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giovedì 31 maggio 2012

Terrorismo: quattro gli ostaggi italiani nel mondo

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Con il rapimento dell’ingegnere della Borini Prono Construction nella citta’ di Kwara, in Nigeria, salgono a quattro gli italiani ostaggi in giro per il mondo.
Si tratta di Rossella Urru, la cooperante sarda sulla quale piu’ volte si sono inseguite voci, poi rivelatesi infondate, di una sua liberazione. E’ stata sequestrata il 23 ottobre del 2011 nel campo profughi sahawari in cui lavorava da due anni, insieme a due colleghi spagnoli Ainhoa Fernandez de Rincon e Enric Gonyalons.
Nelle mani dei sequestratori restano poi Giovanni Lo Porto, 38 anni, siciliano e operatore presso una ong tedesca, sequestrato in Pakistan il 19 gennaio scorso dal gruppo talebano Tehrik-e-Taliban 
Pakistan, capeggiato da Hakimullah Mehsud, e Bruno Pellizzari, ostaggio dei pirati somali dal 10 ottobre 2010, che pero’ non rientra ufficialmente nell’elenco dei connazionali sequestrati. Lo skipper ha infatti la doppia cittadinanza, italiana e sudafricana, e il suo caso e’ seguito direttamente dal paese africano.
Poco piu’ di un mese fa e’ stata invece rilasciata Maria Sandra Mariani: la turista fiorentina era stata rapita in Algeria il 2 febbraio dello scorso anno dal gruppo terroristico Aqmi (Al Qaida per il Maghreb islamico). Il 25 marzo scorso era tornato in liberta’ – dopo 11 giorni di prigionia – Claudio Colangelo sequestrato dei maoisti dell’Orissa capitanati da Sabyasachi Panda insieme a Paolo Bosusco rilasciato, circa un mese prima. Allo scadere di aprile sono infine stati liberati i sei italiani dell’equipaggio della Enrico Ievoli, prigionieri per 4 mesi dopo essere stati vittime di un attacco dei pirati somali avvenuto al largo delle coste dell’Oman.

lunedì 28 maggio 2012

"Strage di Piazza della Loggia" (28 Maggio 1974)




Quel giorno a Brescia morirono :
Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante
Livia Bottardi Milani, 32 anni, insegnante
Euplo Natali, 69 anni, pensionato
Luigi Pinto, 25 anni, insegnante
Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio
Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante
Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante
Vittorio Zambarda, 60 anni, operaio
Per la strage di piazza della Loggia, a Brescia, non ci sono colpevoli. I quattro imputati per i quali si è svolto il processo d’appello sono stati assolti. Ha detto il procuratore Roberto Di Martino: «È una vicenda che va ormai consegnata alla storia, più che alla giustizia».
Erano le 10.12 del 28 maggio 1974, in piazza della Loggia era in corso una manifestazione antifascista. Pioveva. La bomba esplose in un cestino dei rifiuti, spazzò via tutto ciò che c’era intorno: otto morti, un centinaio di feriti. Sono passati 38 anni da allora, non c’è verità giudiziaria. I quattro imputati erano: Carlo Maria Maggi, medico di Mestre dirigente dell’organizzazione fascista Ordine Nuovo; Delfo Zorzi, altro fascista veneto, indicato dall’accusa come l’uomo che aveva procurato la bomba, oggi vive in Giappone, è cittadino giapponese, si fa chiamare Hagen Roi, “origine delle onde”, è produttore di tessuti e pellami, esporta anche in Italia ma qui non torna; Maurizio Tramonte (alias Tritone), informatore dei servizi segreti, l’accusa ha sostenuto che partecipò alle riunioni preparatorie dell’attentato; Francesco Delfino, ex generale dei carabinieri, processato con l’accusa di aver saputo quello che stava per accadere ma di non aver fatto nulla per evitare la strage.
Erano stati assolti anche in primo grado, così come era stato assolto Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, uscito poi definitivamente dal processo.
È stato un procedimento lungo, milioni di pagine da esaminare, decine di testimonianze. E quasi 40 anni di storia passati dal momento dell’esplosione. C’erano state novità nel processo d’appello. In primo grado era stata giudicata inattendibile la confessione del fascista pentito Carlo Digilio, ex collaboratore della Cia, morto nel 2005. Con nuove testimonianze l’accusa aveva invece tentato di avvalorare la sua confessione. E molta importanza i pubblici ministeri avevano dato all’intercettazione ambientale tra due fascisti, Roberto Raho e Pietro Battiston, che esprimevano il timore di essere collegati ai “mestrini” che usavano le bombe. I mestrini, in quegli anni, tenevano nascosta la gelignite, un esplosivo, nel magazzino di una trattoria. «Dinamite e gelignite si volatilizzano e i periti hanno trovato solo tracce di tritolo, ma non vuol dire che la gelignite non ci fosse», aveva detto l’avvocato di parte civile Piergiorgio Vittorini. Ma di fatto, ciò che era stato trovato a piazza della Loggia, era tritolo, non gelignite. Come per altre vicende di quegli anni il tempo passato, i depistaggi, le coperture, hanno creato un fumo che, andandosene, ha portato via tutto, ha reso impossibile qualsiasi conclusione. Non ci sarà mai verità giudiziaria.
Una verità storica c’è da tempo: quella di piazza della Loggia fu una strage fascista, voluta e poi “protetta” dai servizi segreti. La stessa verità che c’è per piazza Fontana, per l’Italicus. Era la strategia della tensione. Fascisti e servizi segreti. Poche ore dopo l’esplosione a piazza della Loggia venne dato ordine ai pompieri di ripulire la piazza con le autopompe: i reperti di esplosivo furono in gran parte spazzati via, nessuno aveva ancora fatto i rilievi. Scomparvero anche i reperti prelevati in ospedale dai feriti e dai cadaveri.

