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giovedì 12 dicembre 2013

Mi chiamo Massimo e chiedo giustizia



è online e visibile a tutti gratuitamente il documentario "". La messa online del documentario ha la finalità di far conoscere il più possibile la storia di Massimo Casalnuovo, il meccanico ventiduenne morto a Buonabitacolo (SA) cadendo dallo scooter al presunto posto di blocco dei carabinieri la sera del 20 agosto 2011.
Erano le 20 e 30 di due anni fa quando il giovane percorreva senza casco via Grancia evitando l'alt dell'appuntato Francesco Luca Chirichella. Il maresciallo dei carabinieri Giovanni Cunsolo allora si portava al centro della carreggiata per fermare il ragazzo che qualche secondo più tardi cadeva a terra, sbattendo il petto sullo spigolo del muretto del ponte che sovrasta il fiume Peglio. 
Dopo l'incidente si diffondono due versioni dei fatti totalmente opposte tra loro; quella dell'Arma secondo cui Massimo è caduto dopo avere cercato di investire il maresciallo e ferendolo a un piede, e quella invece di alcuni testimoni secondo cui Massimo ha sbandato a causa del calcio sferrato allo scooter dal maresciallo Cunsolo. All'ospedale di Polla comunque arrivava prima il maresciallo, mentre Massimo moriva in ambulanza.
In 40 minuti il documentario prende in esame tutte le fasi dell'accaduto; dal primo comunicato stampa dell'Arma che incolpava Massimo di avere investito il maresciallo dei carabinieri, all'insurrezione della comunità di Buonabitacolo, le voci di Emilio Risi ed Elia Marchesano testimoni oculari dell'incidente, le istituzioni locali, gli atti di indagine della polizia giudiziaria, le perizie tecniche, fino alla battaglia portata avanti dalla famiglia Casalnuovo in questi due anni, e l'udienza preliminare che lo scorso 5 luglio ha visto assolvere il maresciallo dei carabinieri Giovanni Cunsolo, unico indagato per la morte di Massimo.

Piazza Fontana - 12/12/69

giovedì 5 dicembre 2013

A Torino il collettivo "#Se non con Marta quando?"



A Torino il 4 dicembre, durante la conferenza stampa No Tav, ha parlato Valeria, una compagna di Marta, l'attivista pisana che ha accusato le forze dell'ordine di averla molestata sessualmente durante un fermo, al cantiere Tav di Maddalena di Chiomonte. Valeria racconta la storia di Marta e delle iniziative del collettivo.

martedì 3 dicembre 2013

Federico Perna, ancora una vittima delle carceri italiane



Il caso di una nuova vittima del sistema carcerario italiano è stato reso pubblico da alcune testate negli ultimi giorni: si tratta di Federico Perna, detenuto di 34 anni morto nel carcere di Poggioreale, a Napoli, lo scorso 9 novembre.



Perna era in carcere da tre anni a scontare una pena cumulativa per reati diversi; fin dall'inizio della sua detenzione è stato sottoposto a continui trasferimenti (Velletri, Cassino, Viterbo, Secondigliano, Benevento e infine Napoli), nonostante fosse affetto da due patologie gravi e diversi medici avessero stabilito che la sua condizione di salute era incompatibile con la detenzione in carcere e che si dovessero quindi trovate delle soluzioni alternative. Nonostante questo, Perna è rimasto prigioniero del carcere di Poggioreale dove veniva sovente imbottito di psicofarmaci e subiva maltrattamenti e vessazioni continui.

Questa condizione viene confermata anche dalla madre di Perna, tramite le lettere che il figlio le inviava chiedendo disperatamente di poter essere sottratto all'inferno carcerario ma soprattutto dallo stato in cui lo trovava quando si recava ai colloqui, riferendo di averlo visto sempre coperto da segni di percosse e poco lucido per i farmaci somministratigli.

Una settimana prima della sua morte Federico Perna aveva denunciato di perdere sangue dalla bocca ormai da diversi giorni ma anche in questo caso la sua richiesta di aiuto è rimasta inascoltata fino a quando il 9 novembre la famiglia è stata informata del suo decesso. Secondo i referti la morte sarebbe avvenuta per un ictus ma la madre ha deciso di portare alla luce il caso di suo figlio, rendendo pubbliche le lettere ricevute negli ultimi tre anni ma soprattutto le foto del cadavere che raccontano una storia ben diversa da quella 'ufficiale' e che mostrano sul corpo di Perna i segni evidenti di pestaggi brutali.

'L'hanno ammazzato di botte' è la denuncia carica di rabbia fatta dalla madre, che dopo anni di richieste inascoltate ora pretende chiarezza e giustizia sul caso del figlio. Sulla vicenda alcuni deputati hanno chiesto un'interrogazione parlamentare, scontrandosi con la secca risposta del sottosegretario Giuseppe Berretta che, senza sapere nulla del caso, ha ritenuto di dover difendere a spada tratta l'operato del personale penitenziario di Poggioreale, affermando che Perna fosse sempre adeguatamente seguito ma rifiutasse le cure. Ancora una volta la sua famiglia dovrà probabilmente scontrarsi con un muro di menzogne e inchieste farsa ma la madre afferma di essere determinata ad andare avanti non solo per suo figlio ma anche perché quanto accaduto non si ripeta su altri detenuti nella sua stessa condizione.

Il caso di Perna riporta infatti alla mente per molti versi quello di Stefano Cucchi ma ci parla più in generale della situazione disumana cui sono sottoposti tantissimi altri detenuti in tutta Italia e degli abusi e delle violenze che tra quelle mura quotidianamente avvengono in totale impunità per mano della divisa di turno.


UniverCity Uprising! Roma, 4-5-6 dicembre!

Report - Marco Paolini & Paolo Barnard - La strage di Bhopal & l'altro T...

martedì 26 novembre 2013

nei secoli fedele (2013)



Questo è il documentario di Giuseppe Uva per favore fatelo girare è importante che tutti sappiano cosa è successo a Giuseppe.
Pregherei il DOTT.ABATE,E IL PROCURATORE MAURIZIO GRIGO,DI GUARDARLO ATTENTAMENTE CHE PROBABILMENTE LE IDEE VI SI SCHIARISCONO.

