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sabato 23 agosto 2014

23 agosto: anche Pisa si muove a sostegno dei 24 facchini licenziati da Ikea


IL 23 AGOSTO IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DI MOBILITAZIONE PER IL REINTEGRO DEI LAVORATORI LICENZIATI NELL’APPALTO IKEA, ANCHE A PISA SI ANNUNCIA UN PRESIDIO
DI SEGUITO, IL COMUNICATO STAMPA DEI COBAS E DI ALTRE REALTà SOLIDALI CON I LAVORATORI DELLA LOGISTICA
Le lotte non vanno in ferie:
supporta la lotta per la riassunzione dei facchini licenziati negli appalti IKEA
A maggio di quest’anno la cooperativa san Martino ha licenziato 24 lavoratori del magazzino centrale di IKEA a Piacenza, tutti iscritti e delegati S.I.Cobas, grazie ad un pretesto che ha permesso all’azienda di liberarsi dei principali protagonisti delle conquiste sindacali interne degli ultimi anni: una vera ritorsione!
Questi lavoratori sono stati prima criminalizzati poi è arrivata la repressione con decine di denunce che hanno colpito chiunque abbia manifestato per la loro riassunzione, con il silenzio complice delle istituzioni locali che da anni si servono delle cooperative per appalti al ribasso e per abbattere il costo del lavoro. Da tre mesi si susseguono presidi, picchetti, manifestazioni ed iniziative di solidarietà a Piacenza, in tutta Italia e all’estero. La mobilitazione è culminata sabato 26 luglio con una giornata internazionale di solidarietà davanti e dentro i negozi IKEA.
Chi licenzia i lavoratori e si serve di appalti al ribasso non può vendere una immagine diversa per salvaguardare i propri profitti, i clienti di Ikea non devono ricordare che ogni merce acquistata a prezzi bassi ha come merce di scambio la cancellazione di diritti, i licenziamenti dei lavoratori, i contratti precari e gli appalti al ribasso
Giovedì 14 Agosto si sono infatti bloccati tutti i camion in entrata ed uscita dai numerosi ingressi dello stabilimento piacentino. Oggi, sabato 23 Agosto, noi non siamo in ferie ma scendiamo di nuovo in piazza a supporto dei lavoratori della logistica che difendono i loro posti di lavoro, e con dignità vanno affermando condizioni lavorative e di vita migliori, salari non al ribasso. Invia un messaggio su Twitter a Ikea chiedendo il reintegro dei lavoratori licenziati usando le hashtag #buon_giornoperche, #ikea, #catalogoIKEA #Killbilly
Segui e diffondi tutti gli aggiornamenti sul sito http://smontaikea.noblogs.org/ e sulla pagina facebook smontaikea
http://www.facebook.com/smontaikea

Il caso di Presley e Zeno


La Procura di Padova rinvia a giudizio per calunnia,oltraggio e lesioni chi ha subito la violenza delle forze dell'ordine ed ha osato denunciare pubblicamente gli abusi.

Padova: chi denuncia l’abuso di polizia è denunciato per calunnia, la sospensione dei più elementari diritti civili, quello all’integrità fisica, al rispetto della persona in quanto cittadino, vengono legittimati dalla chiusura delle indagini istruttorie su 2 fatti di ordinaria follia securitaria, che hanno avuto una vasta risonanza mediatica ed una pronta mobilitazione di movimento.
E’ di questi giorni la notizia che due degli episodi più noti di abusi di polizia verificatisi pochi mesi fa a Padova saranno oggetto non di un processo agli agenti della municipale o di polizia che se ne sono resi protagonisti ma, al contrario, nei confronti di chi ha avuto l’ardire di denunciare pubblicamente l’avvenuto.
Così sia Presley, il nigeriano da 20 anni residente a Padova pestato dopo un controllo del biglietto, sia Zeno, lo studente attivista di movimento “energicamente” prelevato dal reparto mobile ad una fermata del tram, si trovano accusati, com’è ordinario,  di  resistenza a pubblico ufficiale, lesioni , oltraggio, ma anche di calunnia.
La Procura della Repubblica patavina ha rapidamente concluso le indagini, affidate agli stessi corpi di polizia cui appartengono gli agenti denunciati : nel caso di Presley, dalla polizia municipale, nel caso di Zeno, dalla polizia di stato.
Chi controlla i controllori? Di certo non la Procura, che neanche per un momento si permette il lusso di dubitare sulla veridicità delle relazioni degli stessi agenti protagonisti degli episodi, al punto di far svolgere gli accertamenti  agli stessi soggetti (o ai loro colleghi ).
Il fascino della divisa si sta diffondendo … messaggio chiaro ed inequivocabile in una città dove una giunta intollerante sta improntando la vita quotidiana di tutti i soggetti indesiderati: stranieri, mendicanti o meno, principalmente ed in prima battuta, ma anche attivisti ed associazioni, senza guardare in faccia nessuno, dai centri sociali ai “beati costruttori di pace”.
Il pugno di ferro della giunta si fonda proprio sull’uso-abuso della forza e sul silenzio complice sulle azioni di polizia. C’è ancora chi denuncia gli abusi? Chi documenta l’arresto di  un mendicante senza una gamba ammanettato a terra ? Chi denuncia  per istigazione a delinquere un assessore che consiglia caldamente di abusare dei propri poteri alla polizia municipale che dirige ?
Sappiatelo: non è gradito anzi viene intimidito dai diretti interessati e non solo, così come la chiusura dell’attività istruttoria ce lo ricorda.

