Riace è un piccolo paesino della Locride con la
classica disposizione divisa tra marina e paese antico, arroccato sulla
montagna al riparo da scorribande e invasioni. Il nome è antico, greco, e
se non fosse per le due statue ripescate nei suoi mari se ne sarebbe
sentito parlare molto poco. Almeno fino a una decina di anni fa, quando
il suo sindaco supportato dalla popolazione locale decide di ripopolare
il paese sulla strada dell’abbandono offrendo ospitalità ai migranti. La
vicenda di questa località calabrese fa il giro del mondo in poco
tempo, diventa un cortometraggio di Wim Wenders, viene apprezzata da
Papa Francesco e il suo sindaco addirittura viene nominato tra gli
uomini più potenti del mondo dalla rivista Fortune.
La trovata è quella di ricercare un’alleanza tra la
popolazione locale e i migranti, basata su un rilancio culturale e
economico del paese, “approfittando” delle risorse offerte dal sistema
dell’accoglienza e dall’autorganizzazione dal basso delle molte persone
impiegate nel progetto. Riace ospita oggi 500 migranti su 1500 abitanti
di cui 165 di questi sono all’interno del progetto Sprar in cui lavorano
80 operatori.
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare di Riace
per via di alcune registrazioni che dovrebbero provare manovre poco
chiare del suo sindaco, Mimmo Lucano, nell’utilizzo di alcuni fondi
regionali. E’ parso immediatamente evidente che l’obbiettivo di chi
aveva prodotto queste registrazioni era quello di delegittimare il
processo in corso nel paese. Il sindaco ha immediatamente rassegnato le
dimissioni e convocato un consiglio comunale aperto. L’assemblea molto
partecipata dalla popolazione locale e da vari attivisti da tutta la
Calabria ha chiesto al sindaco di ritirare le sue dimissioni e andare
avanti con il lavoro.
Abbiamo incontrato Mimmo Lucano in una lunga
conversazione che consigliamo di leggere fino alla fine. Nella
differenza, in maniera molto pragmatica ci viene offerto un ritratto
realistico del processo in corso che apre ad alcune domande
interessanti. C’è una compatibilità tra il modello Riace e ciò che le
compagini neoliberiste del PD vorrebbero offrire come proposta
dell’accoglienza ai migranti in Italia? In quale modo si può cercare di
proporre delle alleanze tra proletari italiani e migranti contro la
guerra tra poveri? Come si possono costruire dei progetti politici in
territori estremamente periferici e impoveriti del nostro paese?
Ci spieghi l’origine dell’esperienza di Riace?
In realtà questo processo non è nato per un progetto
d’accoglienza, perché al tempo in Italia non c’era nulla, mi pare che
eravamo sotto la legge Turco – Napolitano. Il mio interesse sul piano
politico – sociale riguardava il mio paese. C’è stata una fase di forte
impegno, fermento sociale e movimento nella Locride degli anni ’80 che
corrispondeva a un nostro ’68. Con forte ritardo certo, ma credo che non
abbiamo mai vissuto il ’68 in Calabria. Tra gli studenti che andavano
nelle scuole delle marine era forte la partecipazione. Non era
un’adesione sciocca, ma per molti aveva il carattere di una vera e
propria ragione di vita. Le esperienze di lotta di quel periodo furono
molte, poi però ci fu un vuoto. Un vuoto in cui quel sogno di
rivoluzione proletaria sembrava smarrito e ognuno a livello personale ha
cercato di sistemarsi. Però a me e credo a molti altri queste idealità
rimanevano perché appartenevano al nostro percorso di vita. Erano
convinzioni maturate con molta analisi e ragionamento e difficilmente
saremmo riusciti ad abbandonarle. Io non sono mai stato collegato a un
partito, ma piuttosto a un’idea molto forte.
