Powered By Blogger

venerdì 5 settembre 2014

Morti sul lavoro, la mattanza che non si arresta

di Carlo Soricelli
Nei primi 8 mesi del 2014 sono morti sui luoghi di lavoro 423 lavoratori, tutti documentati in appositi file. Se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere si superano i 900 morti. L’aumento dei morti sui luoghi di lavoro rispetto ai primi 8 mesi del 2013 è del 7,6%. La cosa che sgomenta di più è che parlano sempre di cali incredibili tutti gli anni, mentre non è affatto vero, se si prendono in considerazione tutte le morti sul lavoro che ricordiamo ancora una volta non sono solo quelle monitorate dal’INAIL istituto dello Stato che registra solo i propri assicurati, e in tantissimi non lo sono. Praticamente nonostante l’opinione pubblica pensi il contrario a causa della propaganda, anche governativa di chi si è succeduto nel corso di questi anni, i morti sul lavoro non sono mai calati, e questo nonostante si siano persi  per la crisi milioni di posti di lavoro. In questo momento l’agricoltura con il  39,8% del totale ha un picco incredibile delle morti. In questo comparto il 72,6 % sono morti in un modo drammatico: schiacciati dal trattore che guidavano.
Dall’inizio dell’anno sono 122 e ben 112 da quando il 28 febbraio abbiamo mandato una mail a Renzi, Martina e Poletti, avvertendoli dell’imminente strage che di lì a pochi giorni sarebbe ricominciata col ribaltamento dei trattori. E’ così tutti gli anni. Chiedevamo loro di fare una campagna informativa sulla pericolosità del mezzo  e di proporre una legge sulla messa in sicurezza delle cabine di questo mezzo che uccide così facilmente. Inutile scrivere che non si sono mai degnati di rispondere. In edilizia i morti sui luoghi di lavoro sono il 22,9% del totale, con le solite cadute dall’alto che provocano tantissime morti in edilizia. Nell’industria il 9,8%, il 7,8% nell’autotrasporto. Poi ci sono tutti i lavoratori morti nei vari servizi alle imprese. Percentualmente le morti sul lavoro sono distribuite in eguale misura in tutte le fasce d’età, a parte l’agricoltura, dove le vittime hanno un’età mediamente più alta. Gli stranieri morti sui luoghi di lavoro sono il 10% sul totale e i romeni sono sempre i più numerosi con il 45% delle morti sui luoghi di lavoro tra gli stranieri. Le altre morti sono da ricercarsi nelle diverse attività, principalmente nel terziario.
MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO NELLE PROVINCE ITALIANE
Valle d’Aosta (1 morto) Aosta 1, Piemonte (36 morti) Torino 14, Alessandria 7, Asti 2, Biella 0, Cuneo 10, Novara 2, Verbano-Cusio-Ossola 1, Vercelli. Liguria (8 morti) Genova 5, Imperia 0, La Spezia 1, Savona 1.Lombardia (44 morti) Milano 6, Bergamo 5, Brescia 8, Como 0, Cremona 4, Lecco 0, Lodi 2, Mantova 7, Monza 2, Brianza 1, Pavia 6, Sondrio 2, Varese 2.Trentino-Alto Adige (15 morti) Trento 4, Bolzano 11,Veneto (36 morti)Venezia 7, Belluno 2, Padova‎ 3, Rovigo 1, Treviso 5, Verona 12, Vicenza 5. Friuli-Venezia Giulia (5 morti) Trieste 1, Gorizia 0, Pordenone 1, Udine 3. Emilia-Romagna (38 morti)Bologna 4. Forlì-Cesena 6, Ferrara 6, Modena 5, Parma 6, Piacenza 3, Ravenna 5, Reggio Emilia 2, Rimini 1.Toscana (16 morti) Firenze 2, Arezzo 6, Grosseto 1, Livorno 1, Lucca 1, Massa Carrara 0, Pisa‎ 4, Pistoia 1, Prato 0, Siena 0.Umbria (11 morti) Perugia 8, Terni 3.Marche (15 morti) Ancona 1, Ascoli