23 agosto: anche Pisa si muove a sostegno dei 24 facchini licenziati da Ikea

venerdì 22 agosto 2014

blogger in carcere Alaa Abdel-Fattah comincia sciopero della fame

La Presse
Il blogger egiziano Alaa Abdel-Fattah, molto attivo durante la rivolta del 2011 contro l'allora presidente dell'Egitto Hosni Mubarak, ha cominciato lunedì sera lo sciopero della fame per protestare contro la sua incarcerazione.

Lo riferisce la famiglia oggi in una nota, in cui sottolinea che ritiene le autorità responsabili della sicurezza del giovane. La decisione di cominciare il digiuno è giunta dopo che ieri ha fatto visita al padre, un avvocato per la difesa dei diritti umani, che si trova in carcere dopo un intervento chirurgico. "La scena del padre in stato di incoscienza è stato un punto di svolta per Alaa e alla fine della visita ha deciso che non collaborerà più con questa situazione ingiusta anche se il prezzo sarà la sua vita", si legge nel comunicato. Anche la sorella di Alaa è in carcere per accuse analoghe alle sue.

Abdel-Fattah è stato messo in carcere dopo che a giugno è stato condannato a 15 anni con l'accusa di avere partecipato l'anno scorso a una manifestazione. Successivamente ha però vinto in appello ottenendo la possibilità di avere un nuovo processo, in attesa del quale resta però in prigione.

"Non interpreterò più la parte che hanno scritto per me", dice l'attivista nella dichiarazione diffusa oggi. La sentenza di giugno è stata la più dura mai emessa in Egitto contro un attivista impegnato nella rivolta di 18 giorni che portò alla cacciata di Mubarak. Si è trattato anche della prima condanna di un noto attivista da quando l'ex capo dell'esercito Abdel-Fattah el-Sissi ha assunto l'incarico di presidente.

Nei tre anni dalla cacciata di Mubarak Abdel-Fattah è stato più volte in prigione. Ha portato avanti campagne contro i processi ai civili da parte dell'esercito nei 17 mesi in cui i generali hanno mantenuto il potere dopo le dimissioni di Mubarak. Inoltre si è opposto anche al presidente deposto Mohammed Morsi, rappresentante dei Fratelli musulmani, ma ha espresso forte disapprovazione per il ritorno dell'esercito in politica con il colpo di Stato militare del 3 luglio 2013 con il quale Morsi fu destituito.