La polizia attacca gruppo pacifico di donne

domenica 24 novembre 2013

This is my land Hebron (integrale)



Chiunque parli della situazione palestinese nel bene o nel male dovrebbe vedere questo documentario. Provate a perdere un'ora del vostro tempo e quando parlerete di Iran; Korea; Siria o altre nazioni che non rispettano le leggi internazionali o le risoluzioni ONU vi ricorderete anche di israele!

venerdì 22 novembre 2013

giovedì 14 novembre 2013

Lampedusa a Padova: la conferenza stampa





E’ trascorso poco più di un mese dalla strage di Lampedusa e, al di là del cordoglio per i tanti morti, il nostro sguardo ha bisogno di spostarsi verso chi è sopravvissuto, perché non sia abbandonato.
Per loro, così come altre migliaia di rifugiati in Italia, si apre un futuro incerto, difficile, travagliato.
E’ una storia che conoscono bene gli attivisti dell’Associazione Razzismo Stop e delle altre che con loro si sono battute al fianco dei rifugiati, a partire dalle vicende di centinaia di persone che in questi anni hanno trovato rifugio nei locali di via Gradenigo 8 a Padova.
Oggi la situazione del centro di accoglienza è nuovamente esplosiva, perché esplosivo è il contesto dell’accoglienza in Italia e a Padova.
In questi lunghi mesi trascorsi non si è mai fermata la ricerca di soluzioni, anche aprendo un confronto con l’amministrazione comunale offrendo una collaborazione gratuita affinché i rifugiati, in via Gradenigo o altrove, fosse garantita un’accoglienza degna.
Ma così non è stato.
Ed ancora oggi nei locali del quartiere Portello si trovano circa 50 persone.
Non si tratta di un fatto episodico, neppure di un “residuo” di persone in “sovrappiù” da sistemare. Perché la crisi economica, l’inverno incombente, i tanti scenari di conflitto che interessano il Medio-Oriente così come il continente africano, dalla Siria all’Egitto, dalla Somalia alla Libia, ci raccontano di un domani, che è anche il nostro presente, in cui l’esigenza di costruire spazi e progetti di accoglienza risulta essere una vera urgenza: una necessità strutturale.
Tutte le ricerche svolte sul tema da autorevoli organizzazioni ed enti, così come dall’Unione Europea, denunciano l’insufficienza e l’inadeguatezza del sistema di accoglienza italiano. Quella realizzata da ASGI, insieme ad A.I.C.C.R.E, Caritas Italiana, Communitas Onlus, Ce.S.Pi, dal titolo Il diritto alla protezione, per esempio, rileva che solo il 32,4% dei rifugiati trova un luogo dove stare.
La storia di quel restante 67,6% è quella di chi, come a Padova, è costretto a trovare sistemazioni di fortuna. Lo dimostra il crescente numero di persone che raggiungono la sede di via Gradenigo. 12 etnie diverse, alcuni di loro hanno raggiunto le nostre coste da pochi mesi, qualcuno è arrivato solo 10 giorni fa in Sicilia, altri invece tornano dai viaggi nel cuore dell’Europa, da altri stati in cui hanno cercato fortuna ed invece sono andati incontro alle gabbie di Dublino, una parte consistente rappresenta il fallimento del piano per l’emergenza nordafrica,
E’ troppo facile insomma piangere i morti per poi abbandonare i sopravvissuti, guardare alle stragi che accadono altrove mostrando cordoglio per poi chiudere gli occhi di fronte alla realtà che si materializza davanti ai propri occhi, quella non mediata dalle telecamere, quella che bussa direttamente alla porta e si materializza nelle strade. C’è insomma chi chiude gli occhi quando Lampedusa è a Padova.
Per questo l’Associazione Razzismo Stop invitia tutte le associazioni, le organizzazioni, i collettivi ed i cittadini ad essere al fianco dei rifugiati giovedì 14 novembre 2013, alle ore 16.30 davanti a Palazzo Moroni, per chiedere risposte alle istituzioni cittadine.

Nessun colpevole

Nessun colpevole, tutti assolti. Dopo undici anni di inchieste e processi, ieri Juan Luis Pía, presidente del Tribunale Superiore di Giustizia della Galizia, chiamato a giudicare i responsabili della tragedia del Prestige, ha assolto gli unici tre accusati per la più grave catastrofe ambientale che la Spagna abbia mai subito: il capitano della petroliera Apostolos Mangouras e il suo vice Nikolaos Argyropoulos, e l’ex direttore della Marina Mercantile José Luis López Sors, unico esponente dell’amministrazione imputato. Nessuna responsabilità per chi dirigeva la petroliera che riversò sulle coste galiziane decine di migliaia di tonnellate di greggio inondando uno degli ecosistemi più preziosi e incontaminati di tutto il contintente europeo, e neanche per l’Amministrazione incaricata di vigilare e che non vigilò e anzi sottovalutò l’incidente aggravandone le conseguenze. Per i tre imputati l’accusa chiedeva pene dai 5 ai 12 anni di reclusione. Ma l’unica condanna, poco più che simbolica – 9 mesi che non sconterà - è stata inflitta all'ormai anziano capitano del Prestige perché riconosciuto colpevole del delitto di disobbedienza grave alle autorità spagnole, ma non di quelli di crimini contro l’ambiente e danni ad un ecosistema protetto. Il primo ufficiale della petroliera, Ireneo Maloto, non è stato neanche processato, visto che da tempo è irreperibile.
Anche sul fronte dei risarcimenti la sentenza disillude le aspettative, riconoscendo i danni economici causati da 63 mila tonnellate di greggio sparsi su 2900 chilometri di costa e 1177 spiagge sparse dalla Galizia fino alle Lande francesi, passando per le coste asturiane, cantabriche e basche. Ma non riconosce nessuna responsabilità penale perché non sarebbe possibile conoscere le vere cause dell’avaria alla petroliera che provocò un disastro ambientale senza precedenti in Europa. Una presa d’atto che però cozza con quanto il magistrato ha detto durante la lettura della sentenza, cioè che ‘l’impresa proprietaria dell’imbarcazione era al corrente del fatto che le sue condizioni non erano adeguate al trasporto di grandi quantità di greggio ma fece finta di nulla”.  Ma sulle responsabilità dell'armatore, dell'impresa proprietaria e delle autorità spagnole che gli accordarono permessi e licenze niente da dire.
La sentenza lascia l’amaro in bocca anche perché sul banco degli imputati non si sono neanche seduti i responsabili politici di quella tragedia: dall’ex ministro del Partito Popolare Francisco Álvarez-Cascos all’attuale premier Mariano Rajoy, all’epoca vice del capo del governo Josè Maria Aznar.
Incredibilmente la sentenza afferma che l'ecosistema galiziano si è totalmente ripreso dai danni causati dal 'chapapote'. Una bugia antoassolutoria e autoconsolatoria, visto che solo due anni fa in alcune spiagge galiziane, a pochi metri di profondità, la melma nera ancora ricopriva i fondali desertificati dalla marea nera del 2002. Il colpo di spugna giudiziario non può nascondere gli effetti di una tragedia che avrà effetti su larga scala ancora per molti, molti anni.
Undici anni fa, manifestando per le strade delle loro città, i galiziani scelsero di sventolare bandiere a lutto, quelle con la striscia azzurra della Galizia in campo nero. Il nero del petrolio che inondò le loro coste e ora anche dell'oblio in cui cadranno colpe e responsabilità.