Quando sono andato via da Riace c’è stata quella fase
di smarrimento generale, ci siamo persi di vista. Però io ormai avevo
imparato a conoscere Riace in un’altra dimensione! Quando ero lontano
facevo sempre il confronto con la relazioni umane nei condomini di
città, sono stato a Torino e a Roma per questioni di lavoro. Vedevo la
miseria di questi rapporti umani e ho pensato che quello che noi
volevamo era un mondo diverso. Non era solo per raggiungere obbiettivi
materiali, era una dimensione dell’essere legata all’altruismo, alla
socialità, alla capacità di considerare anche i torti subiti da altri
come torti nostri. Quando guardavo da lontano Riace pensavo che
probabilmente quel sogno di utopia sociale si poteva cercare anche in
questi borghi abbandonati dove si è compiuta la storia delle comunità
rurali. Dove umili braccianti agricoli e anche artigiani esprimevano dei
modi di vita che conoscevano il valore dell’accoglienza, non il
pregiudizio e andavano fieri dell’incontro con il diverso. Mi sono detto
che questa era la Calabria che conoscevo, questa quella che mi aveva
trasmesso questi valori. Poi sono ritornato. Ho incontrato altre persone
che erano ritornate e, in un periodo completamente diverso, ci siamo
organizzati per ricominciare a interessarci di politica locale. Siamo
partiti dalla considerazione che forse i governi locali potevano
rappresentare una occasione di capire in quale forma quel messaggio
poteva rinascere ed essere vissuto con un nuovo senso di partecipazione
in contrapposizione con l’alienazione delle grandi città. E’ stata un
fallimento quella prima esperienza. Era il 1995. Un gruppo della
sinistra antagonista si pone come obbiettivo il governo locale. Fu un
disastro, non ci aveva votato nessuno! Anzi ha lasciato il segno, la
gente ci prendeva per matti!
Nonostante questo con due persone ho mantenuto un
rapporto. L’amarezza era tanta, ma la volontà di conoscere la realtà e
continuare ad insistere rimaneva. Noi siamo una parte. Una piccola
parte, ma comunque una parte presente sul nostro territorio! Con questi
due amici abbiamo continuato quindi, poi uno è morto. Dico queste parole
sulle persone perché va bene il processo, il collettivo, il “noi”,
l’idea generale… Però è anche fondamentale come si tramanda la capacità
di crederci e di condizionare i processi. Se no diventa tutto un po’
troppo astratto! Siamo rimasti in due e abbiamo iniziato ad occuparci di
questioni culturali, abbiamo fatto il teatro, abbiamo ricostruito la
storia della emigrazione riacese, il tutto da una visione molto
minoritaria.
E poi?
Poi nel 1998 c’è uno sbarco di kurdi alla spiaggia di
Riace! Ovviamente la vicinanza politica con il Pkk ci ha permesso
immediatamente di costruire una sintonia nonostante le barriere
linguistiche. Quindi sono rimasto in mezzo a loro, sono diventato un
militante del movimento di liberazione del popolo kurdo. La storia
dell’accoglienza a Riace comincia così! Non è stato un fatto di
buonismo, ma come vedete sono state motivazioni di carattere politico.
La chiesa locale non aveva aderito per niente a quella storia di
accoglienza, se si esclude un vescovo che ci mise a disposizione una
struttura, la prima ad essere utilizzata per un numero alto di persone!
Quando queste persone sono arrivate a Riace noi abbiamo cercato le case
degli emigranti riacesi che sono in giro per il mondo e abbiamo
costruito un’altra idea dell’accoglienza.
In cosa consiste questa altra idea?
Abbiamo cercato di capire come costruire un
meccanismo di interazione con la comunità locale, come riprendere il
concetto di vicinato di casa come si usava nelle società contadine.
