Powered By Blogger

lunedì 30 settembre 2013

13th Anniversary II Intifada 27.09.2013



The 27 September 2013 Palestinians marched to conmemorate the anniversary of the II Intifada. Palestinians gathered in the so called "buffer zone" to protest against the Zionist occupation that currently last for already 65 years. The Israeli Ocupation Forces attack the Palestinians demonstrators shooting tear gas canisters when they were throwing stones.

30 settembre 1977 Walter Rossi un assassinio di stato



30 settembre 1977. Un gruppo di fascisti di Balduina e Monteverde usciti dalla sede del MSI di viale delle Medaglie d’oro, scortati da un blindato della polizia che gli fa da scudo, sparano indisturbati su un gruppo di giovani intenti a volantinare. Walter Rossi, 20 anni, compagno di Lotta Continua muore colpito da un proiettile alla nuca. La polizia presente in forze caricherà i compagni che tentano invano di soccorrerlo, consentendo la fuga degli assassini. Nessuna condanna per i colpevoli! Verità e giustizia mal si conciliano nella storia di questo paese, le stragi impunite d’altronde stanno lì a dimostrarlo…
Con l’assassino di Walter – Cristiano Fioravanti – si arriva al paradosso della concessione di misure premiali che gli consentono una vita comoda a spese della collettività.
Walter muore da antifascista, difendendo l’agibilità politica di tutti i democratici della Capitale che in centomila parteciperanno accanto al presidente partigiano Sandro Pertini ai suoi funerali.
Da allora fino ad oggi, il ricordo di Walter, così come la voglia di urlare la verità e le complicità sul suo omicidio, non sono mai scemati, ed ogni 30 settembre i suoi compagni ne hanno dato prova, ribadendo la volontà di non lasciare la memoria di Walter nelle mani di opportunisti e mistificatori.
30 settembre 2009. “Ignoti – riportano i giornali – gettano nella spazzatura la corona posta dal sindaco Alemanno sul monumento in memoria di Walter Rossi, sostituendola con quella a firma dei Compagni di Walter”. Nel comunicato, gli autori denunciano il tentativo del sindaco con la croce celtica al collo, di volersi appropriare della memoria del compagno ucciso a scopi propagandistici.
30 settembre 2010. Alcune decine di compagni occupano Piazza Walter Rossi, dove è atteso Alemanno per il comizio celebrativo e la rituale apposizione della corona; ma il Sindaco arriverà dopo molte ore, e solamente dopo lo scioglimento del presidio dei compagni, comparirà circondato dai funzionari comunali e lascerà immediatamente la piazza tra le contestazioni dei pochi compagni rimasti.
30 settembre 2011. La mobilitazione dei compagni di Walter è iniziata già da prima dell’estate. Le vie del quartiere, compresa quella dove abita il sindaco, sono tappezzate da manifesti che chiamano alla mobilitazione antifascista; sarà una 24 ore no-stop, con la piazza intitolata a Walter piena di compagni che terranno lontane le presenze indesiderate ed un folto corteo per le strade di Balduina e Monte Mario.
11 Marzo 2013  La lapide che ricorda la morte di Walter Rossi, ucciso a vent’anni in un agguato fascista il 30 settembre del 1977, versa nel più completo abbandono in via delle Medaglie d’Oro. Sono in corso i lavori per il rifacimento del marciapiede, ma la lapide è stata lasciata in mezzo alla strada tra ruspe e macerie, e non si sa bene quale fine farà.
26 settembre 2013 “Oggi, insieme all’Assessore ai Lavori Pubblici, Alessio Cecera, abbiamo ultimato i lavori di manutenzione e riqualificazione della lapide commemorativa di Walter Rossi”. Sono le parole di Julian Colabello, capogruppo PD dell’ex XIX Municipio, ora XIV. “Grazie alla disponibilità del capogruppo di SEL Fabrizio Modoni e col contributo di tutti i consiglieri del centrosinistra, abbiamo inoltre posizionato accanto alla lapide una pianta d’ulivo. Questo – prosegue Colabello – per dare un segno concreto di vicinanza da parte delle istituzioni in occasione della ricorrenza di questo tragico e barbaro omicidio, nel solco di un’azione politica volta a proseguire il lavoro di riappacificazione dopo gli Anni di Piombo che hanno segnato la storia del nostro paese. Walter Rossi è morto a soli vent’anni: la sua targa meritava di essere valorizzata, non lasciata nell’incuria e nell’abbandono di un parcheggio a Viale delle Medaglie d’Oro”. “Siamo quindi pronti a presenziare all’anniversario della morte di Walter, il 30 settembre, insieme ai democratici di Balduina e di tutto il Municipio”, conclude Colabello.
Da questa continuità nasce la volontà di mobilitarsi anche quest’anno, facendo del 30 settembre 2012 una mobilitazione antifascista cittadina che oltre a ricordare il 35°anniversario dell’omicidio di Walter,
faccia chiarezza sui disegni spregiudicati di chi nel nome di una memoria condivisa e incurante delle ferite ancora aperte, vuole accreditarsi ancora una volta come candidato alla poltrona di sindaco;
denunci il nuovo sacco di Roma, condotto da ex appartenenti ai NAR, Avanguardia Nazionale, Terza Posizione, messi dal Sindaco nei punti chiave delle società partecipate dal Comune a presidio e spartizione dei fondi destinati a Roma Capitale;
manifesti contro il ritorno della violenza fascista nei nostri quartieri, rafforzando la mobilitazione democratica in previsione della campagna elettorale per le elezioni amministrative che nelle sue premesse si annuncia incandescente, pretendendo la chiusura delle sedi di Casa Pound e Forza Nuova.
Riteniamo necessario promuovere perciò una mobilitazione unitaria, capace di coinvolgere tutte le forze che nella difesa dei valori della Resistenza e della Democrazia hanno trovato motivo di esistere, dal dopoguerra fino ai giorni nostri. I Resistenti, i Partigiani hanno lasciato un patrimonio di valori che nell’avvicendamento generazionale corre il rischio di essere disperso, e che perciò tutti gli antifascisti hanno il dovere di raccogliere e diffondere; valori di uguaglianza sociale e solidarietà intramontabili.
‘L’Anpi di Roma aderira’ alla manifestazione organizzata per i giorno 30 settembre dagli antifascisti romani per ricordare Walter Rossi, il giovane militante ucciso dai fascisti nel 1977 a Viale delle Medaglie d’oro”. L’annuncio viene dalla stessa Associazione dei partigiani che sara’ il 30 settembre alle 9, alla cerimonia in Piazza Walter Rossi, con la partecipazione del Sindaco di Roma Ignazio Marino, del Presidente della Regione Lazio Zingaretti e dei Presidenti dei Municipi interessati e nel pomeriggio, alle 17,00, partecipera’ al corteo da Piazzale degli Eroi alla lapide che ricorda Walter Rossi
Gli appuntamenti della mobilitazione 
30 settembre, ore 09,00, cerimonia in Piazza Walter Rossi
30 settembre, ore 17,00, corteo da Piazzale degli Eroi alla lapide che ricorda Walter Ross