domenica 27 maggio 2012

Gli studenti di Brindisi in piazza per Melissa





Ieri, una marea di studentesse, studenti hanno dato vita ad una grande manifestazione a Brindisi, ad una settimana dall'orribile attentato che ha ucciso Melissa e messo in pericolo la vita di Veronica e colpire altre 4 studentesse. Un attentato che ha colpito al cuore e alla mente la scuola 'Morvillo-Falcone' e tutte le scuole di Brindisi e del nostro paese.
Il movimento degli studenti non si è fermato un solo momento. Ha reagito prima con paura, preoccupazione, stringendosi intorno alle studentesse colpite, poi via via organizzando il proprio movimento e la propria valutazione, costringendo tutta la città, le istituzioni, il paese ad esprimersi, dare risposte, confrontarsi.
Ma questo sabato è stato qualcosa in più. Gli studenti come movimento, scuole, associazioni studentesche hanno chiamato ad una manifestazione nazionale, assumendo un ruolo di prima fila nella reazione all'attentato, di matrice ancora oscura.
'IO NON HO PAURA' è suonata come dichiarazione forte, individuale e collettiva, ma anche come sfida agli autori assassini, ai loro eventuali mandati e ispiratori.
Hanno voluto una manifestazione autonoma, nelle loro mani, non di dolore e timori ma di forza, autodeterminazione, volontà di riprendersi la scuola, la scena politico-sociale dell'attentato e di liberarla di ipocrisie, di falsi amici e di strumentalizzazioni della stampa.
E in questo, la manifestazione è stato un punto di arrivo di questa settimana ma anche un vero punto di partenza del movimento a Brindisi e nell'insieme del paese. Gli studenti stanno trovando le loro parole e il loro percorso, e puntano ad occupare la scena tragica creata dall'attentato per farne un motivo di cambiamento della scuola, della cultura – cosa molto sentita – del loro futuro anche come giovani del sud.
L'immagine di un nuovo Sud ribelle, ispirato dalla reazione dei giovani che diventi continuità e concretezza, sarebbe davvero il modo migliore per rendere il sacrificio di Melissa non solo non vano ma anche motivo di nuova vita e nuove speranze


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proletari comunisti: pc 27 maggio: BRINDISI: UNA GRANDE MANIFESTAZIONE DI STUDENTI - RESOCONTO E RIFLESSIONI:


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martedì 22 maggio 2012

Ambulatorio Medico Popolare

Falcone, Borsellino, agenti della scorta e tanti altri: le facce pulite ...




Tutti sono stati lasciati soli.
Le facce sporche, quando si laveranno la faccia?


"Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati 
in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone 
delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. 
In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato 
non è riuscito a proteggere." Givanni Falcone

venerdì 18 maggio 2012


A Trieste il commissariato degli orrori, sequestri e violenze su 50 immigrati

18-05-2012
La morte di Alina rivela una gestione gravissima e omertosa della Questura. A casa del capo un altare al Duce, il Mein Kampf e tutti i testi antisemiti. Targa nazi sulla porta: "Ufficio epurazioni". Il misterioso suicidio di una donna ucraina in un commissariato svela un nucleo di poliziotti neofascisti. A guidarli il vicequestore Baffi, accusato di omicidio. Ed è ancora lì.
Il fermacarte di Mussolini. Dietro la scrivania una targa con su scritto “Ufficio epurazione”, sberleffo della dizione ufficiale dell’ufficio che dirige, quello dell’”immigrazione” a Trieste. E a casa un vero “arsenale” di testi antisemiti, tra cui spicca il classico “Mein Kampf” ma anche il libro per veri “intenditori”: “Come riconoscere un ebreo”.


Carlo Baffi, dirigente della questura triestina, è ora indagato per sequestro di persona e omicidio colposo. A scoperchiare il pentolone su come funzionasse il commissariato di villa Opicina il suicidio di una giovane ragazza ucraina avvenuto proprio nelle stanze della polizia. Dalle indagini sulla vicenda, condotte dal pm Massimo De Bortoli, stanno emergendo filoni più ampi. La Procura è interessata soprattutto a capire quale fosse la prassi seguita dalla questura nei confronti dei migranti privi di permesso di soggiorno, ma privi anche di un decreto prefettizio che ne stabilisse la reclusione in un Centro di espulsione. Sta emergendo infatti che l’ufficio di Baffi ritenesse la legge insufficiente, e si organizzasse di conseguenza, rinchiudendo in questura gli immigrati in attesa della decisione del prefetto. Si chiama sequestro di persona, che è infatti uno dei reati contestati dal pm al vicequestore che dovrà rispondere davanti a un giudice anche della morte di Alina.
Il procuratore capo, Michele Dalla Costa, parlando con Il Piccolo di Trieste ha lasciato intendere che presto potrebbero esserci altri indagati. Di fronte a un fatto così grave la reazione dell’Associazione nazionale funzionari di polizia è quasi divertente: “A casa di Baffi sono stati trovati anche testi di Marx e sulla storia del movimento operaio”, è normale, scrive l’Anfp “che un poliziotto che ha lavorato alla Digos legga testi che vanno dall’estrema destra all’estrema sinistra”. Insomma, Baffi sarebbe un intellettuale.