Slegati da convenienze e opportunismi volevamo provare a far maturare
questo processo in maniera spontanea. Qui l’accoglienza c’è ma non si
vede, non esiste. Non ci sono centri di accoglienza visibili, sono le
stesse case del paese ad assolvere questa funzione! In Svizzera con gli
italiani dicevano “Noi volevamo braccia e invece sono arrivati uomini!”,
la stessa cosa è successa a Rosarno per esempio. L’importante è avere
nuova forza lavoro, le condizioni di vita inaccettabili in cui questa
viveva non importa a nessuno. A Rosarno ci sono più case libere che a
Riace nel centro storico! Ma nessuno si è mai sognato di destinarle a
questi lavoratori! La comunità locale si rifiuta! Perché non dev’essere
solo l’amministrazione locale o l’istituzione a generare il processo, ma
bisogna sviluppare un senso comune con la comunità. A Riace siamo
riusciti a farlo. Perché da che eravamo partiti in pochi a inseguire
questo sogno alla fine la curiosità è prevalsa. Rispetto a una sicura
rassegnazione, rispetto a una certa morte sociale del paese, rispetto
all’unica alternativa della migrazione la gente ha provato interesse per
quella proposta rivoluzionaria che portavamo. E’ stato graduale, ma la
comunità locale ha capito che gli “conviene”. Conviene la rinascita! E
Riace ha avuto in questo modo una straordinaria possibilità, ha
conosciuto il mondo da vicino, ha incontrato i protagonisti delle
ingiustizie del mondo, delle guerre, delle torture. Così ha maturato una
coscienza nuova! Il mio auspicio è questo: tutte le cose finiscono,
quando finirà questo processo spero che rimangano delle persone che
stimolate da ciò che hanno vissuto continuino a praticare queste
esperienze e non si lascino fiaccare dagli opportunismi, gli egoismi,
gli arrivismi, l’alienazione e il consumismo di questo mondo.
Riace anomalia assoluta dentro un sistema dell’accoglienza che molto spesso è un business?
Certo, ma il nostro modello è visto anche con paura!
Per noi l’accoglienza è incondizionata! Riace deve a queste persone che
sono arrivate la sua rinascita. Dobbiamo riconoscerlo e tutti lo
riconoscono. Lavorano tantissime persone, abbiamo attivato servizi che
erano impensabili: la scuola a Riace dal 2000 non esisteva più! Adesso
c’è, ci sono i laboratori, c’è la fattoria didattica, la raccolta
differenziata. Stiamo facendo un lavoro bellissimo sull’acqua come bene
pubblico! Tutto grazie solo alla dimensione altra che abbiamo creato e
al disegno che abbiamo per il futuro. Per questo ho voluto fare il
consiglio comunale aperto quando mi sono arrivate quelle accuse. Io
vengo da una storia di sconfitte! Penso spesso che siamo una minoranza,
ma ogni giorno le nostre esperienze scavano e siamo un po’ di più! Non
potevo permettere che ci fossero delle ombre sul nostro progetto, perché
facevo un torto anche a chi ha guardato a Riace come un’esperienza
politica che mantiene la sua coerenza anche dopo che è diventata
istituzione.
Molto spesso sentiamo parlare specialmente a
Sud della questione della legalità come una questione prioritaria, però
ci sembra una narrazione che molto spesso nasconde delle trappole e
criminalizza anche discorsi legittimi. Tu che ne pensi?
Non mi ha mai affascinato il concetto di legalità,
anzi la vedo con sospetto! Anche da sindaco la vedo con sospetto. Anche
il Terzo Reich era legalità. Anche Benito Mussolini era legalità! Molti
drammi dell’umanità sono avvenuti dentro le norme di sistemi altamente
funzionanti dal punto di vista della burocrazia! Per questo ho il
sospetto di parole come legalità, burocrazia, istituzione, eccellenza!
Ma quale eccellenza… Noi dobbiamo ragionare per costruire una società
democratica basata sull’eguaglianza dove la base controlli il vertice.
Anche nell’accoglienza, anche negli Sprar. Persone che non vedranno mai
un rifugiato di persona dietro le loro scrivanie pretendono di poter
determinare i processi a livello territoriale!
In questi giorni si sta tornando a discutere
molto su come viene organizzata l’accoglienza in seguito alla rivolta
che c’è stata nel CPA di Cona. La Serracchiani, presidente della regione
Friuli – Venezia Giulia in quota PD, ha affermato che il modello
dell’accoglienza diffusa è preferibile perché permetterebbe di contenere
il dissenso e le rivolte. Cosa ne pensi di queste affermazioni?
Oggi c’è una nuova storia in Italia che è
trasversale. Tutti, compreso Grillo, fanno i conti a livello scientifico
con la volontà dell’elettorato. Parlano per opportunismo e convenienza.
La nostra storia, la storia di Riace parla di tutt’altro. Parla chiaro
di libertà. Se tu vieni qui non devi firmare autorizzazioni come a
Rosarno. La libertà è la prima cosa. Noi abbiamo dovuto sperimentarlo.