domenica 29 settembre 2013

Michele Ferrulli: "Aiuto! Basta!", ma "loro" non si fermano...Anzi! Non ...

καταληψη ορφανοτροφείο 5



Grecia: questa mattina un gruppo di persone ha rioccupato lo spazio 'Orfanotrofio' di Salonicco, nel quartiere Toumba. Si tratta appunto di un ex orfanotrofio abbandonato da tempo e occupato a scopo abitativo che era già stato oggetto di sgombero poche settimane fa, il 2 settembre, quando la polizia aveva fatto irruzione nello spazio alle prime ore del mattino, fermando e denunciando tutti gli occupanti.
Oggi lo spazio è stato nuovamente occupato e dal tetto è stato calato uno striscione che annunciava l'azione; nel frattempo decine di persone solidali affollavano la strada di fronte all'edificio. Intorno a mezzogiorno un ingente dispiego di forze dell'ordine è giunto sul posto, circondando tutti i presenti e poi arrestandoli dopo che questi erano saliti sul tetto per resistere. Dopodiché lo spazio è stato sgomberato una seconda volta.
A quanto pare l'accanimento nei confronti dell'ex Orfanotrofio sembra dettato dal fatto che questo sia stato destinato alla Diocesi locale, così come affermato alcuni mesi fa dal Ministro della salute, e che quindi sull'edificio si allunghi l'ombra della Chiesa.
Di seguito il video dello sgombero di questa mattina:

Marzabotto autunno 1944



Nel settembre del 1944 le forze alleate riescono a sfondare la linea Gotica, la linea difensiva organizzata dai tedeschi che tagliava in due l' Italia da Massa-Carrara a Pesaro e arrivano nei pressi delle colline di Monte Sole sulla media collina a sud di Bologna. In contemporanea in quella zona opera la Brigata Partigiana denominata Stella Rossa composta da circa 800 uomini, che sta dando molti fastidi ai nazisti e questi decidono di annientarla sia per gli attentati che ha fatto sia per impedire a quei partigiani di ricongiungersi con gli alleati. L'ufficiale delle SS Walter Reder già autore dell'eccidio di Sant' Anna viene incaricato di condurre l'operazione, La mattina del 29 settembre del 1944, quattro reparti delle truppe naziste, comprendenti sia SS che soldati della Wermacht, accerchiano e rastrellano il territorio tra le valli del Setta e del Reno, utilizzano anche armamenti pesanti. Quindi nelle frazioni di Panico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe e dalla periferia di Marzabotto iniziano a uccidere e bruciare tutto quello che si trova sul loro cammino, questa manovra viene invano contrastata dai partigiani che perdono subito il loro capo Mario Musolesi e non dispongono ne di armi ne uomini sufficienti per reggere il confronto, porta al massacro di 770 persone di cui la maggioranza sono donne e bambini. Le operazioni dei nazisti continuano per sei giorni e viene colpita la frazione di Casaglia di Monte Sole dove tutte le persone vengono condotte al cimitero locale li fanno appoggiare a una Cappella e iniziano a sparare molto basso con le mitragliatrici per essere sicuri di colpire anche i bambini e gettano contro gli ostaggi anche delle bombe a mano, poi tocca agli abitanti di Caprara di Marzabotto che vengono legati a gruppi man mano che vengono trovati e quando il gruppo è composto da un discreto numero di persone viene mitragliato e colpito con le bombe a mano, e continuano in tutte le località della zona. La strage di Monte Sole più comunemente ricordata come la strage di Marzabotto, dal nome del comune più grande oggetto della rappresaglia è stata la più feroce della storia criminale compiuta dai Nazisti in Italia è difficile sapere il numero esatto delle vittime, ma sembra che al termine delle operazioni in tutte le località i morti siano stati più di 1800, con un numero altissimo di ragazzi e bambini sotto i 16 anni circa 230.