giovedì 7 agosto 2014

Come si esegue un esproprio del Terzo Valico secondo il Cociv


Qualche giorno dopo la grande giornata di resistenza agli espropri del 30 luglio e la risposta data dal Movimento No Tav – Terzo Valico con la partecipata fiaccolata del 3 agosto ci è stato recapitato un video che ben dimostra, più di mille parole, quello che i comitati vanno ripetendo dal primo momento. Gli espropri in realtà, nonostante cariche, manganellate e lacrimogeni non sono stati eseguiti a termine di legge. Intanto è bene ricordare che alcuni dei nove espropri erano stati recapitati senza il necessario preavviso di sette giorni come previsto dall’articolo 23 lettera g del Testo unico in materia di espropiazioni per pubblica utitlità: è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili, con un avviso contenente l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora in cui è prevista l’esecuzione del decreto di espropriazione, almeno sette giorni prima di essa“. E’ sempre lo stesso testo di legge che spiega come debba avvenire l’esecuzione dell’esproprio al punto 3 dell’articolo 24: “Lo stato di consistenza e il verbale di immissione sono redatti in contraddittorio con l’espropriato o, nel caso di assenza o di rifiuto, con la presenza di almeno due testimoni che non siano dipendenti del beneficiario dell’espropriazione. Possono partecipare alle operazioni i titolari di diritti reali o personali sul bene.“. E’ evidente che per poter permettere all’espropriato la realizzazione del verbale in contraddittorio occora recarsi presso la sua proprietà interessata dal decreto di esproprio e solo in sua assenza si possa eseguire l’operazione con l’ausilio di almeno due testimoni. In otto dei nove espropri questo non è avvenuto e i tecnici incaricati dal Cociv si sono limitati ad eseguire da distante una fotografia delle aree interessate, protetti da un ingente cordone di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa. Quindi le operazioni sono state con ogni evidenza non valide e se Cociv dovesse ritenerle tali e inviare i verbali di presa in possesso agli espropriati, i legali del movimento cercheranno di far valere le loro buone ragioni in ogni sede giuridica opportuna. Oltretutto se bastava una fotografia che bisogno c’era di picchiare e gasare i cittadini? Perchè nonostante le diffide all’esecuzione degli espropri mandate dai legali degli espropriati al Cociv per l’assenza dei tempi previsti dalla legge e mostrate ai funzionari della Questura di Alessandria si è deciso ugualmente di procedere? Un altro bell’esempio di professionalità ed equilibrio delle forze di polizia secondo il Partito Del cemento?
Aggiungiamo un elemento riguardante proprio l’esproprio alla Crenna raccontato nel video pubblicato sotto. Intanto dei tre proprietari del terreno solo uno era stato avvisato a termini di legge, ma abbiamo poi una notizia ben più succosa. Gli omini stanno fotografando non il terreno interessato dall’esproprio ma un altro terreno che non c’entrava proprio nulla con l’immissione in possesso prevista il 30 luglio. Insomma, i tecnici del Cociv non sapevano neppure dove si trovassero nonostante i meticolosi sopralluoghi dei giorni precedenti (la stessa cosa è successa nel bosco di Moriassi). Poverini, non deve essere facile eseguire espropri in un territorio che non conoscono, protetti dalle forze dell’ordine e in mezzo ai gas lacrimogeni che giustizia divina ha voluto si respirassero pure loro.
Ancora alcune domande.
Davanti a questo video che ben dimostra il modus operandi truffaldino del Cociv avranno per sbaglio qualcosa da dire i Sindaci di Arquata e Serravalle e i Consiglieri Comunali, Regionali e Parlamentari favorevoli alla realizzazione del Terzo Valico? Forza signori superate l’imbarazzo e fatevi avanti per difendere la legalità che dite di avere tanto a cuore.
Dopo aver fatto finta di non sapere chi stesse lavorando nei cantieri del Terzo Valico anche questa volta scieglierete la via dell’omertà?
L’ultima domanda la rivolgiamo a loro, ai tre uomini e alla donna che hanno tentato invano di “fare il loro lavoro”. Noi non li conosciamo, non sappiamo come si chiamano, dove vivono e neppure lo vogliamo sapere. Non sappiamo se hanno figli e che cosa gli hanno raccontato una volta tornati a casa. Non sappiamo cosa conoscano del Terzo Valico e delle ragioni per cui tante persone si oppongono alla sua realizzazione. Comunque stiano tranquilli, i No Tav sono persone per bene, non nutrono nessun sentimento di rivalsa e vendetta. Una curiosità però vorremmo togliercela.
Cari signori, come ci si sente a fare “il vostro lavoro” fra cariche, manganelli, lacrimogeni, persone che vomitano, urla, teste spaccate, anziani feriti caricati in ambulanza? Pensateci, c’è lavoro e lavoro e il lavoro che fate testimonia le persone che siete. Proprio come chi vi ha protetto.
Buona visione del filmato.

