di Perez Gallo e Nino Buenaventura (da Città del Messico)
“Ayotzinapa
non è un fatto isolato, è la viva immagine della repressione di
Stato!”. È all’insegna di queste parole che si è commemorato, oggi 26
settembre, il secondo anniversario dei tragici fatti di Iguala,
quando nella cittadina dello stato messicano del Guerrero, un gruppo di
studenti “normalisti” (magistrali) appartenenti alla scuola rurale di
Ayotzinapa – un’istituzione scolastica ereditata dalla Rivoluzione in
cui gli alunni studiano per diventare maestri nelle comunità contadine e
da cui uscirono figure guerrigliere rivoluzionarie come Lucio Cabañas e
Génaro Vázquez – furono brutalmente attaccati dalla polizia messicana.
Tre di loro, insieme ad altre tre persone che si trovavano sul luogo,
incluso un quattordicenne calciatore di una squadra locale, rimasero sul
terreno, uccisi da proiettili al volto. Al termine di quella notte
altri 43 giovani non furono più ritrovati, e ancora oggi rimangono
nell’immaginario collettivo come l’emblema di un fenomeno brutale e
terribilmente comune nel Messico odierno: quello delle “sparizioni
forzate”. Dal 2006, anno di entrata al potere dell’ex presidente Felipe
Calderón, che iniziò la cosiddetta “narcoguerra”, ad oggi, quando ci
avviciniamo alla fine del mandato del suo successore Enrique Peña Nieto,
si stima che i desaparecidos nel paese ammontino a più di
trentamila, anche se i numeri reali del fenomeno sono probabilmente
molto maggiori, essendo la stragrande maggioranza di essi migranti
centroamericani finiti nel buco nero del lavoro schiavistico per i
cartelli della droga e le cui sparizioni non sono mai state registrate
dalle statistiche governative.
non è un fatto isolato, è la viva immagine della repressione di
Stato!”. È all’insegna di queste parole che si è commemorato, oggi 26
settembre, il secondo anniversario dei tragici fatti di Iguala,
quando nella cittadina dello stato messicano del Guerrero, un gruppo di
studenti “normalisti” (magistrali) appartenenti alla scuola rurale di
Ayotzinapa – un’istituzione scolastica ereditata dalla Rivoluzione in
cui gli alunni studiano per diventare maestri nelle comunità contadine e
da cui uscirono figure guerrigliere rivoluzionarie come Lucio Cabañas e
Génaro Vázquez – furono brutalmente attaccati dalla polizia messicana.
Tre di loro, insieme ad altre tre persone che si trovavano sul luogo,
incluso un quattordicenne calciatore di una squadra locale, rimasero sul
terreno, uccisi da proiettili al volto. Al termine di quella notte
altri 43 giovani non furono più ritrovati, e ancora oggi rimangono
nell’immaginario collettivo come l’emblema di un fenomeno brutale e
terribilmente comune nel Messico odierno: quello delle “sparizioni
forzate”. Dal 2006, anno di entrata al potere dell’ex presidente Felipe
Calderón, che iniziò la cosiddetta “narcoguerra”, ad oggi, quando ci
avviciniamo alla fine del mandato del suo successore Enrique Peña Nieto,
si stima che i desaparecidos nel paese ammontino a più di
trentamila, anche se i numeri reali del fenomeno sono probabilmente
molto maggiori, essendo la stragrande maggioranza di essi migranti
centroamericani finiti nel buco nero del lavoro schiavistico per i
cartelli della droga e le cui sparizioni non sono mai state registrate
dalle statistiche governative.
Fenomeni, quelli delle desapariciones forzadas,
che al pari delle centinaia di migliaia di omicidi, femminicidi,
episodi di esproprio di terre di popolazioni indigene, e di
iper-sfruttamento nelle maquiladoras (fabbriche frontaliere a
capitale occidentale e manodopera a bassissimo costo tenuta docile dalla
minaccia del narcotraffico) rappresentano la cifra di un Messico, e
un’America Latina, socialmente dilaniato. Fenomeni per i quali, parlare
di impunità suona quasi eufemistico. Il caso di Ayotzinapa, ancora una
volta, ne è il simbolo drammatico, nonostante questo avvenimento, a
differenza di molti altri, è riuscito nel corso degli ultimi due anni ad
acquisire una rilevanza mediatica senza precedenti. Le roboanti
proteste che paralizzarono il paese per gli ultimi mesi del 2014, e che
nel corso del 2015 portarono la causa di Ayotzinapa in America Latina,
Europa e Stati Uniti grazie a una serie di carovane organizzate dai
famigliari degli studenti scomparsi e appoggiate da organizzazioni
sociali di tutto il mondo, costrinsero infatti in un primo momento il
governo messicano ad accettare la proposta che a condurre le contro
indagini fossero gruppi di esperti internazionali e di periti forensi
argentini.