sabato 28 settembre 2013

Comitato NOTAV Susa-Mompantero conferenza stampa sulla militarizzazione ...

NoTerzoValico



Si può da oggi guardare in rete il documentario NoTerzoValico realizzato da José Palermo e Antonio Petracca. Trattasi della prima opera video realizzata sulla lotta contro la grande opera, girata fra Maggio e Giugno 2012 e realizzata su iniziativa del Comitato Popolare No Terzo Valico di Alessandria.
La presentazione:
Il Comitato Popolare No Terzo Valico di Alessandria presenta
NoTerzoValico
un progetto delirante inutile dannoso
Fenix Autoproduzioni Torino
Realizzato da José Palermo e Antonio Petracca
Questo film documento, al di là dell’innegabile contenuto informativo sui danni, l’inutilità e l’assurdità del Terzo Valico, si presenta come un’immagine corale, dove la forma espressiva scelta evidenzia uno spaccato di tutte le anime che agitano lo scenario della contrarietà al Terzo Valico, piemontesi e liguri.
Le ragioni del “NO” si comprendono direttamente dalla voce degli artefici di questo variegato movimento, attraverso i comitati di ogni territorio.
Ma le interviste sono anche fatte a pioggia, nelle strade e nelle piazze di Alessandria, per verificare la conoscenza dell’argomento in città.
Le immagini danno il tocco da maestro, dalla scuola elementare di Trasta ai territori che verranno devastati.
Il film conclude con la manifestazione del 26 Maggio ad Arquata dove la protesta ha assunto i colori della festa.
Si ringraziano i Comitati No Tav No Terzo Valico di Arquata Scrivia, Novi Ligure, Val Lemme, l’A.F.A. Amici delle Ferrovie e dell’Ambiente, il Comitato Proteggiamo Villa Sanguineti di Trasta (GE).
Per le musiche Andrea Serrapiglio e Luca Serrapiglio.
Si ringraziano inoltre il Comitato No Tav Mugello e il Comitato No Tunnel Tav di Firenze.
Girato fra Maggio e Giugno 2012
No Copyright
Questo video non è sottoposto ad alcun copyright
Chiunque è libero di riprodurlo, in parte o totalmente
Presso i Comitati è disponibile il DVD con i seguenti Contenuti Speciali:
- Il post cantieri nel Mugello
- L’area di sosta più grande d’Europa
- No Tunnel TAV Firenze

mercoledì 25 settembre 2013

Federico Aldrovandi avrebbe 26 anni ma incontrò la polizia quel 25 settembre del 2005



“Oggi ne avresti 26 di anni e chissà quante cose belle o meno belle avremo condiviso insieme. Non crescerò mai Federico, come l’hanno maledettamente impedito a te. Non cresceremo mai, ma altri bimbi forse si, se gli uomini di buona volontà sapranno prendere spunto e insegnamento da questa orribile storia, in questo nostro paese.Buon compleanno Federico, in attesa di quel che verrà…Lino”
Si conclude così  il tenerissimo ricordo del figlio Federico, che avrebbe compiuto gli anni il 17  luglio 2013, del padre Lino, sul blog a lui dedicato se non fosse che fu  ammazzato dalla polizia. Il 2 gennaio del 2006 la madre di Federico, Patrizia Moretti, aprì un blog su internet, chiedendo che venisse fatta luce su tutta la vicenda.
Era il 25 settembre del 2005 quando, a Ferrara, Federico Aldrovandi, a soli 18 anni, morì pochi minuti dopo essere stato fermato dalla polizia nei pressi dell’ippodromo; vennero indagati per la sua morte quattro poliziotti condannati in via definitiva il 21 giugno 2012 a 3 anni e 6 mesi per “eccesso colposo in omicidio colposo”.
Su Facebook a nome di Federico Aldrovandi  scrive  ancora il padre:  “Sono molto stanco Federico, per tanti motivi…, come penso lo siano tanti altri cittadini…, impegnati anima e corpo nel rincorrere un poco di pace e serenità attraverso piccole giustizie e giuste richieste…, che dovrebbero essere dovute… L’altra sera, nel vedere gli occhi e gli sguardi di tanti giovani e di tante persone di ogni età ho rivisto la tua voglia di vivere Federico. Ad un certo momento, mettendomi in disparte nel buio… ho anche pianto pensando a tante cose…C’era comunque una luna bellissima, e l’amore lì si toccava con mano, o meglio si accarezzava con il cuore, come in questa canzone che ogni notte ascolto come un ragazzino mai cresciuto. http://www.youtube.com/watch?v=qj2XMcjRPSU”
E’ una bellissima canzone di Miguel Bosè. Vorrei  solo   far conoscere la storia di Federico (si chiama come mio figlio) a chi probabilmente non ne sapeva l’ esistenza. Io l’ ho appresa dalla Rete nel 2006, grazie a internet.
Doriana Goracci
Così stanotte voglio una stella a farmi compagnia  che ti serva da lontano ad indicarti la via  così amore amore amore, amore dove sei?  Se non torni non c’è vita nei giorni miei.
- See more at: http://www.reset-italia.net/2013/09/24/federico-aldrovandi/#sthash.wp9Y9NtC.ifOhzw6u.dpuf