Silenzio per Gaza


Si è legata l'esplosivo alla vita
e si è fatta esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
E' il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Da quattro anni, la carne di Gaza schizza schegge di granate da ogni direzione.
Non si tratta di magia, non si tratta di prodigio.
E' l'arma con cui Gaza difende il diritto a restare e snerva il nemico.
Da quattro anni, il nemico esulta per aver coronato i propri sogni,
sedotto dal filtrare col tempo, eccetto a Gaza.
Perché Gaza è lontana dai suoi cari e attaccata ai suoi nemici,
perché Gaza è un'isola.
Ogni volta che esplode,
e non smette mai di farlo,
sfregia il volto del nemico,
spezza i suoi sogni
e ne interrompe l'idillio con il tempo.
Perché il tempo a Gaza è un'altra cosa,
perché il tempo a Gaza non è un elemento neutrale.
Non spinge la gente alla fredda contemplazione,
ma piuttosto a esplodere e a cozzare contro la realtà.
Il tempo laggiù non porta i bambini
dall'infanzia immediatamente alla vecchiaia,
ma li rende uomini al primo incontro con il nemico.
Il tempo a Gaza non è relax,
ma un assalto di calura cocente.
Perché i valori a Gaza sono diversi,
completamente diversi.
L'unico valore di chi vive sotto occupazione
è il grado di resistenza all'occupante.
Questa è l'unica competizione in corso laggiù.
E Gaza è dedita all'esercizio
di questo insigne e crudele valore
che non ha imparato dai libri
o dai corsi accelerati per corrispondenza,
né dalle fanfare spiegate della propaganda
o dalle canzoni patriottiche.
L'ha imparato soltanto dall'esperienza
e dal duro lavoro
che non è svolto in funzione della pubblicità
o del ritorno d'immagine.
Gaza non si vanta delle sue armi,
né del suo spirito rivoluzionario,
né del suo bilancio.
Lei offre la sua pellaccia dura,
agisce di spontanea volontà
e offre il suo sangue.
Gaza non è un fine oratore,
non ha gola.
E' la sua pelle a parlare
attraverso il sangue, il sudore, le fiamme.
Per questo, il nemico la odia fino alla morte,
la teme fino al punto di commettere crimini
e cerca di affogarla
nel mare, nel deserto, nel sangue.
Per questo, gli amici e i suoi cari la amano
con un pudore che sfiora quasi la gelosia
e talvolta la paura,
perché Gaza è barbara lezione
e luminoso esempio
sia per i nemici che per gli amici.
Gaza non è la città più bella.
Il suo litorale non è più blu di quello di altre città arabe.
Le sue arance non sono le migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è la città più ricca.
(Pesce, arance, sabbia,
tende abbandonate al vento,
merce di contrabbando,
braccia a noleggio.)
Non è la città più raffinata,
né la più grande,
ma equivale alla storia di una nazione.
Perché, agli occhi dei nemici,
è la più ripugnante,
la più povera,
la più disgraziata,
la più feroce di tutti noi.
Perché è la più abile a guastare l'umore
e il riposo del nemico
ed è il suo incubo.
Perché è arance esplosive,
bambini senza infanzia,
vecchi senza vecchiaia,
donne senza desideri.
Proprio perché è tutte queste cose,
lei è la più bella,
la più pura,
la più ricca,
la più degna d'amore tra tutti noi.
Facciamo torto a Gaza quando cerchiamo le sue poesie.
Non sfiguriamone la bellezza
che risiede nel suo essere priva di poesia.
Al contrario, noi abbiamo cercato
di sconfiggere il nemico con le poesie,
abbiamo creduto in noi
e ci siamo rallegrati vedendo
che il nemico ci lasciava cantare
e noi lo lasciavamo vincere.
Nel mentre che le poesie
si seccavano sulle nostre labbra,
il nemico aveva già finito
di costruire strade, città, fortificazioni.
Facciamo torto a Gaza
quando la trasformiamo in un mito
perché potremmo odiarla
scoprendo che non è niente più
di una piccola e povera città
che resiste.
Quando ci chiediamo cos'è che l'ha resa un mito,
dovremmo mandare in pezzi tutti i nostri specchi
e piangere
se avessimo un po' di dignità,
o dovremmo maledirla
se rifiutassimo di ribellarci contro noi stessi.
Faremmo torto a Gaza
se la glorificassimo.
Perché la nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.
Ma Gaza non verrà da noi,
non ci libererà.
Non ha cavalleria,
né aeronautica,
né bacchetta magica,
né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere.
In un colpo solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi,
la nostra lingua e i suoi invasori.
Se la incontrassimo in sogno
forse non ci riconoscerebbe,
perché lei ha natali di fuoco
e noi natali d'attesa
e di pianti per le case perdute.
Vero, Gaza ha circostanze particolari
e tradizioni rivoluzionarie particolari.
(Diciamo così non per giustificarci, ma per liberarcene.)
Ma il suo segreto non è un mistero:
la sua coesa resistenza popolare sa benissimo cosa vuole
(vuole scrollarsi il nemico di dosso).
A Gaza il rapporto della resistenza con le masse
è lo stesso della pelle con l'osso
e non quello dell'insegnante con gli allievi.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in un'istituzione.
Non ha accettato ordini da nessuno,
non ha affidato il proprio destino alla firma
né al marchio di nessuno.
Non le importa affatto se ne conosciamo o meno il nome,
l'immagine, l'eloquenza.
Non ha mai creduto di essere fotogenica,
né tantomeno di essere un evento mediatico.
Non si è mai messa in posa davanti alle telecamere
sfoderando un sorriso stampato.
Lei non vuole questo,
noi nemmeno.
La ferita di Gaza non è stata trasformata in pulpito per le prediche.
La cosa bella di Gaza è che noi non ne parliamo molto,
né incensiamo i suoi sogni
con la fragranza femminile delle nostre canzoni.
Per questo Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori.
Per questo, sarà un tesoro etico e morale
inestimabile per tutti gli arabi.
La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono,
niente la distoglie.
Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico.
Né il modo di spartire le poltrone del Consiglio Nazionale,
né la forma di governo palestinese
che fonderemo dalla parte est della Luna
o nella parte ovest di Marte,
quando sarà completamente esplorato.
Niente la distoglie.
E' dedita al dissenso:
fame e dissenso,
sete e dissenso,
diaspora e dissenso,
tortura e dissenso,
assedio e dissenso,
morte e dissenso.
I nemici possono avere la meglio su Gaza.
(Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.)
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare carri armati
nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini.
Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei:
non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte,
non si tratta di suicidio.
Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
 