Ieri in città, a piazza della Borsa, si sono radunate duecento persone in un sit in promosso dalle forze democratiche della città - Arci Occupy Trieste, centri sociali, studenti, a cui hanno aderito Rifondazione e Sel. Hanno chiesto l’immediata sospensione di Baffi ma anche le dimissioni del questore “che non poteva essere all’oscuro né delle simpatie fasciste di Baffi, né di come operava quell’ufficio”, dice Luca Tornatore dei centro sociali del nord est. La Procura ha sequestrato i fascicoli relativi a 49 immigrati detenuti da agosto ad aprile nel commissariato di villa Opicina per capire se avrebbero dovuto stare lì o no. Un posto non molto bello in cui passare le giornate, visto che la storia di Alina denuncia un totale abbandono delle persone recluse. La ragazza, che si è stretta un cappio intorno al collo formato con il cordoncino della sua felpa la mattina del 16 aprile, e si è impiccata alla finestra della stanza a un metro e mezzo da terra, avrebbe avuto 40 minuti di agonia. Su di lei era puntata una telecamera di sorveglianza. Ma pare che in quella stanza i poliziotti siano entrati solo per comunicarle che era arrivato il fax del prefetto: destinazione Cie di Bologna.
Sicuramente non il posto in cui si aspettava di andare, dopo dieci mesi di carcere. La storia di Alina la racconta il suo avvocato, Sergio Mameli, che ora rappresenta la mamma e la sorella e ha depositato una memoria difensiva sulla vicenda: “Alina era implicata in un processo molto complesso di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il suo era un ruolo marginale - dice Mameli - sul suo conto erano passati alcuni soldi. Io mi sono fatto l’idea che lei non ne sapesse nulla: era la fidanzata di uno degli indagati, ha fatto un favore. Dunque non si spiegava perché dovesse stare in carcere. Negli ultimi tempi era nervosa, voleva uscire, aveva già tentato il suicidio e aveva delle evidentissime suture sul braccio sinistro. Per questo abbiamo deciso di patteggiare”.
È il 13 aprile. Il giorno dopo, sabato, Mameli la va a trovare in carcere: “Oggi ti liberano”, le dice. Lei è contenta. Sa che verrà espulsa, ma pensa di avere almeno un week end per sé, fino a lunedì. Invece no: a prelevarla arriva una volante inviata da Baffi. Non fosse mai che una clandestina giri in città. La mattina del 16 Alina chiama alle 10 allo studio dell’avvocato, che non c’è. Lui richiama alle 11,30: Alina è già morta. Il consigliere regionale di Rifondazione Roberto Antonaz aveva già presentato un’interrogazione sulla morte e ora dice. “Sono allibito. Non è possibile che nessuno dei dirigenti della questura sapesse”.

Trieste: in ferie il vicequestore fascista, indagati altri due poliziotti

Trieste: in ferie il vicequestore fascista, indagati altri due poliziotti
Nessun provvedimento contro il vicequestore accusato di sequestro di persona e omicidio colposo, che si è messo in ferie. Altri due poliziotti indagati per la morte, in un commissariato di Trieste, della giovane Alina.
Nuovi sviluppi sul caso del vicequestore di Trieste Carlo Baffi, indagato per sequestro di persona e omicidio colposo in relazione alla morte di una ragazza ucraina che si sarebbe suicidata all’interno di una stanza del commissariato di Opicina (una frazione del capoluogo friulano) mentre era in stato di fermo illegale e senza che gli agenti di guardia intervenissero per salvare la 32enne.
Da ieri mattina Carlo Baffi non è più responsabile dell’ufficio immigrazione della Questura di Trieste. Non potrà, almeno per ora, sfoggiare né il busto di Mussolini né la targa ‘Ufficio Epurazioni’ ben visibili finora a chiunque accedesse al suo ufficio.
Ma il dirigente di Pubblica Sicurezza accusato di reati gravissimi e dalle evidenti tendenze fasciste e razziste non è stato rimosso dal suo incarico. No, si è messo in «congedo ordinario», cioè in ferie. Nessun intervento da parte dei suoi superiori, quindi. E paradossalmente sarà lui stesso a decidere quando tornare in servizio. «Baffi ha ritenuto, ed è il minimo che potesse fare, di prendere qualche giorno di riposo» commenta come se nulla fosse il questore di Trieste, Giuseppe Padulano.
Eppure il dirigente non è accusato solo del sequestro di Alina e di omicidio colposo per non aver impedito il suo ‘suicidio’. Ma anche di aver perseguitato altri 49 cittadini stranieri, un numero che si desume dai documenti che sono stati sequestrati a Baffi durante le perquisizioni dei giorni scorsi ma che potrebbero essere anche più alti.
«Il dottor Baffi si trova a casa a Trieste per cercare di definire al meglio la sua linea difensiva. Non lavora. Deve studiare gli atti che lo riguardano in vista delle inevitabili contestazioni da parte della procura», ha dichiarato ai  giornali locali il suo difensore Paolo Pacileo dopo che nei giorni scorsi aveva chiesto al Tribunale del riesame di Trieste di annullare il verbale di sequestro dei libri e dell’altro materiale prelevato mercoledì dell’altra settimana a casa di Carlo Baffi. Una prova importante, perché dimostra che l’azione criminale e continuata nel tempo del suo cliente è da considerarsi conseguente alla sua ideologia razzista e xenofoba, formatasi su letture di testi della ‘tradizione’ fascista e nazista e antisemita: da Julius Streicher ad Adolf Hitler a Julius Evola. A casa sua i colleghi hanno trovato una biblioteca assai vasta di testi politici di estrema destra e di libelli razzisti e antisemiti risalenti anche al ventennio e al Terzo Reich. E qualche libro di Marx o Lenin, che secondo il suo legale dimostrerebbe che tutti i testi erano stati raccolti da Baffi esclusivamente per motivi professionali. Una normale collezione per chi ha lavorato nella Digos, come hanno scritto in un comunicato di solidarietà col vicequestore quelli dell’l’Associazione nazionale dei funzionari di polizia.
Un dirigente di Polizia deve conoscere cosa pensano e scrivono gli estremisti di destra e di sinistra…
Ma a quanto pare il vicequestore di Trieste si è premurato di mettere in pratica solo gli ‘insegnamenti’ di chi professa la discriminazione razziale e la persecuzione del diverso, dello straniero. E che la tesi difensiva dei suoi difensori non regga lo dimostrano il ritratto del Duce e la targa con su scritto ‘ufficio epurazione’ di cui sopra. Una chiara identità politica fascista che Baffi si è premurato di riprodurre ampiamente anche nella sua abitazione: addirittura nel suo bagno i finanzieri hanno trovato un manifesto fascista e in una nicchia una copia del libro di Adolf Hitler, il Mein Kampf.
Insomma per ora il vicequestore rimane a piede libero, in ferie. Però nel frattempo l’inchiesta diretta dal pm Massimo De Bortoli si è allargata anche a due poliziotti, in servizio al commissariato di Opicina, incaricati della vigilanza dei monitor a circuito chiuso nelle ore in cui Alina Bonar Diachuk era stata illegalmente imprigionata e decise di togliersi la vita. Nei loro confronti è stato emesso un avviso di garanzia per “violata consegna” e “omicidio colposo”. “Alina – scrive Cinzia Gubbini su ‘Il Manifesto’ – aveva patteggiato una pena il 13 aprile, ed era stata scarcerata il 14, un sabato. Il suo avvocato le aveva spiegato che sarebbe stata lasciata libera anche se avrebbe ricevuto un decreto di espulsione perché nel fine settimana non ci sono i tempi tecnici per la sentenza del giudice di pace e il decreto prefettizio. Invece la ragazza è stata prelevata da una volante della polizia, portata in commissariato, e lì rinchiusa in attesa del lunedì. Uno zelo non richiesto, lesivo della libertà personale poiché per essere detenuti è necessario un vaglio giurisdizionale”. Un sistema ampiamente collaudato e non un episodio a sé.
Finora 3 indagati, e il sospetto che gli altri colleghi sapessero e tollerassero le tremende attività della squadraccia guidata da Baffi. Ma il questore Padulano nega l’evidenza: «Se ci sono profili di illegittimità nella nostra azione, ce ne prenderemo la responsabilità. Ma non si dica che questa è la questura degli orrori, perché non è vero. E lo dimostrano gli attestati di stima che stiamo ricevendo in queste ore difficili». Attestati di stima che però Padulano non elenca e che, casomai, dimostrano quanto siano marci gli apparati giudiziari di questo paese.
E anche in città lo sdegno per quanto accadeva da mesi non ha dilagato. Martedì circa duecento persone – Occupy Trieste, centri sociali, Fiom, Sel, Rifondazione comunista, qualche associazione antirazzista – hanno manifestato in rappresentanza della ‘città degna’, per chiedere verità e giustizia sulla vicenda.
Ma Trieste, si sa, è “terra di frontiera” e, come si è giustificato Padulano, combattere l’immigrazione clandestina con le leggi e gli strumenti a disposizione è complicato…