lunedì 23 settembre 2013

RED! La storia di RedHack



Un documentario della casa cinematografica indipendente BSM sul leggendario gruppo di hacker turchi da sempre schierati dalla parte dei movimenti sociali e dell'informazione libera. Sessanta minuti di filmato per comprendere meglio il mondo dell'hacktivismo.
redhack_clipboard_1Sottotitolato in italiano dal team di traduttori di Infoaut.org, Red!arriva sugli schermi dei vostri computer al momento giusto. Prodotto dalla casa cinematografica indipendenteBSM, questo documentario dal ritmo incalzante ha infatti il pregio di addentrare lo spettatore, anche quello a digiuno di tecnologia, inuno dei terreni più inesplorati e allo stesso tempo qualificanti dei conflitti odierni: quello dell'hacktivism, termine derivato dalla commistione di due parole (hacking e activism) che individua nei dispositivi e nei network digitali un terreno di scontro e cambiamento sociale.
A reggere il filo rosso dei sessanta densissimi minuti di filmato (tutti liberamente visualizzabili su Youtube) ci sono le voci dei Redhack, celeberrima crew di hacker comunisti turchi salita recentemente alla ribalta delle cronache per aver partecipato a giugno alla rivolta di Gezi Park. Data di fondazione 1997, questa formazione di hacktivisti aveva però fatto parlare di sé già in passato, sia per il suo supporto alla causa curda che per l'intrusione nei sistemi informatici del direttorato della polizia di Ankara. Il suo exploit più clamoroso tuttavia era stato quello che aveva portato alla violazione della rete del Concilio Turco per l'Alta Educazione, dai cui database erano emersi decine di migliaia di documenti che testimoniavano quanto il fenomeno della corruzione fosse radicato nella gestione del sistema educativo del paese. Un attivismo costato caro a diversi membri dell'organizzazione, additati come terroristi dalla stampa locale ed arrestati dalle autorità con capi d'imputazione che prevedono pene fino a ventiquattro anni di detenzione.
Abilmente intessuta dal regista Mustafa Kenan Aybastı, la trama dell'epopea dei RedHack non viene però circoscritta alla sola infosfera turca. Al contrario la struttura dell'opera, pur prendendo le mosse dalla loro vicenda particolare, si dota di un ampio respiro narrativo ed ha l'ambizione di gettare uno sguardo approfondito su quel variegato universo fatto di esperienze di conflitto mediato dalla rete che vanno sotto il nome di hacktivism.
A fare da sfondo la controrivoluzione neoliberista e lo slittamento del sistema produttivo verso il paradigma post fordista da cui Internet emerge come nuovo campo di battaglia. Un terreno questo tutt'altro che pacificato, attraversato com'è da un nugolo di acute tensioni: l'identità verificatasi tra economia globale ed economia di rete, ha reso infatti il web un boccone succulento per stati, multinazionali ed organizzazioni criminali in competizione tra loro per assicurarsene il dominio. Uno scontro senza quartiere i cui primi target sono milioni di utenti ignari, la cui accresciuta dipendenza dai network digitali li rende facile preda delle mire di attori senza scrupoli, interessati a saccheggiarne i dati su larga scala o ad implementare regimi di censura e sorveglianza sempre più feroci e capillari.
Ma «dove c'è crudeltà, è legittimo ribellarsi», dice Sirine, una delle hacktiviste di RedHack. E se lo sviluppo della tecnologia ha posto le basi per rinnovate forme di sfruttamento, comando e controllo, deviarne il corso, sovvertirla, metterci le mani sopra, hackerarla e produrre nuovi strumenti per armare l'opposizione al potere è sempre possibile. Quali sembianze dovrebbe assumere allora questa ribellione? Tenuto conto delle debite differenze, vi è un solo postulato che accomuna tutte le esperienze di hacktivism da Redhack ad Anonymous passando per Wikileaks: l'informazione, tutta l'informazione, deve essere libera. Nondimeno secondo gli hacker in rosso (che si definiscono come «una forza di attacco, difesa, ricerca e sviluppo dei lavoratori turchi») obiettivo primo dell'hacktivism è quello di modellare l'opinione pubblica, utilizzando internet come rampa di lancio e vettore di propaganda.