Piceno 5(compresi i 4 piloti del Tornado), Fermo 3, Macerata 2, Pesaro-Urbino 3.Lazio (36 morti)Roma 15, Frosinone 3, Latina 4, Rieti 6, Viterbo 8.Abruzzo (20 morti) L’Aquila 7, Chieti 7, Pescara 1, Teramo 5.Molise (7 morti)Campobasso 3, Isernia 4,Campania (29 morti)  Napoli 8, Avellino 4, Benevento 4, Caserta 4, Salerno 9,Puglia (24 morti) Bari 12, BAT 1, Brindisi 0, Foggia 1, Lecce 7, Taranto 3.Basilicata (4 morti) Potenza 3, Matera 1. Calabria ( 13 morti) Catanzaro 3, Cosenza 3, Crotone 1, Reggio Calabria 1, Vibo Valentia 5.Sicilia (30 morti) Palermo 8, Agrigento 3, Caltanissetta 5, Catania 2, Enna 2, Messina 3, Ragusa 1, Siracusa 3, Trapani‎ 3.Sardegna (9 morti) Cagliari 0, Carbonia-Iglesias 2, Medio Campidano 1, Nuoro 2, Ogliastra 1, Olbia-Tempio 0, Oristano 3, Sassari‎ 0. Quando leggete questa terribile sequenza ricordatevi sempre che se si aggiungono anche i morti sulle strade e in itinere i morti sul lavoro sono almeno il doppio e tante vittime sulle strade muoiono per turni dove si dovrebbe dormire, per orari prolungati e stanchezza accumulata, per lunghi percorsi per andare e tornare dal lavoro. Non sono segnalati a carico delle province le morti sulle autostrade.
Se si analizzano con obbiettività questa raccolta dati si evidenzia un’incredibile mattanza, che fa comprendere come opera chi ci sta governando e che ci ha governato in questi ultimi anni. Se è vero che l’INAIL registra costantemente dei cali delle morti tra i propri assicurati, e questo lo scrivo ormai da diversi anni, ed è una verità molto scomoda, anche per come vengono indirizzate le ingenti risorse che lo Stato mette per la Sicurezza, questo cosa vuol dire, se l’Osservatorio Indipendente di Bologna invece può dimostrare dati alla mano che praticamente da quando è stato aperto il 1° gennaio 2008 i morti sui luoghi di lavoro sono addirittura aumentati? Che sono calati gli occupati in posti tutelati e con assicurazioni degne di questo nome. Che le vittime sul lavoro si sono solo spostate da lavori a tempo indeterminato a lavori precari, in nero e grigio. Che la mancanza di tutele per le Partite IVA Individuali e altre importanti categorie di lavoratori, oltre a quelli che lavorano in nero e in grigio, provocano un aumento degli infortuni, anche mortali. Che il Sindacato svolge una funzione determinante per la Sicurezza dei lavoratori, ricordando che dove sono presenti in modo organizzato le morti sul lavoro sono quasi inesistenti. Sono semplici verità che la nostra classe dirigente fa finta di non vedere. La mancanza di tutele uccide i lavoratori che non possono opporsi, pena il licenziamento, anche alla mancata sicurezza sul lavoro. E chi ci governa cosa fa? Ignora queste tragedie e aumenta la precarietà per chi lavora. In questo contesto abolire l’unico baluardo che è rimasto per la tutela dei lavoratori, l’ormai famigerato articolo 18, che tra l’altro è già praticamente abolito dalla Fornero e dal Ministro Poletti con la legge delega, vuol dire che gli italiani non avranno più un lavoro “buono” cioè a tempo indeterminato, ma solo stipendi da fame, calpestio dei diritti e inSicurezza sul lavoro. E questo provocherà un danno enorme non solo per i lavoratori ma per tutti il sistema produttivo, del resto basta vedere i danni che ha già fatto questo stupido liberismo al paese.
* Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