Eppure in dieci, dodici anni di questa esperienza ci sono stati solo
conflitti legati alla normale convivenza. Qui gente di Riace si è
sposata con gente che veniva dall’Afghanistan, dall’Eritrea, sono nati
bambini misti. Qui ci sono cinquecento migranti su mille e cinquecento
abitanti eppure la nostra vita è normale. Questo è il nostro messaggio.
Perché Grillo fa come la Lega Nord e apre a Casapound? Perché non si può
permettere di essere possibilista? Perché tutto il ragionamento si basa
sul consenso elettorale. La mia impressione è che chi fa un
ragionamento di parte è un’esigua minoranza. Riace fa paura anche per
questo! Per capirci uno dei giornalisti della Gazzetta del Sud è del
FUAN, è ovvio che odia la mia testa rossa! Anche queste registrazioni
sono fatte per screditarci. Io devo rendere conto alla mia comunità di
tutto quello che faccio. La prima volta che mi sono candidato persino
mio padre non mi ha dato il voto perché pensava che fossi troppo
estremista! Però poi per tre volte siamo riusciti a conservare il
consenso in questo piccolo paese. Sono molto preoccupato di quelle che
sono le prospettive politiche a livello nazionale e internazionale.
Voglio dire un’altra cosa, nell’esperienza degli
Sprar qui in Calabria ci sono situazioni con cui eravamo legati da un
ideale politico di movimento. Abbiamo fatto molte cose insieme,
costruito iniziative politiche e culturali. Poi alcune di queste
situazioni si “istituzionalizzano” e la gente che ne fa parte cambia
completamente. Appena arriva un po’ di potere l’approccio ai percorsi
che si fanno diventa di tipo ispettivo e tutto deve rientrare dentro i
canoni della legalità e delle corrette procedure. E’ possibile che
alcuni compagni siano diventati così?
Devo dire però che almeno il presidente della regione
Mario Oliverio ha dimostrato su questa ultima vicenda di schierarsi
apertamente in favore del progetto che portiamo avanti.
Però il PD…
Mamma mia, è un disastro. Ridicolo Renzi quando
parlava dell’operazione Mare Nostrum. L’hanno azzerata e hanno fatto una
nuova operazione in cui sono aumentati i morti in mare. Si è macchiato
di gravi responsabilità. E ovviamente non solo su questo. Io non ho
visto differenze fra Maroni e Renzi.
Questa avventura è iniziata dallo sbarco dei
curdi, come pensi che questo si possa legare a quello che sta avvenendo
oggi nel Kurdistan siriano dove c’è una grande lotta in atto. Pensi che
il modello kurdo sia un modello valido anche per i nostri territori?
Secondo me è il modello che propone Abdullah Ocalan è
il modello più vicino alle nostre idealità. La democrazia partecipata,
il confederalismo democratico come modello di governo dei territori.
Hanno messo a tacere la sua voce e oscurato la sua immagine. Ocalan
propone la questione curda sotto la chiave di lettura delle ingerenze
dell’America e dell’Occidente nei confronti di tutti quanti i popoli
mondiali. Come loro attraverso un meccanismo di dominio riescano a
produrre degli enormi sconvolgimenti in tutto il mondo. L’esperienza di
Riace è legata al Partito dei Lavoratori curdi con un sistema di
relazioni che non abbiamo perso, dalla Germania, a Roma, a Diyarbakir.
Sappiamo che ci sono delle persone che sono militanti del PKK quI a
Riace e abbiamo fatto la cittadinanza onoraria per Abdullah Ocalan.
Cosa vuol dire oggi provare a produrre un
discorso antirazzista all’altezza dei tempi, in qualche modo essendo
coscienti della guerra tra poveri che viene alimentata dall’alto?
Guarda io ti posso rispondere che il nostro
contributo lo diamo ogni giorno da un punto di prospettiva molto
interessante. Ormai a Riace vengono trasmessi dei messaggi di
solidarietà e antirazzismo la popolazione riesce a capire che
l’accoglienza non è una cosa sciocca che si fa per buonismo o perché si è
dell’Azione Cattolica. Ed ecco che il modello Riace fa male perché
cerca di ostacolare questa guerra tra poveri. Poi quando ad ostacolare
il nostro modello sono dei sedicenti compagni per me questo fa ancora
più male.