Mettere fuori gioco i siti istituzionali della provincia di Sivas per ricordare il massacro degli intellettuali aleviti consumatosi nel luglio del 1993; fare incursione nei server della municipalità di Istanbul per cancellare tutte le multe inflitte ai cittadini; prendere possesso di portali web governativi ed utilizzarli come vetrina per diffondere messaggi a favore del movimento durante le proteste di Gezi Park; sono tutte pratiche per creare pressione sullo spazio pubblico dell'informazione e spezzarne l'equilibrio simbolico, matrice e collante delle rappresentazioni che il potere da di sé stesso.
«Se l'egemonia ideologica è una guerra contro la consapevolezza, il cyberspazio è uno dei fronti più importanti» su cui combattere per sabotare le tassonomie concettuali e le gerarchiecognitive che strutturano il movimento del pensiero ed ordinano la nostra percezione dell'ambiente circostante. Qual'è stato allora il colpo più audace messo a segno dai RedHack nella Turchia di Tayyip Erdoğan? Semplice. Quello di aver hackerato l'idea che il popolo aveva dell'AKP. Dopo un decennio di dominio incontrastato in cui il partito islamista conservatore era sembrato intoccabile, un manipolo di attivisti dotato di risorse limitate è stato in grado di metterlo sotto attacco e ridicolizzarlo in rete. La cortina di invulnerabilità che lo avvolgeva si è fatta meno spessa. Diradandosi ha lasciato spazio a tre parole, semplici e per questo potentissime: «Si può fare». Parole che, non abbiamo dubbi, tra gas lacrimogeni, proiettili e vite spezzate, risuonano martellanti nella testa dei ragazzi e delle ragazze di Istanbul, Ankara e Smirne che da mesi si stanno scontrando in piazza col regime.
redhack_clipboard_3Non stupisce che in patria i RedHack siano considerati alla stregua di eroi. Una popolarità cui fa da contraltare unarepressione indiscriminata che non manca di mietere vittime innocenti. È il caso di Duygu Kerimoglu, giovane studentessa universitaria arrestata con l'accusa di far parte dell'organizzazione di hacker e rilasciata solo dopo nove mesi di detenzione preventiva, nonostante l'assenza di prove a suo carico. Un episodio a fronte del quale gli autori del documentario, anche grazie al contributo di avvocati ed esperti di diritti digitali, lasciano cadere un secco interrogativo: chi è il terrorista? Un'autorità politica che nega le più elementari garanzie previste dallo stato di diritto o un gruppo di hacker che mette in luce come, nascosta sotto una patina di legalità, la corruzione venga eletta ad elemento strutturale del sistema? E ancora, com'è possibile che l'intrusione in un singolo sistema informativo, effettuato con l'intento di condividere le informazioni in esso contenute, venga considerato una forma di terrorismo, mentre la violazione sistematica della privacy delle nostre comunicazioni operata da sistemi di sorveglianza globale (come PRISM) sia ritenuta un mezzo per combatterlo?
La verità è un'altra. I RedHack, come Chelsea Manning, Edward Snowden o i ragazzi di Anonymous Italia non sono affatto dei terroristi. E la loro unica colpa non è neppure quella di essere hacktivisti ma di aver fatto una scelta: quella di schierarsi dalla parte dell'informazione libera. Una presa di posizione all'insegna di un vecchio adagio hacker, oggi più valido che mai: siamo noi a dover utilizzare la tecnologia e non viceversa. Hands on allora! Mettiamoci le mani sopra. Questo è l'insegnamento che possiamo trarre dalle loro storie. E questo è il messaggio che attraversa Red! dal primo all'ultimo fotogramma.