14 novembre 1951 L’alluvione del Polesine

Il 14 novembre 1951 l’Italia ha vissuto una delle sue peggiori tragedie del Dopoguerra: l’alluvione del Polesine.
Il Polesine è una terra agricola che corrisponde alla provincia di Rovigo: si trova tra il fiume Po e l’Adige, in prossimità della loro foce. La abitavano genti lavoratrici e povere.
Dopo giorni di incessanti piogge, la piena del fiume Po, sommata a quelle dei suoi affluenti, spazzò via i tentativi della popolazione di arginare la violenza dell’acqua. Tutta la vasta area della provincia di Rovigo fu sommersa dall’alluvione. Le vittime furono un centinaio, gli sfollati ben 180 mila. Ad appena sei anni dalla fine della distruttiva II Guerra Mondiale, l’alluvione del Polesine rappresentò un duro colpo che mise in ginocchio l’Italia.
La solidarietà italiana e internazionale fu notevole e il lavoro delle istituzioni, con la bonifica, permise di tornare a coltivare la terra già nel 1952. Moltissimi emigrarono: se nel 1951 la popolazione del Polesine era di quasi 358 mila abitanti, nel 1961 si era ridotta a meno di 278 mila.

martedì 12 novembre 2013

Barcellona. L’indipendentista al banchiere: “ci vediamo all’inferno

David Fernández, uno dei tre deputati della Cup – sinistra indipendentista - al Parlamento Catalano, è stato protagonista di un gesto dall’enorme impatto simbolico e politico. 
Ieri l’ex presidente di Bankia – grande gruppo bancario salvato dal governo spagnolo con miliardi di euro - Rodrigo Rato era stato chiamato dall’istituzione regionale catalana a dichiarare davanti alla speciale commissione d’inchiesta del Parlament sulle banche.
Dopo aver ascoltato l’intervento dell’ex manager, Fernandez ha cominciato a sventolare una scarpa - per la precisione un sandalo - e rivolgendosi a Rato ha chiesto: “Lei sa che fanno in Irak con questo, simbolo di umiliazione e disprezzo per il potere del potere?" e poi ha rinfacciato al Partito Popolare le sue responsabilità nella partecipazione spagnola nella guerra contro l’Iraq e, su un altro livello, alla "guerra economica contro i poveri ".
E poi ancora, rivolgendosi a Rato, Fernandez ha chiesto: "Lei ha paura?". Quando Rato ha risposto “Di chi, di lei?” l’esponente della sinistra indipendentista catalana ha chiarito: "No, di perdere tutto, come milioni di famiglie, e che un giorno la gente si arrabbi”.
E poi ancora, in un crescendo studiato ed efficace: "Ci vediamo all’inferno. Il suo inferno è la nostra speranza (...) A presto bandito. Fuori la mafia”. Rato ha evitato di replicare.
In precedenza, David Fernández aveva interrotto Rato mentre questi affermava che era impossibile che Bankia avesse durante il suo mandato di presidente causato almeno 80 mila sfratti.

Comunque durante il suo intervento Rato, presidente di Bankia dal gennaio del 2010 al maggio del 2012, ha ammesso di essere il responsabile delle decisioni che portarono l’istituto bancario – una cassa di risparmio - ad una crisi pagata poi dal governo con miliardi di euro dai contribuenti in un momento in cui il paese è alle prese con una disoccupazione al 27%.

martedì 29 ottobre 2013

Gruppo Operaio 'E Zezi - 'A Flobert (1976)



Ricorre in queste settimane il quarantesimo anniversario della nascita del gruppo musicale dei E’ Zezi o meglio, come orgogliosamente si sono autodefiniti in questi decenni: “Gruppo Operaio di Pomigliano d’Arco E’ Zezi”. Nei prossimi giorni a Pomigliano ci saranno incontri e feste per ricordare degnamente questo felice tragitto umano, musicale e politico. 

Dopo oltre 40 anni di attività sono ancora forti e radicate le motivazioni che il fondatore del gruppo, Angelo De Falco, diede all’inizio della loro avventura culturale e musicale. Angelo veniva dall’esperienza con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, per lui «il folk doveva essere canto di protesta, di disagio, rivoluzionario” e con questa ferma linea di condotta diede inizio all’avventura artistica e politica dei Zezi. 

I tempi erano diversi da quelli odierni: Pomigliano d’Arco viveva la grande epopea della fabbrica fordista che trasformava i contadini in metal/mezzadri, le lotte percorrevano i reparti e si aprivano alle altre fabbriche ed al territorio. Nasceva quel canto e quel sound di protesta che oltre ad innervarsi nel conflitto si nutriva della cultura di un territorio ricco di tradizioni folk e di una cultura contadina fortemente caratterizzata. Oggi a Pomigliano resta la fabbrica autoritaria del modello Marchionne, un esercito di cassaintegrati e un tessuto sociale disgregato. La campagna circostante è stata, anche essa, manomessa e violentata dagli effetti del biocidio capitalista che attacca le forme di vita nei nostri territori. 

In questi quattro decenni E Zezi hanno prodotto una grande quantità di dischi e di spettacoli alcuni dei quali apprezzati anche fuori dal tradizionale circuito popolare. Oltre 300 musicisti, a vario titolo, sono passati per questa esperienza restandone segnati nel loro futuro percorso musicale ed artistico.