“Sentivo le urla dei detenuti torturati”… Rossano Calabro come Guantánamo?


“Una parola di troppo e quelli ti pestavano”. La testimonianza di un detenuto messo in libertà. “Appena entrato mi hanno pestato. ho chiesto un medico e me l’hanno negato”. Si chiama D.M., ha 38 anni, ha subito una condanna a cinque anni per furto, falso e lesioni, ha scontato gran parte delia pena e ora è ai domiciliari. Ha passato diversi anni nel carcere di Rossano, e adesso racconta la sua esperienza. Terribile.
Che purtroppo conferma alcune delle tristi scoperte fatte qualche settimana fa dalla deputata del Pd Enza Bruno Bossio in seguito a una visita “improvvisa” nella prigione. D.M. dice che appena arrivò in carcere, alla prima visita, fu pestato. Preso a calci in testa. Perse dei denti, chiese di poter vedere un medico ma non ci fu niente da fare.
Poi finì nella sua cella, la numero 24, e da lì sentiva le urla e i lamenti dei detenuti che venivano picchiati. Dice che li portavano al reparto isolamento e lì li picchiavano. Perché venivano picchiati? “Bastava niente – dico D.M. – uno sguardo, una parola di troppo”. Perché non ha denunciato prima questa barbarie? “Avevo paura di ritorsioni”
L’ombra di una specie di “Guantánamo” avvolge la Casa di Reclusione di Rossano, già al centro di una ispezione ministeriale all’indomani della grave denuncia della parlamentare Pd Enza Bruno Bossio, che nel corso di una visita interna alla struttura penitenziaria aveva scoperto situazioni inammissibili, violenze e condizioni di vivibilità impossibili per i detenuti.
L’eco mediatico della denuncia dell’on. Bruno Bossio, ripresa dal nostro giornale da Radio Radicale, ha trasmesso coraggio a chi ritiene di avere subito violenze e sopraffazioni, ma senza mai denunciare alle autorità preposte per paura di eventuali ritorsioni.
Ora rompe il silenzio un signore di 38 anni, del quale vi diamo solo le iniziali, per ragioni evidenti di prudenza: D.M., attualmente in regime di detenzione domiciliare per una condanna che riguarda reati contro il patrimonio commessi a Corigliano Calabro.
Sta scontando una pena di 5 anni e 5 mesi per rapina, falso e lesioni. Gli è rimasto solo qualche residuo, poi tornerà in libertà. L’uomo si racconta, riferisce fatti e circostanze. Lo fa per i suoi ex compagni di cella – dice – per tutelarli, per difenderli da “vili” aggressioni senza scrupoli e dal tenore squadrista.
Il metodo cavalca il modello “brigatista”: “colpirne uno per educarne cento”. Siamo nell’agosto del 2012 quando il 38enne mette piede all’interno della casa di reclusione. Viene collocato nella cella numero 24. Inizia dunque la sua prigionia. Si adagia sulla brandina e inizia a leggere.
Nel primo pomeriggio due agenti di polizia penitenziaria lo prelevano al fine di effettuare i rilievi dattiloscopici, la visita medica e, a seguire, l’ispezione corporale, come da rituale, unitamente alla consegna di tutto il vettovagliamento.
Cosa succede durante la perquisizione? Al detenuto viene chiesto di denudarsi e di procedere alla esecuzione di flessioni. È in questo momento che uno degli agenti sferra inaspettatamente un pugno che colpisce lateralmente la parte destra del cranio: il mento dell’uomo sbatte contro un muro, salta qualche dente, l’incisivo destro. Il detenuto si accascia a terra, sanguinante.
Poi, come se nulla fosse accaduto, viene condotto in cella. Chiede la visita di un medico dentista, ma dall’altra parte trova solo dinieghi. Nell’ora di colloquio con i familiari opta per il silenzio, sospetta possa essere ascoltato e teme ripercussioni non solo per se stesso e per la famiglia. Non parla solo della sua vicenda, anche della vita carceraria. Svela alcuni misteri: “I pestaggi avvengono in isolamento” – denuncia l’uomo.
“Dalla cella 24 si sentiva di tutto”. L’eco delle urla di dolore e di sofferenza di chi è sottoposto a una vera e propria tortura rimbomba nelle stanze dei detenuti, pronto a rispondere rumoreggiante con il tintinnio delle sbarre. Basta una parola di troppo o un mancato saluto per scatenare l’ira furente di qualche frustrato in divisa. Il 38enne rimarca come vittime prescelte siano prevalentemente soggetti detenuti in media sicurezza, tra cui gli stranieri, presi particolarmente di mira.
“Il carcere non rieduca, non riabilita – afferma D.M. – ma aggrava la condizione mentale dei detenuti che, una volta tornati liberi, acuiscono l’azione criminale”. Infine, le famose leggi non scritte del carcere tendenti a punire severamente chi commette reati contro donne e bambini. Qui il meccanismo è trasversale. Questa volta i presunti carnefici non sono più interni all’apparato penitenziario ma sono gli stessi detenuti.
Alzano un muro umano dietro il quale avviene la tortura, la sevizia, nei confronti di chi ha commesso reati che violano i regolamenti rigidi del popolo carcerario. Episodi di inaudita gravità, narrati da un recluso che ha visto, sentito, e solo ora riferito di quel che accade a Rossano. Una struttura ritenuta recentemente dal Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria) rieducativa e in grado di favorire il reinserimento sociale.
La stessa organizzazione sindacale sottolineava la carenza della dotazione organica, di uomini e di mezzi. E rimarcava inoltre come gli istituti di pena oggi siano divenuti luogo di tutti i disagi della società: stranieri, tossicodipendenti, malati psichiatrici. Criticità comprensibili ma che non giustificano l’inaudita violenza denunciata oggi da un detenuto.
 
Matteo Lauria da il Garantista

lunedì 1 settembre 2014

Le combattenti delle YPJ demoliscono i tabù


Le donne hanno giocato un ruolo chiave nella difesa di Kobanê dopo la rivoluzione, ad hanno creato una trasformazione rivoluzionaria nel comportamento sociale.Le combattenti delle YPJ (Unità di protezione delle donne) in prima linea nella difesa diKobanê stanno infliggendo duri colpi alle bande di ISIS ed anche demolendo tabù basati sul dominio maschile. 

Le donne combattenti hanno affermato che non vedono solo le YPJ come un fronte di difesa,ma che loro le vedono come una fonte di libertà.Hanno raccontato a ANF dei cambiamenti nella società di Kobanê. 

Destan ha spiegato che prima di unirsi alle fila delle YPG 2 anni fa: “la mia vita era tra 4 mura. Non avevo vita sociale o economica”.Cambiamenti radicali dopo la rivoluzione hanno influenzato Destan e sua cugina della stessa età,e hanno deciso di unirsi alle YPJ.Alcuni mesi più tardicon la costituzione delle YPJ si sono unite alle loro fila. 