mercoledì 16 maggio 2012

Bambino interrompe Mario Monti in una conferenza stampa



Sai che oggi in Italia 1 bambino su 4 è a rischio povertà?
Questo accade sotto i nostri occhi ogni giorno e non possiamo più stare a guardare. Visita il sito della campagna "Ricordiamoci dell'infanzia"http://www.ricordiamocidellinfanzia.it e aiuta Save the Children a chiedere al Governo di intervenire subito.

martedì 15 maggio 2012

Rize of the Fenix

Rize of the Fenix



Tenacious D hanno parlato di Rock Is Dead, brano contenuto nel loro imminente album Rize of the Fenix. Il duo composto dall’attore Jack Black e il comico Kyle Gass ha detto dalle pagine di Billboard che il Rock non è veramente morto, ma comunque non sta bene:
«Quel titolo era troppo forte per non essere usato, molto coraggioso. Ci è sembrato come un pene eretto. Abbiamo pensato ‘il Rock è veramente morto?’. No, ma è molto, molto malato»
Il nuovo Rize of the Fenix uscirà nei negozi lunedì 14 maggio, ma è già ascoltabile completamente in streaming gratuito

"Al Nakba"--The Palestinian Catastrophe of 1948




The Palestinian Exile, also known as Al Nakba (Arabic for "The Catastrophe"), refers to the ethnic cleansing of native Palestinian peoples ... all » during the 1948 Arab-Israeli war.

From December 1947 until November 1948, Zionist forces (namely the Irgun, Lehi, Haganah terrorist gangs) expelled approximately 750, 000 indigenous Palestinians--almost 2/3 of the population--from their homes.

Hundreds of Palestinians were also murdered for refusing to leave their homes. The most notable massacre is the Deir Yassin Massacre, in which an estimated 120 Palestinian civilians were brutally murdered by an Irgun-Lehi force. Other massacres include the ones at Sahila (70-80 killed), Lod (250 killed), and Abu Shusha (70 killed). About 40 other massacres were carried out by Zionist forces in just the summer of 1948.

Not only did Zionist forces conduct massacres of Palestinian civilians, rape occured as well. According to Israeli historian Benny Morris, "In Acre four soldiers raped a girl and murdered her and her father. In Jaffa, soldiers of the Kiryati Brigade raped one girl and tried to rape several more. At Hunin, which is in the Galilee, two girls were raped and then murdered. There were one or two cases of rape at Tantura, south of Haifa. There was one case of rape at Qula, in the center of the country. At the village of Abu Shusha, near Kibbutz Gezer [in the Ramle area] there were four female prisoners, one of whom was raped a number of times. And there were other cases. Usually more than one soldier was involved. Usually there were one or two Palestinian girls. In a large proportion of the cases the event ended with murder. Because neither the victims nor the rapists liked to report these events, we have to assume that the dozen cases of rape that were reported, which I found, are not the whole story. They are just the tip of the iceberg."

During Al Nakba, Palestinians were murdered, raped, and ethnically cleansed from their villages. According to Israeli historian, Ilan Pappe, "In a matter of seven months, 531 villages were destroyed and 11 urban neighborhoods emptied."

Palestinians were forced into were forced out of Palestine and into neighboring countries (i.e. Lebanon, Syria, and Jordan), where they lived in refugee camps. Many were also sent to camps in West Bank and Gaza Strip.

Most Palestinian towns were demolished and taken by the newly established Israeli government to make room for new Jewish immigrants. Old Palestinian infrastructures, as well as many ruins dating back from the Canaanites, Romans, Greeks, Crusaders, Arabs, and Ottoman Turks were completely destroyed. This signified the end of historical Palestine and the birth of modern-day Israel.

Al Nakba marked the beginning of the Palestinian refugee crisis. Al Nakba destroyed a thriving and diverse Palestinian society and scattered them into diaspora. According to the UNRWA, the number of registered Palestinian refugees today is approximately 4.5 million. These refugees are dispersed throughout the world, many of which are still living in poverty-stricken refugee camps. Today, the situation keeps worsening and thousands die from malnutrition, contaminated water, or scarce medical supply.

Israel has since refused to allow Palestinian refugees to return to their homes, and has refused to pay them compensation as required by UN Resolution 194, which was passed on December 11, 1948.