che al pari delle centinaia di migliaia di omicidi, femminicidi,
episodi di esproprio di terre di popolazioni indigene, e di
iper-sfruttamento nelle maquiladoras (fabbriche frontaliere a
capitale occidentale e manodopera a bassissimo costo tenuta docile dalla
minaccia del narcotraffico) rappresentano la cifra di un Messico, e
un’America Latina, socialmente dilaniato. Fenomeni per i quali, parlare
di impunità suona quasi eufemistico. Il caso di Ayotzinapa, ancora una
volta, ne è il simbolo drammatico, nonostante questo avvenimento, a
differenza di molti altri, è riuscito nel corso degli ultimi due anni ad
acquisire una rilevanza mediatica senza precedenti. Le roboanti
proteste che paralizzarono il paese per gli ultimi mesi del 2014, e che
nel corso del 2015 portarono la causa di Ayotzinapa in America Latina,
Europa e Stati Uniti grazie a una serie di carovane organizzate dai
famigliari degli studenti scomparsi e appoggiate da organizzazioni
sociali di tutto il mondo, costrinsero infatti in un primo momento il
governo messicano ad accettare la proposta che a condurre le contro
indagini fossero gruppi di esperti internazionali e di periti forensi
argentini.
Questi ultimi, tristemente esperti in tema di desaparecidos
proprio a causa della sanguinosa storia della dittatura argentina, hanno
smascherato una per una le versioni che lo Stato ha cercato di portare
avanti, tese a chiudere il caso sancendo la morte dei normalisti e
addebitandola ora a un cartello della droga locale, i Guerreros Unidos,
ora a male marce nei corpi di polizia locale del Guerrero. Tuttavia, i
ripetuti tentativi di insabbiare le prove e la negazione da parte del
governo alle richieste di svolgere indagini all’interno dell’esercito,
la cui presenza la notte di Iguala è ormai accertata, non hanno fatto
che esasperare ulteriormente la società messicana, mentre gli stessi
periti, divenuti ormai scomodi, sono stati licenziati nel marzo di
quest’anno.
È così che oggi, in occasione della
grande manifestazione che ha attraversato Città del Messico, le
richieste di “apparizione in vita” degli studenti e l’impegno ad andare
avanti nella loro ricerca “fino a incontrarli”, assume un sapore di
totale distacco, avversità e opposizione a uno Stato, a un
sistema politico e giudiziario marcio e corrotto. E non potrebbe essere
altrimenti, è infatti di questa settimana la notizia che Luís Fernando
Sotelo, giovane ricercatore universitario aderente alla Sesta
Dichiarazione della Selva Lacandona, è stato condannato a 33 anni di
carcere per fatti relativi a una manifestazione successiva al massacro
di Iguala.
grande manifestazione che ha attraversato Città del Messico, le
richieste di “apparizione in vita” degli studenti e l’impegno ad andare
avanti nella loro ricerca “fino a incontrarli”, assume un sapore di
totale distacco, avversità e opposizione a uno Stato, a un
sistema politico e giudiziario marcio e corrotto. E non potrebbe essere
altrimenti, è infatti di questa settimana la notizia che Luís Fernando
Sotelo, giovane ricercatore universitario aderente alla Sesta
Dichiarazione della Selva Lacandona, è stato condannato a 33 anni di
carcere per fatti relativi a una manifestazione successiva al massacro
di Iguala.