Per me non è solo questione di difendere la terra 
Destan ha risposto alla nostra domanda su cosa fosse cambiato dopo aver aderito al YPG / YPJ, dicendo:”Io prima non ero mai stata abituata a credere che una donna potesse essere uguale ad un uomo.Per esempio, nella nostra famiglia l’uomo era sempre ritenuto dominante e io lo avevo sempre considerato normale e legittimo.Qui c’è una comprensione genuina dell’uguaglianza e della libertà.Ho capito nelle fila delle YPJ che la dominazione maschile non era una parte normale della vita,ma che era al contrario contro l’ordine naturale.Questo ha creato un grande senso di libertà in me”. 

Destan è una di quelle che è stata in prima linea contro gli attacchi di ISIS che si sono intensificati da Luglio.Lei ha spiegato così la difesa dello“Sehit Xabur tepesi” [Collina del martire Khabur ], un evento significativo nella resistenza di Kobanê “Le nostre compagne hanno combattuto fino alla fine per evitare che le loro armi finissero nelle mani delle bande di ISIS”. 

Destan ha perso sua cugina Awaz negli scontri nel villaggio di Zor Mekhare nel fronte occidentale a Maggio. 

Anche altre due sue cugine,Shervan e Ruhat sono morte negli scontri quest’anno.Lei conclude:£Essere nelle YPG non è solo questione di difendere la terra,ma è anche amore per la libertà”. 

La mia cultura e la mia lingua 

Berfin non è stata nelle YPJ a lungo come Destan,Lei si è unità dopo che gli inviti alla mobilitazione sono stati diramati a seguito dell’avvio della resistenza di Kobane.Siccome lei è nuova,non le è stato permesso di prendere parte ai combattimenti. 

“Ho appoggiato le YPJ e auqndo gli utlimi attacchi sono iniziati,ho pensato che non potevo rimanere ai margini”è come Berfin ha descritto come si è unita alle YPJ. 

Berfin ha affermato: “prima di entrare nelle YPJ abbiamo sperimentato una grave assimilazione. Siamo stati alienati dalla nostra lingua e della nostra cultura da parte del regime che ha imposto la cultura araba. Qui sono venuta a conoscenza della mia lingua e della cultura. 

“Le YPJ hanno modificato la percezione che le donne sono carenti e non possono fare nulla. Ho studiato sette anni a scuola poi mi hanno portato via. Se non fosse stato per la rivoluzione, probabilmente mi sarei sposata e sarei stata una ragazza madre”. 

I valori culturali feudali sono stati infranti 

Una donna combattente di nome Roza,che si è unita alle file delle YPJ 6 mesi fa,riassume così gli ultimi 2 mesi di resistenza delle donne: 

“‘L’acquisizione più importante di questo conflitto è stata, a mio parere, la rottura di giudizi di valore feudali a Kobanê.Nell’ultimo mese le donne hanno combattuto al confine.Si può dire che le donne hanno inflitto il maggior numero di colpi schiaccianti alle bande ISIS. Molte donne sono morte dopo aver fatto una resistenza eroica. Spetta ora a noi portare avanti la lotta nel cammino di tutti coloro che sono caduti, in primo luogo delle donne. “ 

ANF 30 Agosto 2013
retekurdistan.it

sabato 23 agosto 2014

23 agosto: anche Pisa si muove a sostegno dei 24 facchini licenziati da Ikea


IL 23 AGOSTO IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DI MOBILITAZIONE PER IL REINTEGRO DEI LAVORATORI LICENZIATI NELL’APPALTO IKEA, ANCHE A PISA SI ANNUNCIA UN PRESIDIO
DI SEGUITO, IL COMUNICATO STAMPA DEI COBAS E DI ALTRE REALTà SOLIDALI CON I LAVORATORI DELLA LOGISTICA
Le lotte non vanno in ferie:
supporta la lotta per la riassunzione dei facchini licenziati negli appalti IKEA
A maggio di quest’anno la cooperativa san Martino ha licenziato 24 lavoratori del magazzino centrale di IKEA a Piacenza, tutti iscritti e delegati S.I.Cobas, grazie ad un pretesto che ha permesso all’azienda di liberarsi dei principali protagonisti delle conquiste sindacali interne degli ultimi anni: una vera ritorsione!
Questi lavoratori sono stati prima criminalizzati poi è arrivata la repressione con decine di denunce che hanno colpito chiunque abbia manifestato per la loro riassunzione, con il silenzio complice delle istituzioni locali che da anni si servono delle cooperative per appalti al ribasso e per abbattere il costo del lavoro. Da tre mesi si susseguono presidi, picchetti, manifestazioni ed iniziative di solidarietà a Piacenza, in tutta Italia e all’estero. La mobilitazione è culminata sabato 26 luglio con una giornata internazionale di solidarietà davanti e dentro i negozi IKEA.
Chi licenzia i lavoratori e si serve di appalti al ribasso non può vendere una immagine diversa per salvaguardare i propri profitti, i clienti di Ikea non devono ricordare che ogni merce acquistata a prezzi bassi ha come merce di scambio la cancellazione di diritti, i licenziamenti dei lavoratori, i contratti precari e gli appalti al ribasso
Giovedì 14 Agosto si sono infatti bloccati tutti i camion in entrata ed uscita dai numerosi ingressi dello stabilimento piacentino. Oggi, sabato 23 Agosto, noi non siamo in ferie ma scendiamo di nuovo in piazza a supporto dei lavoratori della logistica che difendono i loro posti di lavoro, e con dignità vanno affermando condizioni lavorative e di vita migliori, salari non al ribasso. Invia un messaggio su Twitter a Ikea chiedendo il reintegro dei lavoratori licenziati usando le hashtag #buon_giornoperche, #ikea, #catalogoIKEA #Killbilly
Segui e diffondi tutti gli aggiornamenti sul sito http://smontaikea.noblogs.org/ e sulla pagina facebook smontaikea
http://www.facebook.com/smontaikea