Oggi il sistema dello Sprar io lo vedo con molte
criticità. La prima criticità e che si tiene poco conto della realtà
territoriale tutte le decisioni vengono assunte a livello centrale.
Anche le linee guida, queste famose linee guida (le norme dettate dal
ministero degli interni per l’accoglienza negli SPRAR ndr), sono piccoli
condizionamenti che impediscono un corretto funzionamento
dell’accoglienza. Sono linee guida che parlano del periodo di permanenza
nei centri, del numero, io invece sto cercando di ragionare al
contrario e ho dimostrato che è possibile un modello di accoglienza
incondizionata senza vincoli burocratici.
Adesso stiamo attivando un progetto per i ponti umanitari legata alla Chiesa Valdese alla Comunità di Sant’Egidio.
Mi piace questo progetto perché vengono persone
direttamente, senza gli sbarchi, senza rischio che perdano la vita. Però
all’interno di questo progetto il budget economico è meno della metà di
quello dello dello Sprar quindi non conviene prendere questi migranti a
nessuno. Riace se ne sta occupando perché non conviene, perché non c’è
guadagno perché i soldi bastano a malapena per coprire le spese vive.
Però bastano! Infatti a Febbraio partiamo!
Hai fatto riferimento ai primi sbarchi dei
curdi quando non la legislazione italiana era legata alla
Turco-Napolitano, anzi i primi sbarchi sono arrivati addirittura prima
della Turco-Napolitano. Non c’erano i Cie, non c’erano i Cpt, non
c’erano i progetti Sprar. La domanda è: quanto gli Sprar si sono
modificati dagli interno quanto si sono burocratizzato quanto si è perso
dell’accoglienza spontanea che c’era prima.
La maggior parte dei progetti si sono modificati, non
c’è la militanza, non c’è l’ideale politico. Assolutamente no! Anche
quei progetti che venivano dalle esperienze di movimento sono diventati
così. Pensano solo ai soldi allo stipendio. Per questo, quando si
producono le ispezioni all’interno dei progetti di accoglienza che sono
legati di più a un ideale di sinistra sono più severe. Questi ideali a
chi oramai si è istituzionalizzato danno fastidio.
Adesso Gestiscono gli Sprar come un’attività
imprenditoriale, non hanno più finalità sociale o ideali politici. Ma
questo a Riace non è mai successo.
Tornando a quello che avevi detto all’inizio,
parlando del ciclo di lotte che c’è stato qui nella Locride negli anni
70-80, quella che viene definita “l’Emilia rossa di Calabria”, ci
potresti raccontare un po’ più nel dettaglio questa esperienza?
Io ho vissuto quel periodo con il mio professore di
religione, si chiamava Natale Bianchi. Lui era del Movimento Cristiani
per il Socialismo, della teologia della liberazione. Ha fatto una
battaglia contro la mafia, lui che era uno che veniva dal nord, diceva
che la chiesa era dal popolo ed era sempre in prima linea con un’idea
molto diretta della pastorale sociale.
Poi
c’è Peppino Lavorato, avevano appena ucciso Peppe Valarioti, il
segretario del Partito Comunista ucciso dalla ‘ndragheta, è morto tra le
sue braccia. Tutto il movimento degli anarchici di Siderno e di Locri,
ho vissuto tutto quanto quel processo e anche oggi mantengo questi
ricordi, mantengo viva quell’ideologia. Anche se me la vivo in maniera
molto paradossale, perché comunque sono parte del potere, sono legato
alla carica di sindaco, ma sono anche legato a quel sogno. E ritengo che
quella militanza mi è servita molto, è una forma di militanza che ha
valorizzato la mia maturità come essere umano.
A me non interessano queste forme di potere: se tu
vai al municipio di Riace non c’è la porta. All’inizio i cittadini
dicevano: “ma che sta succedendo qui, è sempre aperto”. Ho lasciato
senza chiavi la porta del sindaco. Una volta è venuto un cittadino, un
professore di matematica molto fiscale, e mi ha fatto dei rimproveri.