Historically, the Israeli government, Israeli schools, and Israeli historians have denied that Al Nakba has occured. However, The New Historians, a loosely-defined group of Israeli historians, have recently published information recognizing the Al Nakba tragedy and controversial views of matters concerning Israel, particularly events concerning its birth in 1948. Much of their material comes from recently declassified Israeli government papers. Leading scholars in this school include Benny Morris, Ilan Pappe, Avi Shlaim, and Tom Segev. Many of their conclusions have been attacked by other scholars and Israeli historians, who continue deny Al Nakba even occured.



domenica 13 maggio 2012

Documenti: Il '68 - Il Maggio Francese (v./5)



1968 – Il cortile della Sorbona viene occupato da 400 manifestanti che si riuniscono senza alcuna violenza. L’Università viene sgomberata con un aggressivo intervento della polizia, che arresta qualche centinaio di studenti. L’intervento delle forze dell’ordine è vissuto assai male dagli studenti, che si credono garantiti dagli statuti universitari. La reazione è immediata e violenta (lanci di sampietrini e poi barricate). Le manifestazioni riprendono dopo l’annuncio delle condanne al carcere degli arrestati, e cominciano a fiorire gli slogan libertari.
Ebbe così inizio il Maggio Francese, una quasi-rivoluzione, che dalle università si estese alle fabbriche, facendo scricchiolare la Quinta Repubblica. Fu il clou del Sessantotto europeo, quell’eterogeneo movimento giovanile che attraversò mezzo mondo, segnando un’intera generazione. 
La situazione precipitò subito: il 7 e l’8 grandi cortei attraversarono Parigi; il 10 nel Quartiere Latino sorsero barricate e per tutta notte le vie divennero un campo di battaglia, con centinaia di feriti. Il giorno 13 la rivolta toccò l’apice: mentre un manipolo di studenti occupava la Sorbona, 800mila scioperanti bloccavano Parigi, sfilando al grido di “Ce n’est qu’un debut, continuons le combat” (”È solo l’inizio, continuiamo la lotta”).
Ormai il “maggio” non era più solo una rivolta di studenti: la protesta universitaria si era saldata con vertenze contrattuali di varie categorie, creando una miscela esplosiva che sfuggiva di mano anche alla Cgt, la Cgil francese. Fuori Parigi si moltiplicavano le fabbriche occupate: il 14 erano solo due, a Nantes e in Lorena; ma il giorno dopo divennero 50, sparse in tutto il territorio nazionale. Il 20 fu occupato anche il porto di Marsiglia. E il 21, mentre alla Sorbona parlava Jean-Paul Sartre, un nuovo sciopero coinvolse ben 7 milioni di persone.
Poi il vento cambiò, i cortei si assottigliarono e in piazza cominciò a scendere tutta un’altra Francia, quella che chiedeva normalità. Il giorno di svolta fu il 25, quando si registrarono i primi due morti dall’inizio degli scontri, un poliziotto e un manifestante. Il colpo di grazia arrivò il 26, quando i francesi si sentirono dire che la benzina doveva essere razionata, per le difficoltà di rifornimento create da scioperi e disordini. A questo punto De Gaulle sciolse il Parlamento e indisse nuove elezioni per il 23 giugno, che furono fatali alle sinistre. Fu la fine del “Maggio francese”.