Insomma è cambiata la fabbrica, sono mutate le modalità dello sfruttamento, l’urbanizzazione e la modernità del capitale hanno lasciato tracce anche nell’antropologia di questi luoghi ma la verve e la passione artistica dei Zezi non è cambiata. Ancora oggi i loro concerti sono un sapiente mix tra teatro d’avanguardia, agit prop, sperimentazioni sonore e recupero delle migliori tradizioni popolari. 

Questa vitalità è rappresentata dal gran numero di giovani che si accosta a questo stile artistico e musicale guardando con simpatia alla storia dei E’ Zezi come alla storia delle lotte e dei conflitti di queste aree del nostro Sud. 

Una storia, come dimostra la vicenda dei Zezi, che deve rinnovarsi ulteriormente senza smarrire radici e ragioni sociali ancora drammaticamente vigenti.

martedì 22 ottobre 2013

I treni per Reggio Calabria canto di Giovanna Marini



Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta diversi movimenti di rivendicazione sociali esplosero nel sud Italia e i22 ottobremmediato fu il tentativo di annegarli nel sangue.
A Reggio Calabria, tra il luglio ed il settembre del 1970 si susseguirono numerose proteste contro il trasferimento del capoluogo regionale a Catanzaro. Vennero occupati la stazione, l'areoporto, le Poste e vi fu un grande sciopero generale.
Le organizzazioni di estrema destra risposero a questa ondata di protesta sociale da un lato con una serie di attentati dinamitardi, come quello del 22 luglio 1970 che fece deragliare il treno "Freccia del Sud" a Gioia Tauro (6 perosne morirono nell'attentato) e quello del 4 febbraio 1970, quando venne lanciato una bomba contro un corteo antifascista a Catanzaro; dall'altro tentando di scatenare disordini in città.
Alla strategia del terrore si affiancava il tentativo, sempre da aprte delle forze neo-fasciste, di cavalcare l'ondata di rivolta e di accreditarsi come rappresentanti degli interessi della popolazione in lotta.
Per rispondere a questi attacchi i sindacati metalmeccanici decisero di organizzare una grande manifestazione di solidarietà a fianco dei lavoratori calabresi. Fu tra le prime volte che gli operai del nord e del centro scesero a manifestare al Sud.
La manifestazione fu indetta per il 22 ottobre. I neofascisti tentarono di impedire l'arrivo dei manifestanti con una serie di attentati, 8 in totale, nella notte tra il 21 e il 22 ottobre 1972.
Il tentativo però fallì, infatti più di 50'000 manifestanti riuscirono a raggiungere Reggio Calabria con i treni e i treni speciali, cui si aggiunse anche una nave con 1000 operai noleggiata dagli operai dell'Ansaldo di Genova.
Il viaggio e la giornata sono descriti da una canzone di Giovanna Marini.

I treni per Reggio Calabria
Andavano col treno giù nel meridione
per fare una grande manifestazione
il ventidue d'ottobre del settantadue
in curva il treno che pareva un balcone
quei balconi con la coperta per la processione
il treno era coperto di bandiere rosse
slogans, cartelli e scritte a mano
da Roma Ostiense mille e duecento operai
vecchi, giovani e donne
con i bastoni e le bandierearrotolati
portati tutti a mazzo sulle spalle
Il treno parte e pare un incrociatore
tutti cantano bandiera rossa
dopo venti minuti che siamo in cammino
si ferma e non vuole più partire
si parla di una bomba sulla ferrovia
il treno torna alla stazione
tutti corrono coi megafoni in mano
richiamano "andiamo via Cassino
compagni da qui a Reggio è tutto un campo minato,
chi vuole si rimetta in cammino"
dopo un'ora quel treno che pareva un balcone
ha ripreso la sua processione
anche a Cassino la linea è saltata
siamo tutti attaccati al finestrino
Roma ostiense Cisterna Roma termini Cassino
adesso siamo a Roma tiburtino
Il treno di Bologna è saltato a Priverno
è una notte una notte d'inferno
i feriti tutti sono ripartiti
caricati sopra un altro treno
funzionari responsabili sindacalisti
sdraiati sulle reti dei bagagli
per scrutare meglio la massicciata
si sono tutti addormentati
dormono dormono profondamente
sopra le bombe non sentono più niente
l'importante adesso è di essere partiti
ma i giovani hanno gli occhi spalancati
vanno in giro tutti eccitati
mentre i vecchi sono stremati
dormono dormono profondamente
sopra le bombe non sentono più niente
famiglie intere a tre generazioni
son venute tutte insieme da Torino
vanno dai parenti fanno una dimostrazione
dal treno non è sceso nessuno
la vecchia e la figlia alle rifiniture
il marito alla verniciatura
la figlia della figlia alle tappezzerie
stanno in viaggio ormai da più di venti ore
aspettano seduti sereni e contenti
sopra le bombe non gliene importa niente
aspettano che è tutta una vita
che stanno ad aspettare
per un certificato mattinate intere
anni e anni per due soldi di pensione
erano venti treni più forti del tritolo
guardare quelle facce bastava solo
con la notte le stelle e con la luna
i binari stanno luccicanti
mai guardati con tanta attenzione
e camminato sulle traversine
mai individuata una regione
dai sassi della massicciata
dalle chine di erba sulla vallata
dai buchi che fanno entrare il mare
piano piano a passo d'uomo
pareva che il treno si facesse portare
tirato per le briglie come un cavallo
tirato dal suo padrone
a Napoli la galleria illuminata
bassa e sfasciata con la fermata
il treno che pareva un balcone
qualcuno vuol salire attenzione
non fate salire nessuno
può essere una provocazione
si sporgono coi megafoni in mano
e un piede sullo scalino
e gridano gridano quello che hanno in mente
solo comizi la gente sente
ora passa la notte e con la luce
la ferrovia è tutta popolata
contadini e pastori che l'hanno sorvegliata
col gregge sparpagliato
la Calabria ci passa sotto i piedi ci passa
dal tetto di una casa una signora grassa
fa le corna e alza una mano
e un gruppo di bambini
ci guardano passare
e fanno il saluto romano
Ormai siamo a Reggio e la stazione
è tutta nera di gente
domani chiuso tutto in segno di lutto
ha detto Ciccio Franco "a sbarre"
e alla mattina c'era la paura
e il corteo non riusciva a partire
ma gli operai di Reggio sono andati in testa
e il corteo si è mosso improvvisamente
è partito a punta come un grosso serpente
con la testa corazzata
i cartelli schierati lateralmente
l'avevano tutto fasciato
volavano sassi e provocazioni
ma nessuno s'è neppure voltato
gli operai dell'Emilia-Romagna
guardavano con occhi stupiti
i metalmeccanici di Torino e Milano
puntavano in avanti tenendosi per mano
le voci rompevano il silenzio
e nelle pause si sentiva il mare
il silenzio di qulli fermi
che stavano a guardare
e ogni tanto dalle vie laerali
si vedevano sassi volare
e alla sera Reggio era trasformata
pareva una giornata di mercato
quanti abbracci e quanta commozione
il nord è arrivato nel meridione
e alla sera Reggio era trasformata
pareva una giornata di mercato
quanti abbracci e quanta commozione
gli operai hanno dato una dimostrazione