mercoledì 18 settembre 2013

Grecia, rapper Antifascista ucciso da alba dorata



Pavlos Fyssas, rapper Antifascista di 34 anni noto col nome di Killah P, è stato accoltellato a morte questa notte dai fascisti di alba dorata.
Il tutto è avvenuto nel sobborgo di Keratsini, a ovest di Atene, dove Killah P stava passeggiando assieme alla fidanzata e altre due persone; intorno alla mezzanotte un gruppo di una ventina di neofascisti ha cominciato ad urlare insulti nei loro confronti e poco dopo si è messo a rincorrerli fino a corso Lampraki, dove da una seconda strada è spuntato un altro gruppo di appartenenti ad Alba Dorata che ha circondato il rapper.
E’ stato a quel punto che una macchina ha inchiodato nei pressi del gruppo che stava aggredendo Killah P, il guidatore è sceso e ha accoltellato il rapper antifascista prima al cuore e poi all’addome.
L’intera scena si è svolta sotto lo sguardo di una moto della polizia che solo ad aggressione compiuta e con la maggior parte del gruppo di fascisti ormai dileguatosi si è avvicinata e ha arrestato l’assassino del rapper: si tratta di un uomo di 55 anni appartenente ad alba dorata.
Killah P è stato portato via in ambulanza ma è morto poco dopo l’arrivo in ospedale per le gravi ferite riportate.
Stando ai primi racconti che circolano sul web da stanotte, le modalità con cui l’omicidio è avvenuto non lasciano molto spazio a dubbi rispetto al fatto che si sia trattato di una vera e propria aggressione programmata, svoltasi ancora una volta con la connivenza e la complicità della polizia greca che fin dal primo nascere della formazione neofascista di alba dorata ha sempre dimostrato ampie collusioni ed appoggio al gruppo e che questa notte ha lasciato che la violenza neonazista potesse compiersi indisturbata.
Tanto i media grecia quanto quelli nostrani, inoltre, in parte hanno optato per il silenzio totale sulla notizia e in parte in queste ore stanno diffondendo resoconti dell’aggressione ampiamente falsati, riportando di una discussione calcistica degenerata in rissa all’esterno di un bar.
Dopo le innumerevoli aggressioni per mano di alba dorata a danno di migranti, antifascisti e militanti della sinistra che hanno costellato gli ultimi mesi (l’ultima risale solo a pochi giorni fa, quando 8 militanti del partito comunista KKE sono stati aggrediti non lontano dal luogo dell’omicidio di stanotte), il gruppo neonazista ha optato stanotte per una vera e propria trappola omicida da indirizzare contro chi, come KIllah P, ha sempre professato l’antifascismo nei testi delle proprie canzoni. E’ evidente che il tentativo di alzare la testa e le aggressioni compiute indisturbate da parte dei militanti di alba dorata si stanno compiendo grazie all’appoggio più o meno esplicito di polizia, parte dei media e dell’arco parlamentare, in un momento in cui il governo si trova a fronteggiare nuove e grosse difficoltà alle prese con nuove ondate di scioperi e proteste in tutta la Grecia.
Nel frattempo ad Atene e nel resto del paese sta montando la rabbia per la notizia dell’uccisione di Killah P e per questo pomeriggio è stata lanciata una manifestazione antifascista che partirà dal luogo dell’omicidio alle 18, mentre si preparano cortei anche a Thessaloniki, nei campus universitari e in diverse altre città greche

sabato 14 settembre 2013

14 settembre 2008: Milano, l'omicidio di Abba



Abdul William Guiebre, Abba per gli amici, viene ucciso a sprangate il 14 settembre 2008 per un furto di una scatola di biscotti, a soli diciannove anni. Originario del Burkina Faso, Abba viveva con la madre, il padre e tre sorelle a Cernusco sul Naviglio (Milano).
La mattina del 14 settembre, dopo aver trascorso la notte in un locale di Milano, Abdul, John e Samir si dirigono con i mezzi pubblici in via Zuretti, vicino alla Stazione Centrale, con l'intenzione di proseguire la serata al centro sociale Leoncavallo.
Durante una breve sosta ad un bar vengono raggiunti da un furgone da cui scendono due uomini; Fausto Cristofoli di 51 anni e il figlio Daniele di 31, che ripetutamente accusano i tre ragazzi di averli derubati.
In questo gesto si può già distinguere il movente razzista che si nascondeva dietro a questi personaggi e dietro a tutta la vicenda intera: la famiglia Cristofoli infatti accusava i giovani solamente del furto dell'intero incasso della notte e non di altri articoli in vendita nel loro negozio.
Padre e figlio cominciano quindi a minacciare Abba e i suoi amici con una sbarra di ferro, lanciando epiteti tra cui "Ladri", "Sporchi negri vi ammazziamo", "Negri di merda".. costringendo i tre ragazzi a difendersi con bottiglie e bastoni.
Purtroppo Abba non riesce a sfuggire alle sprangate di Daniele Cristofoni che, dopo averlo colpito ripetutamente con l'asta di ferro usata per chiudere la serranda del negozio, lo lascia a terra agonizzante, scappando il più in fretta possibile insieme al padre.
Abdul, in coma, viene portato all'ospedale Fatebenefratelli, dove è dichiarato morto intorno alle 13:30.
I due aggressori vengono fermati qualche giorno dopo l'omicidio e condannati a quindici anni e quattro mesi, con l'obbligo di un risarcimento di centomila euro alla famiglia di Abba.
Nonostante questo episodio sia stato definito da molti una ''lite degenerata per futili motivi'', si riconosce fin da subito la vera natura della famiglia Cristofoli, caratterizzata da un feroce odio razziale.
Il giorno dopo i risultati dell'autopsia, molti sono coloro che decisero di ricordare Abba in un corteo partecipatissimo, condotto dagli stessi amici del ragazzo, facendo esplodere la rabbia per la sua morte in tutte le vie di Milano. In corrispondenza di via Zuretti, molti dei partecipanti iniziano a correre per raggiungere il bar della famiglia Cristofoli, prontamente difeso da un vasto schieramento di forze dell'ordine, riuscendo a forzare in parte il cordone e raggiungere il luogo in cui Abba era stato ucciso.
La giornata termina con l'ascolto in piazza delle canzoni preferite da Abba, ballate e cantate a gran voce, e con il cambio del nome della via, ribattezzata ''Via Abba''.