sabato 12 maggio 2012

Omicidio Giorgiana Masi






Giorgiana Masi

Manifestazione per gli 8 referendum radicali: a piazza Navona il palco per la manifestazione è pronto (ore 13), poco dopo su di esso si abbatte la furia delle forze dell’ordine e alle 13,30 si ha la protesta in Parlamento di Pannella: alle 13,40 la protesta di Balzamo e alle 13,45 quella della triplice sindacale. Alle 13,55 Cossiga si rifiuta di incontrarsi con una delegazione di parlamentari PSI, DP e PR in merito al divieto della manifestazione. 
Alle 14 Polizia e Carabinieri intensificano il blocco alle strade di accesso a Piazza Navona; alle 14,15 Cossiga afferma che piazza Navona non gode di alcuna forma di extraterritorialità che impedisca la presenza di forze dell’ordine. Il blocco è totale alle 14,15.
Alle 15 davanti palazzo Madama un primo pestaggio ha come vittime un gruppo di giovani radicali che portavano un tavolo per la raccolta delle firme; fra i picchiati il deputato Mimmo Pinto di LC. Poi la prima carica condotta da una trentina di carabinieri armati di fucile. Tre giovani sono duramente picchiati, ammanettati, caricati su un cellulare e condotti via. Vengono spintonati e picchiati anche giornalisti e fotografi: a questi ultimi si impone di consegnare i rullini impressionati.
Alle 15,30 Pannella giunge davanti a Palazzo Madama, poi telefona a Ingrao (presidente della Camera).
Alle 15,45 un funzionario di P.S. avvicina un gruppo di dimostranti (in corso Vittorio), dopo uno scambio di improperi ordina il primo lancio di candelotti. La gente fugge. Il cronista del Messaggero scrive: “Contro giovani che sostano sotto un arco avanza un altro reparto di P.S. partono slogans e il solito grido di “scemi, scemi,”. La polizia risponde con sette-otto candelotti sparati ad altezza d’uomo. I manifestanti si ritirano, poi torneranno indietro e la scena si ripeterà. Fino a questo momento nella zona dei disordini non si sono visti “sampietrini” ne molotov”. 
Ore 16: vengono notati (piazza della Cancelleria) per la prima volta uomini in borghese armati di pistola o pistola mitragliatrice, apparentemente in buoni rapporti con i poliziotti. Vengono sparati lacrimogeni a decine. La polizia ora carica di nuovo, violentemente: una quindicina di persone, tra cui molte ragazze e una donna anziana vengono travolte, cadono. Gli agenti circondano i caduti e colpiscono indiscriminatamente tutti con calci e manganellate. Viene colpita anche una donna anziana. Alcuni candelotti vengono sparati ad altezza d’uomo, altri contro le finestre e la gente che vi si affaccia: due centrano due finestre, in via dei Baulari e in vicolo dell’Aquila. Un candelotto sparato ad altezza d’uomo ha colpito (ore 18,30) la vetrina di un bar in Corso Vittorio, 248, ho chiesto al proprietario: “chi ha sparato? ” “La polizia” mi è stato risposto. All’angolo di via dei Baulari c’è un giovane che sta camminando: dall’ultima camionetta parte un candelotto che lo colpisce in pieno, alle spalle, e lo fa finire tramortito a terra. Cinque agenti scendono, infuriano a calci sul giovane, poi risalgono sulla camionetta. In piazza della Cancelleria la polizia lancia una serie di cariche: è in questa occasione che si sentono i primi colpi di pistola (vedi film sul 12 maggio). Un agente sferra una manganellata alla nuca al fotografo Rino Barillari, de “II Tempo”. Barillari cade, viene portato in ospedale: guarirà in dieci giorni. Un altro fotografo, Sandro Mannelli, del “Messaggero”, viene colpito da un sasso alla nuca; sei giorni di prognosi.
Ore 16,20: in via Sant’Agostino un reparto di carabinieri risponde al grido di “scemi, scemi” con un lancio di candelotti ad altezza d’uomo. Un giovane viene colpito e rimane atterra.
Ore 16,30: Largo Argentina viene coinvolta nella “guerriglia”; l’aria è irrespirabile per il fumo dei candelotti: dieci persone a bordo di un autobus della linea 87 vengono colte da malore; vengono trasportate all’ospedale, gli si diagnostica un’intossicazione.
Ore 17: dimostranti cominciano ad affluire in Viale Trastevere (caricati a Piazza Navona e Campo dei Fiori).
Ore 17-17,30: nella zona di Piazza Navona e adiacenze ancora lancio di candelotti e blocco degli accessi in dette zone.
Ore 17,45: in Piazza della Cancelleria “ci sono agenti in borghese, sparano ad altezza d’uomo”. In quattro o cinque portano via un ragazzo ferito a una mano. Un giovane riceve un candelotto in pieno viso, sull’occhio sinistro. Un altro ancora è ferito a una gamba. Fra gli agenti di Ps che aprono il fuoco viene ritratto in una foto Giovanni Santone, in forza alla squadra mobile.
Ore 18,15: compaiono le prime molotov (zona di Piazza Navona): due o tre al massimo. Ma sono in molti che urlano: “fermi siete pazzi”. La situazione si fa sempre più tesa.
Ore 18,50: divergenze fra i dimostranti sui metodi con cui proseguire la “manifestazione”. in realtà mai iniziata.
Ore 19,00: la violenza degli .scontri sembra diminuire. Poi verso le 19 l’allievo sottufficiale carabiniere Francesco Ruggieri, di 25 anni, viene ferito (ponte Garibaldi, lato  via Arenula) a un polso: la natura della ferita non è affatto chiara. Il fotografo di “Panorama”. Rudy Frei, viene malmenato dalla polizia, che lo costringe a consegnare il rullino impressionato.
Ore 19,10: primi interventi in Parlamento: Pannella (PR), Corvisieri (DP), Ligheri (DC) Pinto (DP), Costa, Giovanardi, Magnani Noya Maria. In questa occasione Pinto denuncia l’aggressione subita e Pannella sferra un violento attacco al governo (latitante) .
Ore 19,45: due grosse motociclette dei vigili urbani arrivano sul lungotevere degli Anguillara, all’angolo con piazza Belli. Le montano tre vigili in divisa e un uomo in borghese, un vigile scende, impugna la pistola e spara ad altezza d’uomo, in direzione dei dimostranti in piazza Belli.
Ore 19,55: Parte, improvviso e preceduta da un fitto lancio di lacrimogeni, una carica da parte dei carabinieri e poliziotti attestati su via Arenula. Giorgiana Masi ed Elena Ascione vengono colpite quasi contemporaneamente, la Masi (accanto a cui era il suo ragazzo, Gianfranco Rapini) al centro di piazza Belli, la Ascione mentre fuggiva verso piazza Sonnino. Le testimonianze sono concordi: i colpi sono stati sparati da ponte Garibaldi, dove in quel momento, al centro, si trovavano carabinieri e poliziotti appoggiati ad una o due autoblindo. Le vittime vengono accompagnate all’ospedale: Giorgiana arriva già morta. Il bilancio finale della giornata: da parte civile si hanno un morto (Giorgiana Masi), 10 feriti da arma da fuoco e varie decine da corpi contundenti vari; da parte militare si ha un carabiniere (Francesco Ruggieri) ferito (non si sa da che cosa) ad un polso. Nei giorni seguenti viene arrestato Raul Tavani, condannato poi a circa 2 anni e 4 mesi per detenzione di materiale esplosivo.
Il giorno dopo, nel quartiere dove abitava Giorgiana Masi a MonteMario, la polizia assalta e spara all’Istituto Tecnico “Fermi”.

venerdì 11 maggio 2012

Bob Marley in Italia 1980



L'11 maggio 1981 è una data davvero importante per il mondo della musica: in questo giorno, infatti, si è spento all'età di appena trentasei anni Robert Nesta Marley in arte Bob Marley.
Un cantante trasformatosi presto in leggenda, che con la sua scomparsa ha lasciato un vuoto incolmabile nel panorama musicale mondiale. Colui che ha portato in tutto il mondo la musica reggae