sabato 12 ottobre 2013

100 personas para parar un desahucio



La mattina di Venerdì 11 ottobre 2013, oltre un centinaio di persone si sono riunite a Hernan Cortes Street, bloccando il passaggio della polizia e la commissione giudiziaria, impedendo così una seconda volta l'esecuzione di sfratto di Marisa Gomez, un famoso attivista . della lotta per un alloggio decente a Madrid 
ulteriori informazioni: http://periodismohumano.com/economia/ ...

sabato 5 ottobre 2013

Lampedusa, Amnesty protesta a Montecitorio: "Politici, oggi piangete. Ma...

Siria, un migrante racconta le violenze subite a Catania

Qatar: the migrant workers forced to work for no pay in World Cup host c...



La faccia del capitalismo odierno è indubbiamente quella delle opere faraoniche e degli eventi intergalattici che attraggono sponsor multimiliardari da tutto il mondo. Del resto, della dimensione pubblica importa poco e di quella ambientale ancor di meno, per cui può esserci una centrale nucleare gravemente danneggiata che sversa in mare a pochi chilometri di distanza dal punto in cui dovrai organizzare un evento globale, ma tu devi fregartene e saltare come un grillo per la felicità di avere vinto all'asta un'imperdibile “occasione di sviluppo”. Il Giappone è un fulgido esempio per capire la pericolosa via intrapresa dal pensiero capitalistico nella sua fase dogmatica, ossia quella del liberismo globalizzato. 
Per fortuna la gioia dei samurai giapponesi pronti a sacrificarsi per il bene del capitalismo globale non è condivisa qui da noi, né in Italia né in Europa, dove ci sono state e ci sono battaglie contro il nucleare e contro l'insensatezza di un progetto inutile e oneroso come quello del Tav che toglie risorse preziose in un momento in cui si taglia sull'essenziale. Certo è che le ombre all'orizzonte si fanno sempre più dense e non accennano a diradarsi, infatti partono proprio dal nodo cruciale del lavoro e dei diritti, messo sotto scacco qui da noi da un processo di riforma ormai ventennale (e qualcuno, insaziabile, continua a chiederne ancora). Infatti, il neocapitalismo richiede sacrifici di sangue per erigere i suoi totem al Dio-Mammona del denaro/potere/successo (rif. Flores d'Arcais – Micromega 6/2013), rivelando così la sua identità dogmatica, ormai ridotta a divinità per l'appunto, che pretende la prostituzione di ogni attività, non ultima quella intellettuale. Il presupposto essenziale è stato raggiunto: il lavoro è stato ridotto a merce, dunque privato dei più elementari diritti e le persone stesse sono state trasformate in cose (come dimostra bene l'esempio giapponese). La teoria liberale sempre più traballante cerca di riportare tutto alla normalità, ma emergono fenomeni preoccupanti e gli stessi liberali sempre più spesso devono ammettere il cortocircuito del loro pensiero. Emerge così da un'inchiesta del britannico Guardian (http://www.theguardian.com/world/2013/sep/25/revealed-qatars-world-cup-slaves) il ritorno dello schiavismo, e dove? Nello Stato recentemente definito da Forbes (http://www.forbes.com/sites/bethgreenfield/2012/02/22/the-worlds-richest-countries/) “il più ricco al mondo”. Una classifica farlocca, basata sui dati del Pil pro-capite forniti dal FMI ci dice che in questa monarchia la crisi economica non esiste e la ricchezza sulla testa di ognuno è la più alta al mondo. Peccato che in Qatar non abbiano fatto altro che vendere risorse energetiche a un occidente drogato, e che ormai anche i sassi sappiano che il Pil pro-capite non dice proprio nulla sulla distribuzione della ricchezza, infatti scopriamo dal Guardian che in questo paradiso terrestre esiste la schiavitù. E indovinate un po' da chi è esercitata? Dalle multinazionali occidentali che sponsorizzano l'evento, of course. E sulla pelle di chi? Su chi se non sui migranti, nepalesi e indiani nella fattispecie, che si vedono sequestrare stipendi e passaporti come nuova forma d'incatenamento dell'essere umano al proprio padrone che può così arrivare fino a privare dell'acqua i suoi sottoposti, costretti a lavorare nei bollenti cantieri di Doha. Che Marx e Engels non si limitassero a ricorrere ad una metafora quando si riferivano alle “catene”, ma che volessero fare riferimento ad una forma più articolata su cui tendono ad ergersi i medesimi rapporti schiavistici mi pare evidente. Lo stesso Formenti ci ricorda proprio a partire dal caso del Qatar come capitalismo e schiavitù non siano affatto incompatibili, anzi. (vedi:http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/10/03/carlo-formenti-il-nuovo-matrimonio-tra-capitalismo-e-schiavitu/
Nel caso del Qatar prescindere dalla situazione internazionale sarebbe poi una stortura di non poco conto, e implicherebbe un esercizio d'indifferenza notevole, poiché in quei paesi la monarchia assoluta va' ancora di moda e le proteste di massa sono state represse brutalmente nel sangue. In Bahrain le “primavere arabe” sono state e vengono ancora stroncate tra torture e arresti preventivi. 
Così anche il più recente ciclo di proteste scatenatosi nelle economie emergenti la scorsa estate, curiosamente, pare aver incontrato la repressione più dura proprio nei paesi sotto l'influenza dell'occidente democratico, ossia nel regime turco di Erdogan – che fino a poche settimane fa spingeva per un uso unilaterale della forza in Siria, nonostante il serio pericolo di estensione del conflitto - e nelle monarchie degli emiri. Due cristallini esempi di “democrazia” che stanno lì a ricordarci come la stessa democrazia che oggi diamo per scontata non sia cascata dal cielo. 
Così l'occidente si trova immerso nell'ipocrisia generale, incapace di razionalizzare il problema della carneficina. Vediamo le recenti tragedie sulle nostre sponde, ma nessuno sa (alcuni sanno, ma fanno finta di non sapere) come fermare “il flusso”: trattare con Gheddafi, ammazzare Gheddafi, fare le “guerre umanitarie” ed “esportare la democrazia”, “mettere le mine” (proposta di Alba Dorata, ma qui da noi c'è chi ha proposto di “sparare ai barconi” senza che le coscienze della maggioranza si risentissero più di tanto). E' stato anche lecito sparare ogni sorta di scemenza sulle politiche migratorie, salvo poi piangere e pregare quando i migranti muoiono e la corrente del mare li fa arenare a frotte sulle nostre spiagge, portando all'evidenza il problema e smuovendo un rigurgito anche alle coscienze più assopite. L'ipocrisia può essere sopportabile fino ad un certo punto, personalmente non la sopporto più, anche perché veder morire un operaio schiavizzato al giorno nei cantieri di Doha dove si prepara un evento in cui si focalizzerà l'attenzione sulla quantità di liquidi ingerita da un miliardario in pantaloncini e si innescheranno polemiche appassionate sul fitto numero di partite in pochi giorni che gli atleti dovranno affrontare, mentre oggi si esercita il pianto pubblico per i migranti che venivano nel nostro paese a ridursi in condizioni simili a quelle degli operai in Qatar, dà il voltastomaco. Si stima che in quel cantiere nei prossimi anni moriranno più di 4000 operai, ma a noi italiani importa poco. C'è un papa anche per loro, le lacrime non costano nulla e la prossima partita dei mondiali di calcio verrà trasmessa in mondovisione. 