Il caso di Presley e Zeno


La Procura di Padova rinvia a giudizio per calunnia,oltraggio e lesioni chi ha subito la violenza delle forze dell'ordine ed ha osato denunciare pubblicamente gli abusi.

Padova: chi denuncia l’abuso di polizia è denunciato per calunnia, la sospensione dei più elementari diritti civili, quello all’integrità fisica, al rispetto della persona in quanto cittadino, vengono legittimati dalla chiusura delle indagini istruttorie su 2 fatti di ordinaria follia securitaria, che hanno avuto una vasta risonanza mediatica ed una pronta mobilitazione di movimento.
E’ di questi giorni la notizia che due degli episodi più noti di abusi di polizia verificatisi pochi mesi fa a Padova saranno oggetto non di un processo agli agenti della municipale o di polizia che se ne sono resi protagonisti ma, al contrario, nei confronti di chi ha avuto l’ardire di denunciare pubblicamente l’avvenuto.
Così sia Presley, il nigeriano da 20 anni residente a Padova pestato dopo un controllo del biglietto, sia Zeno, lo studente attivista di movimento “energicamente” prelevato dal reparto mobile ad una fermata del tram, si trovano accusati, com’è ordinario,  di  resistenza a pubblico ufficiale, lesioni , oltraggio, ma anche di calunnia.
La Procura della Repubblica patavina ha rapidamente concluso le indagini, affidate agli stessi corpi di polizia cui appartengono gli agenti denunciati : nel caso di Presley, dalla polizia municipale, nel caso di Zeno, dalla polizia di stato.
Chi controlla i controllori? Di certo non la Procura, che neanche per un momento si permette il lusso di dubitare sulla veridicità delle relazioni degli stessi agenti protagonisti degli episodi, al punto di far svolgere gli accertamenti  agli stessi soggetti (o ai loro colleghi ).
Il fascino della divisa si sta diffondendo … messaggio chiaro ed inequivocabile in una città dove una giunta intollerante sta improntando la vita quotidiana di tutti i soggetti indesiderati: stranieri, mendicanti o meno, principalmente ed in prima battuta, ma anche attivisti ed associazioni, senza guardare in faccia nessuno, dai centri sociali ai “beati costruttori di pace”.
Il pugno di ferro della giunta si fonda proprio sull’uso-abuso della forza e sul silenzio complice sulle azioni di polizia. C’è ancora chi denuncia gli abusi? Chi documenta l’arresto di  un mendicante senza una gamba ammanettato a terra ? Chi denuncia  per istigazione a delinquere un assessore che consiglia caldamente di abusare dei propri poteri alla polizia municipale che dirige ?
Sappiatelo: non è gradito anzi viene intimidito dai diretti interessati e non solo, così come la chiusura dell’attività istruttoria ce lo ricorda.

23 agosto: anche Pisa si muove a sostegno dei 24 facchini licenziati da Ikea

venerdì 22 agosto 2014

blogger in carcere Alaa Abdel-Fattah comincia sciopero della fame

La Presse
Il blogger egiziano Alaa Abdel-Fattah, molto attivo durante la rivolta del 2011 contro l'allora presidente dell'Egitto Hosni Mubarak, ha cominciato lunedì sera lo sciopero della fame per protestare contro la sua incarcerazione.

Lo riferisce la famiglia oggi in una nota, in cui sottolinea che ritiene le autorità responsabili della sicurezza del giovane. La decisione di cominciare il digiuno è giunta dopo che ieri ha fatto visita al padre, un avvocato per la difesa dei diritti umani, che si trova in carcere dopo un intervento chirurgico. "La scena del padre in stato di incoscienza è stato un punto di svolta per Alaa e alla fine della visita ha deciso che non collaborerà più con questa situazione ingiusta anche se il prezzo sarà la sua vita", si legge nel comunicato. Anche la sorella di Alaa è in carcere per accuse analoghe alle sue.

Abdel-Fattah è stato messo in carcere dopo che a giugno è stato condannato a 15 anni con l'accusa di avere partecipato l'anno scorso a una manifestazione. Successivamente ha però vinto in appello ottenendo la possibilità di avere un nuovo processo, in attesa del quale resta però in prigione.