venerdì 4 maggio 2012

LATINA flash Mob ex lavoratori (licenziati) Midal



Lettera Aperta integrale, pubblicata sul quotidiano la Provincia 1 Maggio. 
Abbiamo scelto di festeggiare il Primo Maggio con un flash mob e nella coreografia daremo spazio alla lettura dei principali articoli che sanciscono i diritti inerenti al lavoro. Per ricordare a tutti che questa festa simbolo è soprattutto una giornata in difesa della dignità stessa che il lavoro offre come opportunità, senza la quale, qualsiasi altra forma di attività per procurarsi da vivere prende il nome di schiavitù. Nella storia del diritto, le norme in difesa dei lavoratori nascono riconoscendo una differenza sostanziale tra il dipendente e il proprio datore, e cioè la natura verticale di questo rapporto, dove "la base" è costituita dal lavoratore stesso. In tal senso, nasce una difesa organizzata dei lavoratori che oggi chiamiamo sindacato, il quale, in virtù delle sue strutture di rappresentanza costituite dagli stessi lavoratori, si pone come mediatore nelle crisi e nelle controversie che possono nascere tra lavoratori ed impresa. Non dovremmo essere costretti a spiegare e ricordare quale sia la funzione della rappresentanza sindacale , e quali intenti dovrebbero animarla, giacché esiste in quanto sono gli stessi lavoratori con le loro tessere a sostenerla. Nessuno chiede alla rappresentanza in quanto "mediatrice" di sostituirsi alla legge o di varare norme apposite, per questo c'è lo Stato con le sue funzioni, non a caso nessun accordo sindacale o tra le parti, può essere di diritto, superiore alle norme stesse del diritto! Varebbe a dire, che ognuno può accordarsi come vuole ,e su cosa vuole, senza per questo dover rendere conto a nessuno e tanto meno alla legge. La situazione che ci ha visto subire un accordo che ha favorito nei fatti un'operazione poco chiara come quella di Midal, dovrebbe far sentire almeno imbarazzati tutti coloro che "nel delirio di salvataggio" che si è scatenato intorno a noi hanno deciso di "mediare" tutto il possibile, compresa la nostra dignità. Quando iniziò questa vicenda , non si sono minimamente preoccupati, se dietro a quella cessata attività dichiarata dalla Midal ci fossero, non in modo "formale", ma "sostanziale", le condizioni di protezione minime dei lavoratori, affichè tutta la vertenza seguisse i passaggi previsti dalla legge. Ad una cessata attività, un sindacato, degno di tale nome, risponde chiedendo un anno di CIGS (cassa integrazione guadagni straordinaria), visto che si trattava di 400 dipendenti, o comunque avrebbe chiesto lumi, qualora questa non potesse essere richiesta, e garanzie su come si intendesse cessare un' attività senza pagare, né le mensilità, né il TFR che tutti i lavoratori Midal attendevano.( Era forse già allora un conclamato fallimento?) E se questa cessata attività, era solo necessaria, come hanno ben lasciato intendere a noi, al passaggio di affitto dal soggetto "A" al soggetto "B", per quale motivo bisognava firmare un verbale di conciliazione? (strumento che viene utilizzato solo nelle controversie, come se avessimo fatto denuncia?) e che vedeva , oltre che ad un ridimensionamento delle nostre mansioni e conseguentemente dei nostri stipendi, un tombale su quanto dovuto? E poneva il recupero di tutte le nostre spettanze in "una giostra" di sostituzioni in solido, dove per riuscire a trovare "il solido" occorreva affidarsi al mago Otelma? Fermo restando che la mission sindacale è anche quella di salvare il salvabile, e nel caso soprattutto i posti di lavoro, vorremmo far notare che a non essere stati riassorbiti, non siamo solo noi "quelli che non hanno firmato" i verbali di conciliazione, sono fuori anche molti altri nostri colleghi, che ad oggi, pur avendo firmato, saranno comunque costretti a muovere causa se vogliono recuperare ciò che spettava loro di diritto. Certo se avessimo presentato tutti per tempo i decreti ingiuntivi saremmo entrati nel fallimento Midal di diritto e sicuramente i primi ad essere liquidati, ma noi avevamo tanto di rappresentanza sindacale ed istituzionale a garantirci. Perché temere? Era solo un affitto d'impresa? Perché preoccuparsi, se è sfumato per noi anche il diritto ad avere un anno di CIGS prevista dalla legge in caso di fallimento?
Finito "il grande deliro del salvataggio" nel quale, per nostra disgrazia siamo stati i primi ad essere soccorsi, è molto irritante per noi assistere un giorno sì e l'altro pure, dalle pagine dei giornali, alla personale difesa che tutti i personaggi della Midal ingaggiano, raccontando come "loro" avrebbero risolto il caso. Non una parola sui superstiti "del salvataggio". Le nostre vite con un assegno di disoccupazione fino a giugno 2012, senza nessun sostegno per tre mesi e in attesa di agganciare l'unico e ultimo ammortizzatore sociale previsto, la mobilità. Qualcuno dovrebbe sentirsi responsabile di una vertenza...

The Freedom Riders History




On Sunday, May 14, 1961—Mother's Day—scores of angry white people blocked a Greyhound bus carrying black and white passengers through rural Alabama. The attackers pelted the vehicle with rocks and bricks, slashed tires, smashed windows with pipes and axes and lobbed a firebomb through a broken window. As smoke and flames filled the bus, the mob barricaded the door. "Burn them alive," somebody cried out. "Fry the goddamn niggers." An exploding fuel tank and warning shots from arriving state troopers forced the rabble back and allowed the riders to escape the inferno. Even then some were pummeled with baseball bats as they fled.
A few hours later, black and white passengers on a Trailways bus were beaten bloody after they entered whites-only waiting rooms and restaurants at bus terminals in Birmingham and Anniston, Alabama.
The bus passengers assaulted that day were Freedom Riders, among the first of more than 400 volunteers who traveled throughout the South on regularly scheduled buses for seven months in 1961 to test a 1960 Supreme Court decision that declared segregated facilities for interstate passengers illegal.
After news stories and photographs of the burning bus and bloody attacks sped around the country, many more people came forward to risk their lives and challenge the racial status quo. Now Eric Etheridge, a veteran magazine editor, provides a visceral tribute to those road warriors in Breach of Peace: Portraits of the 1961 Mississippi Freedom Riders. The book, a collection of Etheridge's recent portraits of 80 Freedom Riders juxtaposed with mug shots from their arrests in 1961, includes interviews with the activists re-flecting on their experiences.
Etheridge, who grew up in Carthage, Mississippi, focuses on Freedom Riders who boarded buses to Jackson, Mississippi, from late May to mid-September 1961. He was just 4 years old at the time and unaware of the seismic racial upheaval taking place around him. But he well remembers using one entrance to his doctor's office while African-Americans used another, and sitting in the orchestra of his local movie theater while blacks sat in the balcony.
"Looking back," Etheridge says, "I can identify with what the white South African photographer Jillian Edelstein has said: 'Growing up white in apartheid South Africa entitled one to massive and instant privilege.' "
A few years ago, Etheridge, who lives in New York City and has worked for Rolling Stone and Harper's, began looking for a project to engage his budding photographic skills. During a visit with his parents in Jackson in 2003, he was reminded that a lawsuit had forced the Mississippi State Sovereignty Commission, an agency created in 1956 to resist desegregation, to open its archives. The agency files, put online in 2002, included more than 300 arrest photographs of Freedom Riders."The police camera caught something special," Etheridge says, adding that the collection is "an amazing addition to the visual history of the civil rights movement." Unwittingly, the segregationist commission had created an indelible homage to the activist riders.
Nearly 75 percent of them were between 18 and 30 years old. About half were black; a quarter, women. Their mug-shot expressions hint at their resolve, defiance, pride, vulnerability and fear. "I was captivated by these images and wanted to bring them to a wider audience," Etheridge writes. "I wanted to find the riders today, to look into their faces and photograph them again." Using the Internet and information in the arrest files, he tracked riders down, then called them cold. "My best icebreaker was: 'I have your mug shot from 1961. Have you ever seen it?' Even people who are prone to be cautious were tickled to even think that it still existed."