La macchia di sangue aperta ad
Ayotzinapa ha così continuato ad allargarsi a dismisura nel corso di
questi ultimi due anni. Lo ha fatto attraverso un pacchetto di riforme
di sistema marcatamente neoliberali
che porteranno alla progressiva privatizzazione dell’industria
petrolifera nazionale (PEMEX), da ulteriori attacchi speculativi nei
confronti dei territori e dall’implementazione di una riforma educativa
che presenta numerose affinità con la “buona scuola” renziana e il cui
unico vero scopo è la privatizzazione del sistema scolastico e il
controllo della categoria degli insegnanti. La parte combattiva dei
docenti delle scuole primarie e secondarie pubbliche, organizzata nella
corrente sindacale CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la
Educación), con l’appoggio solidale e militante delle comunità del Sud,
hanno bloccato il Paese per tutta l’estate, occupando alcune autostrade e
le piazze di alcune città e portando avanti uno sciopero ad oltranza
che ha impedito la riapertura di molte scuole. La tenacia e la forza del
movimento ha costretto lo Stato a reazioni violentissime, durante una
delle quali, a Nochixtlán nello stato di Oaxaca, sono state assassinate
dodici persone. Tuttora non vi sono colpevoli per la strage.
Ayotzinapa ha così continuato ad allargarsi a dismisura nel corso di
questi ultimi due anni. Lo ha fatto attraverso un pacchetto di riforme
di sistema marcatamente neoliberali
che porteranno alla progressiva privatizzazione dell’industria
petrolifera nazionale (PEMEX), da ulteriori attacchi speculativi nei
confronti dei territori e dall’implementazione di una riforma educativa
che presenta numerose affinità con la “buona scuola” renziana e il cui
unico vero scopo è la privatizzazione del sistema scolastico e il
controllo della categoria degli insegnanti. La parte combattiva dei
docenti delle scuole primarie e secondarie pubbliche, organizzata nella
corrente sindacale CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la
Educación), con l’appoggio solidale e militante delle comunità del Sud,
hanno bloccato il Paese per tutta l’estate, occupando alcune autostrade e
le piazze di alcune città e portando avanti uno sciopero ad oltranza
che ha impedito la riapertura di molte scuole. La tenacia e la forza del
movimento ha costretto lo Stato a reazioni violentissime, durante una
delle quali, a Nochixtlán nello stato di Oaxaca, sono state assassinate
dodici persone. Tuttora non vi sono colpevoli per la strage.
È in questo clima che si è aperta, con
la giornata di oggi, la “settimana della memoria”, che si concluderà con
il corteo del ottobre, giorno in cui si ricorda il massacro di piazza
Tlatelolco, quando nel 1968 il governo diede ordine di sparare sulla
folla uccidendo oltre 300 manifestanti. L’enorme corteo che oggi ha
attraversato le vie della capitale, insieme alle iniziative realizzate
in oltre 100 città del Messico e del mondo nell’ambito della Giornata
Mondiale per Ayotzinapa-24 mesi (#Ayotzinapa243),
ha dunque riportato in piazza la rabbia e l’indignazione non solo per
la tragica notte di Iguala e per i 43 studenti di Ayotzinapa, ma anche
per tutti quei desaparecidos senza nome e tutti i massacri di Stato
rimasti impuniti, gridando a gran voce che in Messico ci sono più di 43
motivi per continuare a lottare. [Ultime due foto del collettivo
“Documentación de Marchas”]
la giornata di oggi, la “settimana della memoria”, che si concluderà con
il corteo del ottobre, giorno in cui si ricorda il massacro di piazza
Tlatelolco, quando nel 1968 il governo diede ordine di sparare sulla
folla uccidendo oltre 300 manifestanti. L’enorme corteo che oggi ha
attraversato le vie della capitale, insieme alle iniziative realizzate
in oltre 100 città del Messico e del mondo nell’ambito della Giornata
Mondiale per Ayotzinapa-24 mesi (#Ayotzinapa243),
ha dunque riportato in piazza la rabbia e l’indignazione non solo per
la tragica notte di Iguala e per i 43 studenti di Ayotzinapa, ma anche
per tutti quei desaparecidos senza nome e tutti i massacri di Stato
rimasti impuniti, gridando a gran voce che in Messico ci sono più di 43
motivi per continuare a lottare. [Ultime due foto del collettivo
“Documentación de Marchas”]
Connessioni
43 poeti per Ayotzinapa e aggiornamenti – Qui Link
Iniziative per i 24 mesi dalla desaparición dei 43 studenti: hashtag #Ayotzinapa243 #AyotzinapaDosAñosSpeciale Ayotzinapa dos años: Desinformémonos
Notte di Iguala video e documenti, timeline: link 1 Link 2
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