Silenzio per Gaza di Mahmoud Darwish 1973
La versione inglese: pdfSilence_for_Gaza.pdf.

lunedì 4 agosto 2014

Vicenza Maximulta agli Antifascisti, Jackson: “Non permetteremo altre case bruciate”


A pochi giorni dal decreto penale che ha colpito 18 attivisti per aver deviato il percorso del corteo del 30 novembre, lo storico portavoce dei centri sociali vicentini ricorda: “Nel ’94 per il corteo naziskin caddero questore e prefetto”
3 agosto 2014
“Non permetteremo che il nostro territorio cada di nuovo in mano alle bande di fascisti, come negli anni ’90. La difesa della Libertà non è una questione di ordine pubblico, è un dovere politico”.
Così Olol Jackson, storico portavoce dell’antagonismo vicentino, commenta, a bocce ferme, i 18 decreti penali che hanno colpito altrettanti attivisti (tra cui lui stesso) per i fatti del 30 novembre, quando il corteo degli anti fascisti venne a contatto con le forze di polizia, in un tratto non autorizzato. La sanzione, complessivamente, supera i 100mila euro e le accuse sono di resistenza a pubblico ufficiale e trasgressione degli ordini della questura. La manifestazione era stata convocata, ed appoggiata dalla sinistra radicale vicentina, per protestare contro il corteo regionale del partito di estrema destra, Forza Nuova.
“Che abbiano cambiato nome non ci inganna certamente – prosegue Jackson – Sono sempre gli stessi: xenofobi, fomentatori d’odio e violenti, sia nelle parole che nei gesti. Non sarà certo un decreto penale (ndr: che verrà comunque impugnato) a scalfire i nostri valori, o farci fare un passo indietro. Vorrei ricordare che, nel ’94, dopo una manifestazione simile, organizzata dal Veneto Front Skin Heads, saltarono questore e prefetto a Vicenza. E ora lo Stato ci multa? E’ assurdo”. All’epoca, il raduno venne stigmatizzato da tutte le forze politiche, incluso Gianfranco Fini.
“La nostra provincia non tornerà ad essere teatro di fatti abominevoli, come l’incendio appiccato ad una casa di migranti, nel ’93 a Valdagno. Prima i “negri”, adesso gli “zingari”: la storia è sempre quella, la caccia alla minoranza. Ora, a causa della crisi – riflette Jackson – Trovano terreno più fertile: difficoltà e disoccupazione abbrutiscono le persone. Ma non si illudano: ci saranno sempre migliaia di persone a bloccare la loro strada di odio e intolleranza”.

