito e della donna incinta“.
Il provvedimento prevede l’aborto solo nei casi di violenza sessuale (da denunciare non oltre le 12 settimane dal concepimento ) e in caso di grave pericolo per la salute psichica e fisica per la madre. Malformazioni fetali, condizioni socioeconomiche, non sono più motivazioni valide per richiedere l’aborto da parte di donne ogni giorno più in mano al controllo di governi reazionari.
Non è facile trovare delle modalità di resistenza attiva a questi continui attacchi. Informazione, dibattito, occupazioni, rivendicazioni sono all’ordine del giorno: ma c’è anche chi ha deciso di usare l’arte, la street art, per lanciare un messaggio, forse anche più efficace. Non perché assemblee ed editoriali non servano, ma perché l’arte, quella intelligente, arriva a tutti subito e non ci sono porte a cui bussare, gruppi in cui entrare (a fatica, anche), muraglie da abbattere, è lei che arriva e si spiega da sé.
Yolanda Dominguez è un’artista visuale spagnola, attiva dal 2008 e ultimamente nota per alcune geniali performance contro gli stereotipi delle immagini femminili nel mercato pubblicitario e contro lo sfruttamento globale del mondo della moda. Per l’opera “Pose n°5″ (2013) ad esempio, donne anonime di tutto il mondo si mettevano in strada nella stessa posa di una campagna di Chanel per evocarne proprio il completo distacco dal reale, dai corpi e dalle posizioni della realtà, mostrandone il ridicolo mascherato da eleganza.
In “Fashion Victims” (2013 ), alcune note blogger vestite alla moda apparvero in mezzo alle strade di Spagna ricoperte da detriti e calcinacci, come morte, per ricordare il crollo del 24 aprile in Bangladesh di alcuni laboratori di grandi industrie della moda occidentale, in cui erano rimaste uccise varie lavoratrici.
Qualche giorno fa è andata in scena l’ultima performance di Dominguez e di tutte le donne che vi hanno partecipato. “Accion Registro”: donne di diverse città della Spagna si sono recate ai “Registri della Proprietà” (il nostro catasto) per certificare il possesso del proprio corpo come bene mobile. L’azione è iniziata il 5 febbraio e per giorni agli sportelli degli uffici di Madrid, Barcelona, Bilbao, Sevilla, Pamplona e Pontevedra si sono allungate le code di donne che rivendicavano provocatoriamente il proprio corpo e la possibilità di decidere su di esso.
Scrive Dominguez sul suo sito:
Il corpo è un territorio di cui è necessaria la riconquista da parte delle donne. Un corpo modellato da altri e per altri, convertito in oggetto, usato come mercanzia, aggredito, manipolato e sottomesso a impossibili stereotipi. A queste difficoltà si aggiunge un “Antiprogetto di legge” sull’aborto presentato dal ministro della giustizia Ruiz-Gallardon che pretende limitare la capacità di prendere decisioni rispetto alla maternità e alla propria morale. I documenti che sono stati presentati e timbrati fanno parte di un’azione simbolica che vuole rendere visibile questo conflitto.
Una donna, al Registro di Madrid, ha dichiarato: "Con tutto quello che sta succedendo, l’unica cosa che resta alle donne è prendere l’iniziativa… qui c’è la mia carta di credito, il modulo e la prova che questo corpo è mio".
L’iniziativa è interessante e sicuramente riuscita, non fosse altro per il numero di donne che ha deciso di prendervi parte e di rilanciare un messaggio che sembra vecchio, ma non tutti hanno recepito: il famoso,il corpo è mio e lo gestisco io.
Eppure, apre anche ad alcune domande: siamo o possediamo il nostro corpo? Usare mezzi burocratici per rendere il nostro corpo un bene da possedere legalmente, non rischia di essere molto simile alla mercificazione stessa dei corpi?
Sono domande legittime, ma in questa azione altro non c’è che la ricerca di linguaggi nuovi per esprimere concetti antichi, la voglio di usare anche il paradosso e l’ironia per arrivare a comunicare con intelligenza la necessità dell’autodeterminazione delle donne sui loro corpi e sui loro desideri.
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