Read more: http://www.smithsonianmag.com/history-archaeology/The-Freedom-Riders.html#ixzz1tt6JjSAl

martedì 1 maggio 2012

Words of Women from the Egyptian Revolution | Episode 6: Mariam Kirollos



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The participation of women in the Egyptian revolution didn't come as a surprise to us, nor do we view it as an extraordinary phenomenon.

Women are part of every society and form a part of the social, political and economical spectrum. It is history that tends in most cases to ostracize the participation of women and keep them in the shadow while highlighting the participation of men and attributing leading roles exclusively to them. This is why we want to document and share Her-story.

This project intends to shed the light on the participation of women and to document their experiences as part of the historical (herstorical) memory of the Egyptian revolution. We also view it as a tool for women empowerment everywhere and as a resource for researchers, students and everyone interested in the matter.

Portella della Ginestra: la prima strage di stato





Il primo maggio non va ricordato solo per la festa dei lavoratori. In questo giorno del 1947 a Portella della Ginestra, località montana in provincia di Palermo, avvenne la prima strage dell’Italia repubblicana
La vittoria delle sinistre. La guerra era finita da appena due anni. Quel primo maggio si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, spostata sotto il fascismo al 21 aprile. La vallata di Portella della Ginestra si riempì di duemila lavoratori della Piana degli Albanesi, per lo più contadini, pronti a manifestare contro il latifondismo e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle lezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana. Il ticket Pci – Psi aveva conquistato 29 seggi, contro i 21 della Dc.


L’attentato. Dalle colline circostanti la vallata partirono raffiche di mitra che uccisero undici persone e ne ferirono altre ventisette. La Cgil proclamò lo sciopero generale accusando i latifondisti di voler «soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori». Dopo quattro mesi si scoprì che le raffiche erano state sparate dagli uomini di Salvatore Giuliano, il quale nel 1949 fece recapitare ai giornali una lettera in cui parlava dello scopo politico di questa operazione.


Il bandito Salvatore Giuliano. Furono lui e la sua banda gli autori materiali della strage. Ignoti i mandanti.
All’inizio si disse che la morte era stata opera del capitano Antonio Perenze. Successivamente si scoprì che ad ammazzarlo fu il suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, avvelenato a sua volta in galera nel 1954 dopo aver manifestato la volontà di rivelare i nomi dei mandanti. Nel 1949 l’allora ministro degli Interni Mario Scelba smentì il contenuto di quella lettera, rafforzando l’idea che i banditi si fossero mossi su indicazione della mafia. Il giorno dopo la strage il ministro Scelba riferì all’Assemblea Costituente che dietro quest’azione non c’era nessun altro protagonista oltre al bandito Giuliano. Il processo confermò la responsabilità di Giuliano e si concluse con la condanna all’ergastolo di Pisciotta e di altri componenti della banda.">Archivio ’900riporta le parole di Gaspare Pisciotta, il quale ha sempre sostenuto come ci fosse lo zampino della politica dietro la strage: «Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così: L’onorevole deputato democristiano on. Bernardo Mattarella, l’onorevole deputato regionale Giacomo Cusumano Geloso, il principe Giovanni Alliata di Montereale, l’onorevole monarchico Tommaso Leone Marchesano e anche il signor Scelba. Furono Marchesano, il principe Alliata, l’onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella della Ginestra. Dopo le elezioni del 18 aprile 1948, Giuliano mi ha mandato a chiamare e ci siamo incontrati con Mattarella e Cusumano; l’incontro tra noi e i due mandanti è avvenuto in contrada Parrino, dove Giuliano ha chiesto che le promesse fatte prima del 18 aprile fossero mantenute. I due tornarono allora da Roma e ci hanno fatto sapere che Scelba non era d’accordo con loro, che egli non voleva avere contatti con i banditi».


La canea rossa. Prima di morire per mano di Pisciotta, Salvatore Giuliano spiegò con queste parole il perché della Strage di Portella della Ginestra, parole raccolte dall’archivio Cgil: «Non si poteva restare indifferenti davanti all’avanzata diabolica della canea rossa, la quale, allettando con insostenibili e stolte promesse i lavoratori, ha sfruttato e si è servita del loro suffragio per fare della Sicilia un piccolo congegno da servire al funzionamento della macchina sovietica».
Chi furono i responsabili? Si è capito quindi perché queste persone siano morte, ma non si è mai capito invece chi sia stato il mandante. Mafia, politica, iniziativa personale, fascisti, servizi segreti Usa preoccupati dell’espansione delle sinistre in Italia, latifondisti siciliani. I protagonisti in negativo morirono in pochi anni: Giuliano nel 1950 e Pisciotta nel 1954 avvelenato da un caffé alla stricnina. Anche il processo del 1971, come detto, attribuì la responsabilità alla banda di Salvatore Giuliano.
Oggi a Portella della Ginestra c’è un memoriale realizzato tra il 1979 e il 1980. La si è voluta lasciare all’aria aperta. Un muro a secco di 40 metri fiancheggiato da una trazzera taglia la terra nella direzione degli spari. Tutt’intorno, per un’area di circa un chilometro quadrato si ergono grandi massi in pietra locale, alti da due a sei metri, cavati sul posto della pietraia, uno per ogni morto della strage. Per ricordare i caduti e celebrare una volta di più il primo maggio per la sua vera essenza, la festa del lavoro e della libertà.