"Non interpreterò più la parte che hanno scritto per me", dice l'attivista nella dichiarazione diffusa oggi. La sentenza di giugno è stata la più dura mai emessa in Egitto contro un attivista impegnato nella rivolta di 18 giorni che portò alla cacciata di Mubarak. Si è trattato anche della prima condanna di un noto attivista da quando l'ex capo dell'esercito Abdel-Fattah el-Sissi ha assunto l'incarico di presidente.

Nei tre anni dalla cacciata di Mubarak Abdel-Fattah è stato più volte in prigione. Ha portato avanti campagne contro i processi ai civili da parte dell'esercito nei 17 mesi in cui i generali hanno mantenuto il potere dopo le dimissioni di Mubarak. Inoltre si è opposto anche al presidente deposto Mohammed Morsi, rappresentante dei Fratelli musulmani, ma ha espresso forte disapprovazione per il ritorno dell'esercito in politica con il colpo di Stato militare del 3 luglio 2013 con il quale Morsi fu destituito.

giovedì 7 agosto 2014

Come si esegue un esproprio del Terzo Valico secondo il Cociv


Qualche giorno dopo la grande giornata di resistenza agli espropri del 30 luglio e la risposta data dal Movimento No Tav – Terzo Valico con la partecipata fiaccolata del 3 agosto ci è stato recapitato un video che ben dimostra, più di mille parole, quello che i comitati vanno ripetendo dal primo momento. Gli espropri in realtà, nonostante cariche, manganellate e lacrimogeni non sono stati eseguiti a termine di legge. Intanto è bene ricordare che alcuni dei nove espropri erano stati recapitati senza il necessario preavviso di sette giorni come previsto dall’articolo 23 lettera g del Testo unico in materia di espropiazioni per pubblica utitlità: è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili, con un avviso contenente l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora in cui è prevista l’esecuzione del decreto di espropriazione, almeno sette giorni prima di essa“. E’ sempre lo stesso testo di legge che spiega come debba avvenire l’esecuzione dell’esproprio al punto 3 dell’articolo 24: “Lo stato di consistenza e il verbale di immissione sono redatti in contraddittorio con l’espropriato o, nel caso di assenza o di rifiuto, con la presenza di almeno due testimoni che non siano dipendenti del beneficiario dell’espropriazione. Possono partecipare alle operazioni i titolari di diritti reali o personali sul bene.“. E’ evidente che per poter permettere all’espropriato la realizzazione del verbale in contraddittorio occora recarsi presso la sua proprietà interessata dal decreto di esproprio e solo in sua assenza si possa eseguire l’operazione con l’ausilio di almeno due testimoni. In otto dei nove espropri questo non è avvenuto e i tecnici incaricati dal Cociv si sono limitati ad eseguire da distante una fotografia delle aree interessate, protetti da un ingente cordone di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa. Quindi le operazioni sono state con ogni evidenza non valide e se Cociv dovesse ritenerle tali e inviare i verbali di presa in possesso agli espropriati, i legali del movimento cercheranno di far valere le loro buone ragioni in ogni sede giuridica opportuna. Oltretutto se bastava una fotografia che bisogno c’era di picchiare e gasare i cittadini? Perchè nonostante le diffide all’esecuzione degli espropri mandate dai legali degli espropriati al Cociv per l’assenza dei tempi previsti dalla legge e mostrate ai funzionari della Questura di Alessandria si è deciso ugualmente di procedere? Un altro bell’esempio di professionalità ed equilibrio delle forze di polizia secondo il Partito Del cemento?
Aggiungiamo un elemento riguardante proprio l’esproprio alla Crenna raccontato nel video pubblicato sotto. Intanto dei tre proprietari del terreno solo uno era stato avvisato a termini di legge, ma abbiamo poi una notizia ben più succosa. Gli omini stanno fotografando non il terreno interessato dall’esproprio ma un altro terreno che non c’entrava proprio nulla con l’immissione in possesso prevista il 30 luglio. Insomma, i tecnici del Cociv non sapevano neppure dove si trovassero nonostante i meticolosi sopralluoghi dei giorni precedenti (la stessa cosa è successa nel bosco di Moriassi). Poverini, non deve essere facile eseguire espropri in un territorio che non conoscono, protetti dalle forze dell’ordine e in mezzo ai gas lacrimogeni che giustizia divina ha voluto si respirassero pure loro.
Ancora alcune domande.
Davanti a questo video che ben dimostra il modus operandi truffaldino del Cociv avranno per sbaglio qualcosa da dire i Sindaci di Arquata e Serravalle e i Consiglieri Comunali, Regionali e Parlamentari favorevoli alla realizzazione del Terzo Valico? Forza signori superate l’imbarazzo e fatevi avanti per difendere la legalità che dite di avere tanto a cuore.
Dopo aver fatto finta di non sapere chi stesse lavorando nei cantieri del Terzo Valico anche questa volta scieglierete la via dell’omertà?
L’ultima domanda la rivolgiamo a loro, ai tre uomini e alla donna che hanno tentato invano di “fare il loro lavoro”. Noi non li conosciamo, non sappiamo come si chiamano, dove vivono e neppure lo vogliamo sapere. Non sappiamo se hanno figli e che cosa gli hanno raccontato una volta tornati a casa. Non sappiamo cosa conoscano del Terzo Valico e delle ragioni per cui tante persone si oppongono alla sua realizzazione. Comunque stiano tranquilli, i No Tav sono persone per bene, non nutrono nessun sentimento di rivalsa e vendetta. Una curiosità però vorremmo togliercela.
Cari signori, come ci si sente a fare “il vostro lavoro” fra cariche, manganelli, lacrimogeni, persone che vomitano, urla, teste spaccate, anziani feriti caricati in ambulanza? Pensateci, c’è lavoro e lavoro e il lavoro che fate testimonia le persone che siete. Proprio come chi vi ha protetto.
Buona visione del filmato.