Strage dell'Italicus 4 agosto 1974


4 agosto 1974. Nella notte una bomba esplode nella vettura numero 5 dell'espresso Roma-Brennero. I morti sono 12 e i feriti circa 50, ma una strage spaventosa è stata evitata per questione di secondi: se la bomba fosse esplosa nella galleria che porta a San Benedetto Val di Sambro i morti sarebbero stati centinaia. Racconta un testimone della strage: «Il vagone dilaniato dall'esplosione sembra friggere, gli spruzzi degli schiumogeni vi rimbalzano su. Su tutta la zona aleggia l'odore dolciastro e nauseabondo della morte». I due agenti di polizia che hanno assistito alla sciagura raccontano: «Improvvisamente il tunnel da cui doveva sbucare il treno si è illuminato a giorno, la montagna ha tremato, poi è arrivato un boato assordante. Il convoglio, per forza di inerzia, è arrivato fin davanti a noi. Le fiamme erano altissime e abbaglianti. Nella vettura incendiata c'era gente che si muoveva. Vedevamo le loro sagome e le loro espressioni terrorizzate, ma non potevamo fare niente poiché le lamiere esterne erano incandescenti. Dentro doveva già esserci una temperatura da forno crematorio. 'Mettetevi in salvo', abbiamo gridato, senza renderci conto che si trattava di un suggerimento ridicolo data la situazione. Qualcuno si è buttato dal finestrino con gli abiti in fiamme. Sembravano torce. Ritto al centro della vettura un ferroviere, la pelle nera cosparsa di orribili macchie rosse, cercava di spostare qualcosa. Sotto doveva esserci una persona impigliata. 'Vieni via da lì', gli abbiamo gridato, ma proprio in quel momento una vampata lo ha investito facendolo cadere accartocciato al suolo».
I neofascisti non nascondono di essere gli esecutori. Un volantino di Ordine nero proclama: «Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l'autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti». Gli investigatori brancolano nel buio fino a quando un extraparlamentare di sinistra, Aurelio Fianchini, evade dal carcere di Arezzo e fa arrivare alla stampa questa rivelazione: «La bomba è stata messa sul treno dal gruppo eversivo di Mario Tuti che ha ricevuto ordini dal Fronte nazionale rivoluzionario e da Ordine nero. Materialmente hanno agito Piero Malentacchi, che ha piazzato l'esplosivo alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, Luciano Franci, che gli ha fatto da palo, e la donna di quest'ultimo, Margherita Luddi».
Eppure la polizia era informata da tempo che Mario Tuti era un sovversivo e una donna aveva addirittura dichiarato a un giudice che l'autore della strage era proprio lui. Risultato: la denuncia archiviata e la donna mandata in casa di cura come mitomane. Il giudice che aveva raccolto e insabbiato la dichiarazione si chiamava Mario Marsili ed era il genero di Licio Gelli, il gran venerabile della loggia massonica P2.
Si entra così nei misteri della polizia e dei governi-ombra che per alcuni anni hanno condizionato la vita italiana. Il dubbio che la P2 sia implicata nella vicenda induce il giudice bolognese Vella a diffidare della magistratura aretina. Scrive Giampaolo Rossetti, un giornalista che si è occupato per mesi della vicenda: «Arezzo era città di protezione per i fascisti». Basti pensare alla frase strafottente pronunciata da Luciano Franci, il luogotenente di Mario Tuti, rivolgendosi a un camerata che piagnucolava dopo l'arresto: «Non preoccuparti, da queste parti siamo protetti da una setta molto potente». Una setta, ci spiegò poi il giudice Vella, che puzzava di marcio ed era al centro di un potere occulto collegato alle più oscure vicende della vita italiana. Per saperne di più il giudice Vella si rivolse anche ai Servizi segreti, ma per mesi non ottenne risposta. Protestò e allora l'ammiraglio Casardi, capo del servizio militare, gli scrisse rimproverandolo di ignorare «le norme che regolano il nostro servizio». «Le conosco anche troppo» gli rispose Vella, «ed è questo che mi preoccupa». Probabilmente se i Servizi segreti l'avessero aiutato, il giudice sarebbe subito arrivato a Tuti.