Manifestazione studenti 4 ottobre

mercoledì 2 ottobre 2013

¡Maldita impunidad! 2 de octubre de 1968 ¡NO SE OLVIDA!



Città del Messico, 2 ottobre 1968. Nella piazza delle Tre Culture, nel quartiere Tlatelolco, migliaia di studenti e lavoratori messicani si danno appuntamento per manifestare pacificamente contro il Governo di Gustavo Diaz Ordaz, a capo di un partito che di rivoluzionario ha solo il nome. Mancano appena dieci giorni all’inizio della 19esima edizione dei Giochi Olimpici. Ma è dall’estate che il Paese è attraversato dalle tensioni che del resto caratterizzano l’intero anno, dalla protesta studentesca all’offensiva in Vietnam, dagli assassini di Martin Luther King e Bob kennedy ai carri armati russi che soffocano nel sangue la Primavera di Praga. Il 22 luglio 1968, nella capitale messicana, una banale rissa tra istituti studenteschi viene sedata con la forza dai granaderos, i carabinieri messicani. È la scintilla che nell’anno olimpico, fa scattare il corto circuito tra le due anime del Paese, come spiega Marco Bellingeri, docente di storia dell’America latina all’università di Torino e direttore del centro di cultura italiana a Città del messico.
Eddy Ottoz allora era un ragazzo di 24 anni. Quarto ai Giochi di Tokio nei 110 ostacoli, in Messico era pronto per puntare a una medaglia olimpica. Giovane attento, spirito libero, Ottoz aveva avuto occasione per conoscere da vicino le tensioni della società messicana, avendo più volte visitato il Paese negli anni precedenti, proprio in vista di quelle Olimpiadi, particolarmente attese per il clima politico, l’altitudine che avrebbe condizionato molti risultati, la diretta tv che per la prima volta avrebbe portato i Giochi nelle case di tutto il mondo.
Quel 2 ottobre 1968 sono oltre 10mila i giovani che accorrono in Piazza delle Tre Culture per partecipare alla manifestazione antigovernativa. Il segnale della repressione arriva alle 17.30, dal cielo. Le vie di fuga della piazza vengono chiuse: all’improvviso, dai tetti del ministero degli Esteri e dagli elicotteri partono raffiche di mitra sulla folla: sono 62 interminabili minuti di fuoco. Tra i feriti anche l’inviata dell’Europeo Oriana Fallaci che rilascia al Tg Uno questa drammatica testimonianza dal suo letto d’ospedale il giorno dopo.
Il bilancio della carneficina è di oltre 300 vittime, 1200 feriti, 1800 arrestati, 25mila colpi sparati. il silenzio di Ottoz, tra i primi ad accorrere sul luogo della tragedia, è più eloquente di qualsiasi parola.
Molto si è scritto e detto su quello che rimane uno degli episodi più tragici della storia dell’olimpismo. Le trame sottostanti a quella strage sembrano ora più chiare ed evidenti, e solo di recente il Messico è riuscito a fare i conti con quel passato scomodo e tragico.
Il sangue sparso a piazza delle Tre Culture non fermò, però, le Olimpiadi messicane. Le parole di Ottoz sembrano un monito prezioso anche sulla strada verso Pechino. Ma qual è oggi, l’eredità dei morti di Piazza delle tre culture? Ancora Marco Bellingeri

lunedì 30 settembre 2013

13th Anniversary II Intifada 27.09.2013



The 27 September 2013 Palestinians marched to conmemorate the anniversary of the II Intifada. Palestinians gathered in the so called "buffer zone" to protest against the Zionist occupation that currently last for already 65 years. The Israeli Ocupation Forces attack the Palestinians demonstrators shooting tear gas canisters when they were throwing stones.