Gli ho risposto: siccome ritengo che non sia giusto quello che dici io
esco fuori perché per me questo è l’ufficio del Popolo, non è il mio
ufficio personale e quindi non ti caccio, me ne vado io. E me ne sono
andato lasciandolo lì parlare da solo.
Anche il rapporto con la burocrazia, con gli
impiegati del Comune, è molto complicato. Loro sono lì per lavorare non
gliene frega niente degli ideali. È stato un lavoraccio però alla fine
ci siamo riusciti abbiamo aperto una breccia di luce.
E la Repubblica rossa di Caulonia?
Io ho avuto una collaborazione con Ilario Mendolara
che era l’ex sindaco di Caulonia e che ha scritto un libro su questa
esperienza. Caulonia è stata sempre una comunità rivoluzionaria carica
di questi fermenti. E la sua storia, la storia di Pasquale Cavallaro
rimane incastonata in quel momento.
Ma oggi Caulonia è una brutta copia di quello che è
stato. Come se quella storia non avesse lasciato niente. Anche rispetto
al collettivo che c’erano a Caulonia (negli anni 60 e 70 c’erano i
collettivi in molti paesini della Calabria) non rimane più nulla, pensa
che alcuni di loro sono finiti in Forza Italia.
Questo è il terzo mandato che fai quindi alla fine c’è stato anche una conferma da parte degli abitanti di Riace?
Sì, ma io a questo non do molto peso, non è che tutte
le persone che hanno votato per me sono militanti politici. Attenzione!
Hanno votato per me perché funziona, perché gli conviene. Rispetto a
quello che era prima: un paese senza vita, un paese abbandonato da Dio e
dagli uomini. Non c’era la scuola, un posto dove il centro storico era
distrutto, pieno di eternit, di amianto. Pieno di tutti quanti questi
materiali che negli anni 60 e 70 l’hanno fatta da padrone. E soprattutto
c’era un’opinione diffusa tra la gente che il centro dello sviluppo,
secondo l’idea consumistica imperante, era Riace marina. Perché ci sono i
supermercati, perché c’è la stazione, perché ci sono i negozi.
Noi ci siamo mossi verso tutt’altra direzione. Perché
non avevamo intenzione di riportare il centro storico come punto di
riferimento da dove passa l’anima delle comunità. Come punto di
riferimento della vera Calabria, della vera accoglienza, dove non hai
bisogno di costruire e soprattutto di consumare altro suolo, altra
superficie edificabile. Il nostro messaggio era chiaro: dobbiamo
recuperare questo contenitore vuoto, di case abbandonate e dargli una
nuova anima.
Era un messaggio fortemente alternativo rispetto a quello che era stato Riace fino a quel momento.
Era un modello in netta opposizione rispetto allo
sviluppo che si aveva alla marina di Riace dove tutti i vecchi
amministratori si sono costruiti dalle ville con il consenso alla
cittadinanza. Tutti erano convinti fino a quel momento
che andare al Comune significasse farsi i fatti propri e quelli della
propria clientela. Però siamo riusciti a distruggerlo quel paradigma!
Oggi neanche il mio peggior avversario può
recriminare intorno al mio operato, per questo ho fatto una discussione
aperta perché non avevo nessun timore rispetto a quelle che potevano
essere le critiche al mio operato.
Hai detto che la prima sfida elettorale è stato un disastro…
Nel 1995 abbiamo costruito questa lista che si
chiamava “Riace Libera” non siamo riusciti nemmeno a prendere un
consigliere di opposizione.
Tutti noi eravamo c’eravamo persi nel fare
ragionamenti molto elaborati, come è tipico della sinistra italiana.
Molti di noi dopo questa sconfitta pensavano che fosse la gente di Riace
a non meritarci, come se noi avessimo la verità in tasca, invece di
soffermarci sul perché le persone non ci avevano votato, non ci avevano
capito.
Siamo ripartiti cercando di modificare la nostra
forma di comunicazione. Abbiamo continuato l’azione politica tramite
iniziative culturali, ricostruendo la storia dell’emigrazione riaccese,
producendo spettacoli teatrali e sagre.