Comunque, all'inizio del '75 viene emesso un mandato di cattura contro Mario Tuti, che però riesce a sfuggire all'arresto. Aspetta che i tre carabinieri andati per arrestano suonino alla porta e poi spara loro addosso uccidendone due e ferendo il terzo. L'uomo riesce ad espatriare, prima ad Ajaccio e poi sulla Costa azzurra. La polizia francese lo rintraccia a Saint-Raphael dove ha luogo di nuovo uno scontro cruento, al termine del quale il terrorista viene arrestato. Al processo terrà un contegno sprezzante. Anni dopo, nel 1987, sarà lui a capeggiare una rivolta nel carcere di Porto Azzurro che terrà l'Italia con il fiato sospeso per alcuni giorni.
Le indagini sull'Italicus e su piazza della Loggia hanno spezzato il fronte dell'omertà. I balordi della provincia nera parlano, ma quando il giudice Tamburrino di Padova o il giudice Arcai di Brescia chiedono conferme o aiuti ai Servizi segreti per indagare sulle alte complicità cala la serranda del «segreto di Stato». Le protezioni di cui godono i fascisti sono sfacciate. Valga questo esempio: il 19 luglio del '75 viene arrestato a Milano l'avvocato Adamo Degli Occhi, capo della «maggioranza silenziosa», movimento d'ordine. I carabinieri di Milano chiedono alla Questura di Brescia, che conduce le indagini sulla strage di piazza della Loggia, se devono perquisire l'alloggio dell'avvocato, ma la Questura dice che non è il caso. Intanto un giornalista fascista, Domenico Siena, è entrato nell'alloggio e ne è uscito con due valigie. Dirà che aveva preso effetti personali da far arrivare in carcere all'avvocato. Il dubbio che fossero carte compromettenti è più che lecito.
da "Gli anni del terrorismo" di Giorgio Bocca (pagg. 291-293)
“Maria Fida Moro ha rivelato ieri un particolare inquietante. Suo padre, il 4 agosto 1974, era salito sul treno Italicus, ma prima di partire venne fatto scendere per firmare delle carte. Poche ore dopo ci fu la strage sull'Appennino. Il vero obiettivo era Aldo Moro?
L'obiettivo della strage dell'Italicus ... L'obiettivo della strage dell'Italicus sarebbe stato Aldo Moro. Un'ipotesi inquietante che, a trent'anni dall'attentato che provocò una strage, viene avanzata dalla figlia dello statista democristiano, Maria Fida Moro. L'annuncio choc è stato dato ieri sera nel corso di una trasmissione di Tele Serenissima, alla quale era presente anche Luigi Bacialli, direttore del Gazzettino. È stata la stessa Maria Fida Moro a telefonare e spiegare al conduttore Gianluca Versace che quel giorno (il 4 agosto del 1974) suo padre era addirittura salito sul treno alla stazione di Roma e stava per partire, quando all'ultimo momento un suo collaboratore gli disse di scendere per firmare alcune carte. Così il treno partì senza di lui. Poche ore dopo, quando l'Italicus percorreva la lunga galleria appenninica di San Benedetto Val di Sambro, una bomba ad orologeria esplose provocando la strage rivendicata da Ordine Nero. Per Moro il destino riservava un'altra morte violenta: il 9 maggio del 1978 venne ucciso dalle Brigate Rosse, dopo un lungo periodo di prigionia.
L'episodio è anche raccontato nel libro "La Nebulosa del caso Moro" che sta per uscire. "Alla fine del libro ho citato un episodio tanto vero quanto non suffragabile, mio padre salì e scese immediatamente dall'Italicus. Fino all'ultimo ero in forse se inserirlo nel volume perché ero certa che sarebbe stato strumentalizzato, ma non prima che "La nebulosa" fosse in libreria".
Maria Fida Moro ha fatto capire di non aver mai rivelato prima questa clamorosa versione sulla strage dell'Italicus, perché sconsigliata da persone a lei vicine. Il collegamento, tra la presunta presenza di Moro e la strage sul treno, non era mai emerso.”
Da un articolo di Gianluca Versace de Il Gazzettino