30 settembre 1977 Walter Rossi un assassinio di stato



30 settembre 1977. Un gruppo di fascisti di Balduina e Monteverde usciti dalla sede del MSI di viale delle Medaglie d’oro, scortati da un blindato della polizia che gli fa da scudo, sparano indisturbati su un gruppo di giovani intenti a volantinare. Walter Rossi, 20 anni, compagno di Lotta Continua muore colpito da un proiettile alla nuca. La polizia presente in forze caricherà i compagni che tentano invano di soccorrerlo, consentendo la fuga degli assassini. Nessuna condanna per i colpevoli! Verità e giustizia mal si conciliano nella storia di questo paese, le stragi impunite d’altronde stanno lì a dimostrarlo…
Con l’assassino di Walter – Cristiano Fioravanti – si arriva al paradosso della concessione di misure premiali che gli consentono una vita comoda a spese della collettività.
Walter muore da antifascista, difendendo l’agibilità politica di tutti i democratici della Capitale che in centomila parteciperanno accanto al presidente partigiano Sandro Pertini ai suoi funerali.
Da allora fino ad oggi, il ricordo di Walter, così come la voglia di urlare la verità e le complicità sul suo omicidio, non sono mai scemati, ed ogni 30 settembre i suoi compagni ne hanno dato prova, ribadendo la volontà di non lasciare la memoria di Walter nelle mani di opportunisti e mistificatori.
30 settembre 2009. “Ignoti – riportano i giornali – gettano nella spazzatura la corona posta dal sindaco Alemanno sul monumento in memoria di Walter Rossi, sostituendola con quella a firma dei Compagni di Walter”. Nel comunicato, gli autori denunciano il tentativo del sindaco con la croce celtica al collo, di volersi appropriare della memoria del compagno ucciso a scopi propagandistici.
30 settembre 2010. Alcune decine di compagni occupano Piazza Walter Rossi, dove è atteso Alemanno per il comizio celebrativo e la rituale apposizione della corona; ma il Sindaco arriverà dopo molte ore, e solamente dopo lo scioglimento del presidio dei compagni, comparirà circondato dai funzionari comunali e lascerà immediatamente la piazza tra le contestazioni dei pochi compagni rimasti.
30 settembre 2011. La mobilitazione dei compagni di Walter è iniziata già da prima dell’estate. Le vie del quartiere, compresa quella dove abita il sindaco, sono tappezzate da manifesti che chiamano alla mobilitazione antifascista; sarà una 24 ore no-stop, con la piazza intitolata a Walter piena di compagni che terranno lontane le presenze indesiderate ed un folto corteo per le strade di Balduina e Monte Mario.
11 Marzo 2013  La lapide che ricorda la morte di Walter Rossi, ucciso a vent’anni in un agguato fascista il 30 settembre del 1977, versa nel più completo abbandono in via delle Medaglie d’Oro. Sono in corso i lavori per il rifacimento del marciapiede, ma la lapide è stata lasciata in mezzo alla strada tra ruspe e macerie, e non si sa bene quale fine farà.
26 settembre 2013 “Oggi, insieme all’Assessore ai Lavori Pubblici, Alessio Cecera, abbiamo ultimato i lavori di manutenzione e riqualificazione della lapide commemorativa di Walter Rossi”. Sono le parole di Julian Colabello, capogruppo PD dell’ex XIX Municipio, ora XIV. “Grazie alla disponibilità del capogruppo di SEL Fabrizio Modoni e col contributo di tutti i consiglieri del centrosinistra, abbiamo inoltre posizionato accanto alla lapide una pianta d’ulivo. Questo – prosegue Colabello – per dare un segno concreto di vicinanza da parte delle istituzioni in occasione della ricorrenza di questo tragico e barbaro omicidio, nel solco di un’azione politica volta a proseguire il lavoro di riappacificazione dopo gli Anni di Piombo che hanno segnato la storia del nostro paese. Walter Rossi è morto a soli vent’anni: la sua targa meritava di essere valorizzata, non lasciata nell’incuria e nell’abbandono di un parcheggio a Viale delle Medaglie d’Oro”. “Siamo quindi pronti a presenziare all’anniversario della morte di Walter, il 30 settembre, insieme ai democratici di Balduina e di tutto il Municipio”, conclude Colabello.
Da questa continuità nasce la volontà di mobilitarsi anche quest’anno, facendo del 30 settembre 2012 una mobilitazione antifascista cittadina che oltre a ricordare il 35°anniversario dell’omicidio di Walter,
faccia chiarezza sui disegni spregiudicati di chi nel nome di una memoria condivisa e incurante delle ferite ancora aperte, vuole accreditarsi ancora una volta come candidato alla poltrona di sindaco;
denunci il nuovo sacco di Roma, condotto da ex appartenenti ai NAR, Avanguardia Nazionale, Terza Posizione, messi dal Sindaco nei punti chiave delle società partecipate dal Comune a presidio e spartizione dei fondi destinati a Roma Capitale;
manifesti contro il ritorno della violenza fascista nei nostri quartieri, rafforzando la mobilitazione democratica in previsione della campagna elettorale per le elezioni amministrative che nelle sue premesse si annuncia incandescente, pretendendo la chiusura delle sedi di Casa Pound e Forza Nuova.
Riteniamo necessario promuovere perciò una mobilitazione unitaria, capace di coinvolgere tutte le forze che nella difesa dei valori della Resistenza e della Democrazia hanno trovato motivo di esistere, dal dopoguerra fino ai giorni nostri. I Resistenti, i Partigiani hanno lasciato un patrimonio di valori che nell’avvicendamento generazionale corre il rischio di essere disperso, e che perciò tutti gli antifascisti hanno il dovere di raccogliere e diffondere; valori di uguaglianza sociale e solidarietà intramontabili.
‘L’Anpi di Roma aderira’ alla manifestazione organizzata per i giorno 30 settembre dagli antifascisti romani per ricordare Walter Rossi, il giovane militante ucciso dai fascisti nel 1977 a Viale delle Medaglie d’oro”. L’annuncio viene dalla stessa Associazione dei partigiani che sara’ il 30 settembre alle 9, alla cerimonia in Piazza Walter Rossi, con la partecipazione del Sindaco di Roma Ignazio Marino, del Presidente della Regione Lazio Zingaretti e dei Presidenti dei Municipi interessati e nel pomeriggio, alle 17,00, partecipera’ al corteo da Piazzale degli Eroi alla lapide che ricorda Walter Rossi
Gli appuntamenti della mobilitazione 
30 settembre, ore 09,00, cerimonia in Piazza Walter Rossi
30 settembre, ore 17,00, corteo da Piazzale degli Eroi alla lapide che ricorda Walter Ross

domenica 29 settembre 2013

Michele Ferrulli: "Aiuto! Basta!", ma "loro" non si fermano...Anzi! Non ...