Nel 1998 c’è stata una svolta. Sono arrivati i curdi!
Al sindaco di allora sfuggiva la portata di questo
processo, e che avrebbe cambiato anche gli equilibri politici
all’interno del Comune di Riace.
Nel 98 arrivano in curdi, nel 99 facciamo una lista e
portiamo 4 consiglieri di minoranza, eravamo consapevoli che andavamo a
perdere però nello stesso tempo siamo riusciti a portare 4 persone al
municipio. Da lì abbiamo iniziato con il progetto dell’accoglienza
prendendo un vecchio palazzo che era di proprietà di una famiglia
nobiliare napoletana e lo abbiamo trasformato in un centro di
accoglienza per i curdi. E quindi abbiamo sviluppato questo programma
legato a una nuova identità del centro storico. Nel 2001 nasce il
programma nazionale asilo, allora io chiedo il sindaco di inserire Riace
all’interno di questo programma. Il Sindaco non voleva darmi questa
possibilità, il progetto che avevamo fatto di rivitalizzazione del borgo
attraverso i flussi migratori non lo convinceva.
Diceva che a me questo tipo di situazione non mi
conveniva politicamente, che non mi avrebbe pagato dal punto di vista
elettorale. Cercava di convincermi di passare dalla sua parte,
all’interno della tua lista.
Nel 2004 succede che al Comune vengono presentate 4
liste e una è di Alleanza Nazionale-Forza Italia, questa era
l’organizzazione legata a un’idea più mafiosa dei rapporti sociali che
c’erano a Riace. Il sindaco di centrosinistra temeva che la nostra
eventuale partecipazione alle lezioni avrebbe consegnato il comune nelle
mani di Alleanza Nazionale-Forza Italia.
Ci ripeteva di non fare questa stupidaggine e di ritirare la candidatura. Ma noi siamo andati avanti per la nostra strada.
Ci candidiamo con la lista che portava il nome
“un’altra Riace è possibile” e riusciamo a prendere 30 voti di scarto
sulla seconda lista. La soddisfazione più grande è stata quella lì di
riuscire a vincere contro Alleanza Nazionale Forza Italia.
Che difficoltà ci sono adesso con i tagli che si stanno facendo gli enti locali nell’amministrare un comune come Riace?
Ho capito un paio di cose con l’esperienza. La prima è
che io non voglio amministrare come un sindaco perfetto. Se
amministrassi come un sindaco perfetto non fare gli interessi della tua
comunità ma quelli del governo.
La seconda è che non posso aumentare la pressione
fiscale sui cittadini, non sarebbe comprensibile. Se io aumento la
pressione fiscale qui mi ammazzano, ma non perché ho bisogno di tutelare
i miei voti, ma perché deve passare un altro messaggio politico.
Messaggio politico che non è soltanto il mio, di Domenico Lucano, ma di
tutta una sinistra antirazzista e antagonista in Italia. Per questo, lo
scuolabus non si paga, l’occupazione di suolo pubblico non si paga, la
carta identità non si paga, l’Imu sulla prima casa non si paga, la mensa
scolastica a costi bassissimi.
E adesso stiamo lavorando su un progetto per portare
la tassa sull’acqua a zero e ci stiamo riuscendo. Non vogliamo fare
pagare l’acqua a Riace. E non ci vuole molto.
Il rapporto che ha questo comune con la Sorical
(società privata che in Calabria si gestisce l’acqua ndr) è stato sempre
molto conflittuale, le analisi non vanno bene la lettura dei contatori
non va bene, per questo motivo abbiamo deciso di cercare di portare
l’acqua Riace in modo autonomo dalla Sorical scavando un pozzo.
Cosa pensi del fatto che nel 2016 Fortune ti ha inserito tra i 50 uomini più influenti del mondo?
A me non mi piacciono queste cose le reputo delle
“americanate”. Loro pensano che mi facciano piacere, però non mi
interessano. Una persona della estrema sinistra che ribadisce
continuamente di essere di estrema sinistra finisce su quella
classifica, è normale che provoca invidia. Ma la stima che voglio non è
quella del Times, è la stima dei militanti Calabresi, dei militanti
italiani, è questa la stima che cerco.