giovedì 12 settembre 2013

12 settembre 1977 Biko assassinato in carcere



Steve Biko nacque il 18 dicembre 1946 e fu un noto militante nella lotta contro l’apartheid e lo sfruttamento della popolazione nera sudafricana e appartenete al Black Consciousness Movement (BCM).
Nel 1972 fu espulso dall’università di Natal a causa della sua militanza. Fu costretto quindi a rimanere nel distretto di King William’s Town, gli fu vietato di parlare in pubblico, scrivere o parlare con i giornalisti e frequentare più di una persona alla volta. In più fu vietato a chiunque di citare qualsiasi suo scritto.
Durante il suo soggiorno coatto nel distretto di King William’s Town iniziò a coinvolgere la popolazione nera e le altre minoranze etniche in collettivi autorganizzati
Nonostante la repressione Biko e il BCM ebbero un ruolo fondamentale nell’organizzazione della rivolta di Soweto del giugno 1976, durante la quale studenti neri erano scesi in piazza contro la politica segregazionista del National Party, per essere poi duramente repressi dalla polizia, che uccise diverse centinaia di persone durante i dieci giorni di scontri. Dopo la rivolta, per i funzionari razzisti sudafricani, divvenne fondamentale l’eliminazione fisica di Biko.
L’occasione venne quando Biko fu fermato in un posto di blocco della polizia e arrestato con l’accusa di terrorismo il 18 agosto 1977. In caserma fu interrogato per ventidue ore di fila, picchiato e torturato dagli ufficiali di polizia Harold Snyman e Gideon Nieuwoudt nella stanza interrogatori 619.A causa del vile pestaggio Biko entrò in coma.
A questo punto i due sbirri lo ammanettarono e caricarono nudo nel bagagliaio della loro Land Rover per portarlo al carcere di Pretoria distante 1100 Km. Morì il 12 settembre 1977 a causa di una vasta emorragia cerebrale appena arrivato a Pretoria.
La polizia subito spiegò la morte come la conseguenza di un ipotetico sciopero della fame, ma l’autopsia rivelò le ferite del pestaggio tra cui quella mortale alla testa. Nonostante le prove evidenti del brutale omicidio la polizia riuscì ad insabbiare la storia.
Solo i gironalisti Helen Zille e Donald Woods, molto amici di Biko, qualche tempo dopo, riuscirono con un costante lavoro di controinchiesta a far emergere la verità sull’assassinio del loro amico.
Data la popolarità di Biko la notizia della sua morte si diffuse rapidamente aprendo molti occhi sulla brutalità del regime Sud Africano.
Al suo funerale parteciparono decine di migliaia di persone.
I giornalisti che indagarono su questa storia furono costretti a scappare dal Sud Africa a causa delle persecuzioni della polizia e nessuno dei due poliziotti omicidi fu mai processato dal governo razziata bianco nè dal successivo governo “democratico”.