καταληψη ορφανοτροφείο 5



Grecia: questa mattina un gruppo di persone ha rioccupato lo spazio 'Orfanotrofio' di Salonicco, nel quartiere Toumba. Si tratta appunto di un ex orfanotrofio abbandonato da tempo e occupato a scopo abitativo che era già stato oggetto di sgombero poche settimane fa, il 2 settembre, quando la polizia aveva fatto irruzione nello spazio alle prime ore del mattino, fermando e denunciando tutti gli occupanti.
Oggi lo spazio è stato nuovamente occupato e dal tetto è stato calato uno striscione che annunciava l'azione; nel frattempo decine di persone solidali affollavano la strada di fronte all'edificio. Intorno a mezzogiorno un ingente dispiego di forze dell'ordine è giunto sul posto, circondando tutti i presenti e poi arrestandoli dopo che questi erano saliti sul tetto per resistere. Dopodiché lo spazio è stato sgomberato una seconda volta.
A quanto pare l'accanimento nei confronti dell'ex Orfanotrofio sembra dettato dal fatto che questo sia stato destinato alla Diocesi locale, così come affermato alcuni mesi fa dal Ministro della salute, e che quindi sull'edificio si allunghi l'ombra della Chiesa.
Di seguito il video dello sgombero di questa mattina:

Marzabotto autunno 1944



Nel settembre del 1944 le forze alleate riescono a sfondare la linea Gotica, la linea difensiva organizzata dai tedeschi che tagliava in due l' Italia da Massa-Carrara a Pesaro e arrivano nei pressi delle colline di Monte Sole sulla media collina a sud di Bologna. In contemporanea in quella zona opera la Brigata Partigiana denominata Stella Rossa composta da circa 800 uomini, che sta dando molti fastidi ai nazisti e questi decidono di annientarla sia per gli attentati che ha fatto sia per impedire a quei partigiani di ricongiungersi con gli alleati. L'ufficiale delle SS Walter Reder già autore dell'eccidio di Sant' Anna viene incaricato di condurre l'operazione, La mattina del 29 settembre del 1944, quattro reparti delle truppe naziste, comprendenti sia SS che soldati della Wermacht, accerchiano e rastrellano il territorio tra le valli del Setta e del Reno, utilizzano anche armamenti pesanti. Quindi nelle frazioni di Panico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe e dalla periferia di Marzabotto iniziano a uccidere e bruciare tutto quello che si trova sul loro cammino, questa manovra viene invano contrastata dai partigiani che perdono subito il loro capo Mario Musolesi e non dispongono ne di armi ne uomini sufficienti per reggere il confronto, porta al massacro di 770 persone di cui la maggioranza sono donne e bambini. Le operazioni dei nazisti continuano per sei giorni e viene colpita la frazione di Casaglia di Monte Sole dove tutte le persone vengono condotte al cimitero locale li fanno appoggiare a una Cappella e iniziano a sparare molto basso con le mitragliatrici per essere sicuri di colpire anche i bambini e gettano contro gli ostaggi anche delle bombe a mano, poi tocca agli abitanti di Caprara di Marzabotto che vengono legati a gruppi man mano che vengono trovati e quando il gruppo è composto da un discreto numero di persone viene mitragliato e colpito con le bombe a mano, e continuano in tutte le località della zona. La strage di Monte Sole più comunemente ricordata come la strage di Marzabotto, dal nome del comune più grande oggetto della rappresaglia è stata la più feroce della storia criminale compiuta dai Nazisti in Italia è difficile sapere il numero esatto delle vittime, ma sembra che al termine delle operazioni in tutte le località i morti siano stati più di 1800, con un numero altissimo di ragazzi e bambini sotto i 16 anni circa 230.

sabato 28 settembre 2013

Comitato NOTAV Susa-Mompantero conferenza stampa sulla militarizzazione ...

NoTerzoValico



Si può da oggi guardare in rete il documentario NoTerzoValico realizzato da José Palermo e Antonio Petracca. Trattasi della prima opera video realizzata sulla lotta contro la grande opera, girata fra Maggio e Giugno 2012 e realizzata su iniziativa del Comitato Popolare No Terzo Valico di Alessandria.
La presentazione:
Il Comitato Popolare No Terzo Valico di Alessandria presenta
NoTerzoValico
un progetto delirante inutile dannoso
Fenix Autoproduzioni Torino
Realizzato da José Palermo e Antonio Petracca
Questo film documento, al di là dell’innegabile contenuto informativo sui danni, l’inutilità e l’assurdità del Terzo Valico, si presenta come un’immagine corale, dove la forma espressiva scelta evidenzia uno spaccato di tutte le anime che agitano lo scenario della contrarietà al Terzo Valico, piemontesi e liguri.
Le ragioni del “NO” si comprendono direttamente dalla voce degli artefici di questo variegato movimento, attraverso i comitati di ogni territorio.
Ma le interviste sono anche fatte a pioggia, nelle strade e nelle piazze di Alessandria, per verificare la conoscenza dell’argomento in città.
Le immagini danno il tocco da maestro, dalla scuola elementare di Trasta ai territori che verranno devastati.
Il film conclude con la manifestazione del 26 Maggio ad Arquata dove la protesta ha assunto i colori della festa.
Si ringraziano i Comitati No Tav No Terzo Valico di Arquata Scrivia, Novi Ligure, Val Lemme, l’A.F.A. Amici delle Ferrovie e dell’Ambiente, il Comitato Proteggiamo Villa Sanguineti di Trasta (GE).
Per le musiche Andrea Serrapiglio e Luca Serrapiglio.
Si ringraziano inoltre il Comitato No Tav Mugello e il Comitato No Tunnel Tav di Firenze.
Girato fra Maggio e Giugno 2012
No Copyright
Questo video non è sottoposto ad alcun copyright
Chiunque è libero di riprodurlo, in parte o totalmente
Presso i Comitati è disponibile il DVD con i seguenti Contenuti Speciali:
- Il post cantieri nel Mugello
- L’area di sosta più grande d’Europa
- No Tunnel TAV Firenze