venerdì 1 agosto 2014

Manganellate e gas Cs per il Pd sono sinonimo di “professionalità ed equilibro da parte delle forze dell’ordine”


E ovviamente non poteva mancare il solito comunicato stampa delirante dei Senatori del Partito Democratico. Gli alessandrini Daniele Borioli e Federico Fornaro, insieme all’immancabile Stefano Esposito, hanno diffuso una nota nella giornata del 30 luglio con cui hanno preso posizione su quanto stava accadendo ad Arquata e a Serravalle.
L’apertura del comunicato stampa la dice già lunga: “Esprimiamo apprezzamento per la professionalità e l’equilibrio con cui le Forze di polizia stanno facendo il loro dovere tra la Valle Scrivia e la Val Lemme. E al tempo stesso solidarietà alle maestranze che, in una situazione certo non semplice, svolgono il loro lavoro quotidiano presso i cantieri del Terzo Valico”. Il delirio prosegue in seguito “…Nessuno può rallegrarsi quando la realizzazione di una ferrovia, a causa di gruppi di facinorosi disposti ad alzare costantemente il livello dello scontro, diventa anche una questione di ordine pubblico…” e proseguono, probabilmente dopo aver fatto abbondante uso di alcolici: “…Ma ciò non significa – aggiungono i senatori Pd – perdere di vista il profilo delle responsabilità, che stanno tutte in capo a chi alimenta sistematicamente la violazione delle regole e si esalta nel “tumulto della battaglia”; non certo a chi, come le Forze dell’ordine, è chiamata al difficile lavoro di tutelare il rispetto e l’esercizio della legalità…“.
I magnifici tre non riescono proprio a rassegnarsi al fatto di trovarsi davanti ad un movimento popolare che da anni lotta a testa alta per difendere la propria terra dalla distruzione che porterà il Terzo Valico e quindi scrivono le solite farneticazioni su facinorosi e chi, pensate un po’, si esalterebbe nel tumulto della battaglia. Le stesse identiche fandonie scritte già in mille comunicati del disonorevole Esposito riguardanti la Val di Susa. Borioli e Fornaro potrebbero almeno fare lo sforzo di scriverli loro i comunicati stampa e non lasciarli fare al professionista della lotta contro i No Tav il cui linguaggio rancoroso e violento è inconfondibile. Ovviamente parlare con queste persone è tempo sprecato, ma ci permettiamo di mostrare alcune immagini che rendono palese, senza ombra di dubbio, “la professionalità e l’equilibrio delle Forze di polizia”.
Nella galleria fotografica che riportiamo sotto si può vedere la dedizione con cui sono stati sparati decine di lacrimogeni al gas CS in mezzo ai boschi. Una scelta certamente equilibrata che avrebbe potuto scatenare incendi oltre ad aver provocato l’intossicazione di molte persone (compresi i poliziotti senza maschere antigas).
Certo sono stati molto professionali nel lancio di lacrimogeni sparati anche ad altezza d’uomo, ma nulla rispetto alla dedizione con cui un poliziotto ha cercato di rompere il braccio del nostro Tino durante una delle cariche alla Crenna. Per fortuna Tino se l’è cavata con una contusione e dovrà “solo” portare il braccio al collo per diversi giorni.
Ma la massima dedizione e professionalità è stata dimostrata dal poliziotto che ha colpito apposta con il suo scudo “Carlen” (Carlo nel dialetto della Valle Scrivia), uno dei più anziani militanti No Tav – Terzo Valico. Un altro poliziotto per non essere da meno ha spaccato la testa di un ragazzo nei boschi di Moriassi, un altro ha colpito alle spalle uno studente mentre indietreggiava a seguito del fitto lancio di lacrimogeni e un altro ragazzo ancora è stato colpito con una violenza cieca sul braccio. Non c’è che dire, straordinaria professionalità ed equilibrio.
Ora i signori Esposito, Borioli e Fornaro dovrebbero come minimo vergognarsi del delirante comunicato che hanno rilasciato alla stampa basato su qualche velina dei loro cari amici questurini che hanno avuto il coraggio di negare ai giornalisti che ci sia stato utilizzo di violenza. Siamo certi che non lo faranno abituati come sono a scambiare la legalità per la difesa degli interessi di Impregilo e delle tante ditte in odore di ‘ndrnagheta e camorra interessate dai lavori del Terzo Valico.
Si rassegnino, dopo aver fallito nel non essere riusciti a convincere la popolazione sull’utilità dell’opera, dovranno ancora farne parecchi di comunicati stampa inutili e deliranti. La lotta contro il Terzo Valico continuerà con sempre più determinazione. Loro continuino pure a star seduti sulle poltrone rosse del loro Senato, quelli che si indignano davanti a queste fotografie scenderanno nuovamente in strada domenica partecipando alla fiaccolata di Arquata. Da una parte grigi burocrati di partito, dall’altra donne e uomini che lottano in difesa della propria terra.