Silenzio per Gaza


Si è legata l'esplosivo alla vita
e si è fatta esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
E' il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Da quattro anni, la carne di Gaza schizza schegge di granate da ogni direzione.
Non si tratta di magia, non si tratta di prodigio.
E' l'arma con cui Gaza difende il diritto a restare e snerva il nemico.
Da quattro anni, il nemico esulta per aver coronato i propri sogni,
sedotto dal filtrare col tempo, eccetto a Gaza.
Perché Gaza è lontana dai suoi cari e attaccata ai suoi nemici,
perché Gaza è un'isola.
Ogni volta che esplode,
e non smette mai di farlo,
sfregia il volto del nemico,
spezza i suoi sogni
e ne interrompe l'idillio con il tempo.
Perché il tempo a Gaza è un'altra cosa,
perché il tempo a Gaza non è un elemento neutrale.
Non spinge la gente alla fredda contemplazione,
ma piuttosto a esplodere e a cozzare contro la realtà.
Il tempo laggiù non porta i bambini
dall'infanzia immediatamente alla vecchiaia,
ma li rende uomini al primo incontro con il nemico.
Il tempo a Gaza non è relax,
ma un assalto di calura cocente.
Perché i valori a Gaza sono diversi,
completamente diversi.
L'unico valore di chi vive sotto occupazione
è il grado di resistenza all'occupante.
Questa è l'unica competizione in corso laggiù.
E Gaza è dedita all'esercizio
di questo insigne e crudele valore
che non ha imparato dai libri
o dai corsi accelerati per corrispondenza,
né dalle fanfare spiegate della propaganda
o dalle canzoni patriottiche.
L'ha imparato soltanto dall'esperienza
e dal duro lavoro
che non è svolto in funzione della pubblicità
o del ritorno d'immagine.
Gaza non si vanta delle sue armi,
né del suo spirito rivoluzionario,
né del suo bilancio.
Lei offre la sua pellaccia dura,
agisce di spontanea volontà
e offre il suo sangue.
Gaza non è un fine oratore,
non ha gola.
E' la sua pelle a parlare
attraverso il sangue, il sudore, le fiamme.
Per questo, il nemico la odia fino alla morte,
la teme fino al punto di commettere crimini
e cerca di affogarla
nel mare, nel deserto, nel sangue.
Per questo, gli amici e i suoi cari la amano
con un pudore che sfiora quasi la gelosia
e talvolta la paura,
perché Gaza è barbara lezione
e luminoso esempio
sia per i nemici che per gli amici.
Gaza non è la città più bella.
Il suo litorale non è più blu di quello di altre città arabe.
Le sue arance non sono le migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è la città più ricca.
(Pesce, arance, sabbia,
tende abbandonate al vento,
merce di contrabbando,
braccia a noleggio.)
Non è la città più raffinata,
né la più grande,
ma equivale alla storia di una nazione.
Perché, agli occhi dei nemici,
è la più ripugnante,
la più povera,
la più disgraziata,
la più feroce di tutti noi.
Perché è la più abile a guastare l'umore
e il riposo del nemico
ed è il suo incubo.
Perché è arance esplosive,
bambini senza infanzia,
vecchi senza vecchiaia,
donne senza desideri.
Proprio perché è tutte queste cose,
lei è la più bella,
la più pura,
la più ricca,
la più degna d'amore tra tutti noi.
Facciamo torto a Gaza quando cerchiamo le sue poesie.
Non sfiguriamone la bellezza
che risiede nel suo essere priva di poesia.
Al contrario, noi abbiamo cercato
di sconfiggere il nemico con le poesie,
abbiamo creduto in noi
e ci siamo rallegrati vedendo
che il nemico ci lasciava cantare
e noi lo lasciavamo vincere.
Nel mentre che le poesie
si seccavano sulle nostre labbra,
il nemico aveva già finito
di costruire strade, città, fortificazioni.
Facciamo torto a Gaza
quando la trasformiamo in un mito
perché potremmo odiarla
scoprendo che non è niente più
di una piccola e povera città
che resiste.
Quando ci chiediamo cos'è che l'ha resa un mito,
dovremmo mandare in pezzi tutti i nostri specchi
e piangere
se avessimo un po' di dignità,
o dovremmo maledirla
se rifiutassimo di ribellarci contro noi stessi.
Faremmo torto a Gaza
se la glorificassimo.
Perché la nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.
Ma Gaza non verrà da noi,
non ci libererà.
Non ha cavalleria,
né aeronautica,
né bacchetta magica,
né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere.
In un colpo solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi,
la nostra lingua e i suoi invasori.
Se la incontrassimo in sogno
forse non ci riconoscerebbe,
perché lei ha natali di fuoco
e noi natali d'attesa
e di pianti per le case perdute.
Vero, Gaza ha circostanze particolari
e tradizioni rivoluzionarie particolari.
(Diciamo così non per giustificarci, ma per liberarcene.)
Ma il suo segreto non è un mistero:
la sua coesa resistenza popolare sa benissimo cosa vuole
(vuole scrollarsi il nemico di dosso).
A Gaza il rapporto della resistenza con le masse
è lo stesso della pelle con l'osso
e non quello dell'insegnante con gli allievi.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in un'istituzione.
Non ha accettato ordini da nessuno,
non ha affidato il proprio destino alla firma
né al marchio di nessuno.
Non le importa affatto se ne conosciamo o meno il nome,
l'immagine, l'eloquenza.
Non ha mai creduto di essere fotogenica,
né tantomeno di essere un evento mediatico.
Non si è mai messa in posa davanti alle telecamere
sfoderando un sorriso stampato.
Lei non vuole questo,
noi nemmeno.
La ferita di Gaza non è stata trasformata in pulpito per le prediche.
La cosa bella di Gaza è che noi non ne parliamo molto,
né incensiamo i suoi sogni
con la fragranza femminile delle nostre canzoni.
Per questo Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori.
Per questo, sarà un tesoro etico e morale
inestimabile per tutti gli arabi.
La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono,
niente la distoglie.
Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico.
Né il modo di spartire le poltrone del Consiglio Nazionale,
né la forma di governo palestinese
che fonderemo dalla parte est della Luna
o nella parte ovest di Marte,
quando sarà completamente esplorato.
Niente la distoglie.
E' dedita al dissenso:
fame e dissenso,
sete e dissenso,
diaspora e dissenso,
tortura e dissenso,
assedio e dissenso,
morte e dissenso.
I nemici possono avere la meglio su Gaza.
(Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.)
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare carri armati
nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini.
Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei:
non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte,
non si tratta di suicidio.
Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
 