mercoledì 4 settembre 2013

NoDalMolin entrano nella base Usa al Dal Molin. No alla guerra



Sono mesi che i reticolati militari dell’esercito statunitense a Vicenza vanno giù. Prima Site Pluto; poi base Fontega. Lo scorso 30 giugno, ancora Site Pluto, con l’intera zone d’ingresso dell’installazione militare aperta. Oggi, gli attivisti NoDalMolin, sono arrivati al cuore della 173° Brigata Aerotrasportata di stanza nella città berica, lasciando all’interno un proprio, inequivocabile, messaggio: uno striscione con scritto “Stop war in Siria” e alcune bandiere NoDalMolin.
Duecento attivisti del Presidio Permanente NoDalMolin, infatti, sono entrati a mezzogiorno all’interno della nuova base Usa dopo aver tagliato alcune centinaia di metri di recinzione e filo spinato. L’iniziativa è una risposta concreta e diretta contro l’ipotesi dell’ennesima guerra umanitaria, questa volta in Siria, che non porterebbe altro che nuovi lutti e distruzioni. In questo senso l’Italia è - volente o nolente e nonostante i digiuni di certi Ministri - ancora una volta in prima linea, grazie alle basi militari che ospita e che sono regolate da accordi segreti stipulati nel 1954 nei quali, di fatto, si concede carta bianca all’esercito nordamericano.
Un’azione, quella di oggi, che anticipa di pochi giorni la manfestazione in programma per sabato 7 settembre a Vicenza quando un corteo tornerà proprio nell’area del Dal Molin per esprimere contrarietà a ogni guerra e alla militarizzazione del territorio.
Ma la manifestazione si inserisce nella campagna contro le servitù militari lanciata dal Presidio Permanente NoDalMolin dopo l’inaugurazione della nuova basa Usa e chiamata “Vicenza libera dalle servitù militari”. In questi anni di mobilitazione, infatti, la città ha strappato agli statunitensi un angolo del proprio territorio, proprio laddove i militari avevano progettato la loro pista di volo. E, oggi, quello che doveva essere il pugno di ferro statunitense pronto a intervenire in tempi brevi in qualunque scenario mediorientale e africano, rischia di intasarsi alla prima rotatoria che incontra, 200 metri oltre i cancelli della base.
E’ a partire dalla smilitarizzazione di quell’area – che oggi è diventata patrimonio della città – che la mobilitazione vicentina guarda al futuro, cercando strumenti e pratiche per liberare la propria terra dalle basi di guerra; e le cesoie, da molti mesi, hanno sostituito le pignatte, divenendo simbolo di una comunità per la quale liberare la propria città non è uno slogan, ma una pratica. Da costruire nel proprio territorio e da condividere con altre comunità in lotta; come, per esempio, quella siciliana che si batte contro il Muos e che, lo scorso 9 agosto, ha violato la base di Niscemi. O i movimenti di Giappone, Korea, Hawaii, Stati Uniti, Filippine, e tanti altri Paesi incontrati domenica scorsa grazie alla global conference internazionale che si è svolta all’interno del Festival NoDalMolin.
Sabato, intanto, si torna in piazza, con una manifestazione che partirà dal Festival NoDalMolin alle 15.30 e raggiungerà, ancora una volta, l’area del Dal Molin. Le cesoie di cartone saranno ancora una volta nelle mani di centinaia di persone, come è successo lo scorso 2 luglio. Perché, da sette anni a questa parte, siamo tutti colpevoli di amare Vicenza.
Presidio No Dal Molin

martedì 3 settembre 2013

LE DONNE VENDONO, VENDI LE DONNE (Il film completo)



"Come l'operaio si ritrova alienato nel suo stesso prodotto,
così grosso modo la donna trova la sua alienazione
nella commercializzazione del suo corpo"
Juliet Mitchell

"LE DONNE VENDONO, VENDI LE DONNE" è il primo film di montaggio del collettivo Un Altro Genere di Comunicazione. In poco più di venti minuti, il tentativo è quello di raccontare lo sfruttamento dei corpi femminili e la loro oggettivizzazione in nome di mercato, profitti, audience.
Programmi di intrattenimento, spot pubblicitari, cartellonistica, carta stampata usano tutti gli stessi stereotipi come fossero rivolti evidentemente a un pubblico solo maschile ed eterosessuale.
Lo sguardo mediatico rende le donne oggetti di rappresentazioni alienanti, relegandole ad essere portatrici di carica erotica uniche responsabili della gestione di ambiti familiari e domestici, annientando tanto l'individualità che la collettività del genere femminile.
Spesso le critiche alle rappresentazioni mediatiche vengono poste in maniera sovrastrutturale, mirando solo ad evidenziare lo svilimento del corpo delle donne, l'uso massiccio che se ne fa, senza però sottolineare quale sia la struttura da decostruire, cioè il mercato economico che fa del corpo femminile un feticcio per vendere e riducendo esso stesso a merce. Questo è quello che tentiamo di evidenziare.
Alle nostre considerazioni in merito alla squallida imposizione dello sguardo maschile eterosessuale alle rappresentazioni femminili, spesso ci è stato risposto dandoci delle bigotte, come se il problema fossero le gambe scoperte delle Veline o il proliferare di culi e tette delle pubblicità.
Il problema è l'oggettivazione dei corpi. La loro esposizione ad uso e consumo del piacere altrui, del profitto altrui. La scomposizione dei corpi, ridotti a semplici parti "attraenti", l'indugiare su donne senza volto, composte solo da parti erogene rispondenti a uno e un solo canone estetico, capaci di reclamizzare qualsiasi prodotto, dalle supposte all'intimo maschile, considerate prodotti esse stesse.
Se i corpi nudi sono quelli di Silvia Gallerano, di Annie Sprinkle, di Maria Llopis, se sono corpi nudi ma attivi, creativi, corpi pieni di desiderio, di vita, che la nudità sia la benvenuta in ogni sua forma, alta, bassa, magra, grassa, liscia e pelosa. Ma al servizio di uno spot di pubblicitario o di un quiz televisivo sembriamo solo addestrate a lusingare mercato e padrone, a valorizzare curve e pelle invece che a riprenderci quello che vogliamo. Anche attraverso i nostri corpi, ma valorizzandone la potenzialità, non addestrandoli all'obbedienza.