Silenzio per Gaza di Mahmoud Darwish 1973
La versione inglese: pdfSilence_for_Gaza.pdf.

lunedì 4 agosto 2014

Vicenza Maximulta agli Antifascisti, Jackson: “Non permetteremo altre case bruciate”


A pochi giorni dal decreto penale che ha colpito 18 attivisti per aver deviato il percorso del corteo del 30 novembre, lo storico portavoce dei centri sociali vicentini ricorda: “Nel ’94 per il corteo naziskin caddero questore e prefetto”
3 agosto 2014
“Non permetteremo che il nostro territorio cada di nuovo in mano alle bande di fascisti, come negli anni ’90. La difesa della Libertà non è una questione di ordine pubblico, è un dovere politico”.
Così Olol Jackson, storico portavoce dell’antagonismo vicentino, commenta, a bocce ferme, i 18 decreti penali che hanno colpito altrettanti attivisti (tra cui lui stesso) per i fatti del 30 novembre, quando il corteo degli anti fascisti venne a contatto con le forze di polizia, in un tratto non autorizzato. La sanzione, complessivamente, supera i 100mila euro e le accuse sono di resistenza a pubblico ufficiale e trasgressione degli ordini della questura. La manifestazione era stata convocata, ed appoggiata dalla sinistra radicale vicentina, per protestare contro il corteo regionale del partito di estrema destra, Forza Nuova.
“Che abbiano cambiato nome non ci inganna certamente – prosegue Jackson – Sono sempre gli stessi: xenofobi, fomentatori d’odio e violenti, sia nelle parole che nei gesti. Non sarà certo un decreto penale (ndr: che verrà comunque impugnato) a scalfire i nostri valori, o farci fare un passo indietro. Vorrei ricordare che, nel ’94, dopo una manifestazione simile, organizzata dal Veneto Front Skin Heads, saltarono questore e prefetto a Vicenza. E ora lo Stato ci multa? E’ assurdo”. All’epoca, il raduno venne stigmatizzato da tutte le forze politiche, incluso Gianfranco Fini.
“La nostra provincia non tornerà ad essere teatro di fatti abominevoli, come l’incendio appiccato ad una casa di migranti, nel ’93 a Valdagno. Prima i “negri”, adesso gli “zingari”: la storia è sempre quella, la caccia alla minoranza. Ora, a causa della crisi – riflette Jackson – Trovano terreno più fertile: difficoltà e disoccupazione abbrutiscono le persone. Ma non si illudano: ci saranno sempre migliaia di persone a bloccare la loro strada di odio e intolleranza”.