Nessuno è come sembra, ma dobbiamo mantenere le apparenze per sopravvivere
giovedì 20 febbraio 2014
martedì 18 febbraio 2014
Un Policía Local se divierte echando Gas Pimienta en la cara de los anim...
Dos agentes de la Policía Local han sido ‘cazados’ a través de un vídeo colgado en Internet rociando con el spray policial a una manada de cerdos. Los hechos, según información a la que ha tenido acceso Ultima Hora Ibiza y Formentera se produjeron en Sencelles hace unos años, pero ha sido ahora cuando alguien decidió subirlo a la plataforma de internet wouzee. Actualmente, los dos policías en cuestión no trabajan en el citado municipio dado que consiguieron sendas plazas en otros destinos.
Ambos funcionarios se encuentra en activo ejerciendo como agentes de la autoridad, uno con plaza fija en la isla de Eivissa, concretamente en Sant Antoni de Portmany, y otro en un pueblo de Mallorca.
Los dos agentes podrían enfrentarse a un presunto delito de maltrato animal, además de la apertura de un expediente por parte de la conselleria d’Administraccions Públiques del Govern balear.
En el citado vídeo, puede verse como uno de los protagonistas rocía con un spray policial a unos cerdos. Uno de los animales, al final de la grabación, se tambalea a consecuencia de la inhalación del gas, constituyendo un claro maltrato animal.
lunedì 17 febbraio 2014
domenica 16 febbraio 2014
sabato 15 febbraio 2014
venerdì 14 febbraio 2014
Spagna: per il diritto all’aborto, le donne “registrano” il loro corpo con Yolanda Dominguez
- “Che cosa sta registrando?”
- “Il mio corpo”
- “Il mio corpo”
- “Mi scusi, vado a parlare con il mio capo, non so se questo è possibile” (da ElPais.com )
Il diritto all’aborto non è mai al sicuro, lo dimostra ciò che sta succedendo in Spagna.
Per questo vale la pena ogni giorno lottare per tenere ben stretto il diritto alla salute e alla scelta, all’autodeterminazione.
Per questo vale la pena ogni giorno lottare per tenere ben stretto il diritto alla salute e alla scelta, all’autodeterminazione.
I prolife non esistono, sono solo oscurantisti. Esistono le e i pro-choice, al massimo, chi vuole il rispetto delle scelte delle donne sul proprio corpo, sulla propria biologia.
In Spagna, il ddl firmato dal ministro Alberto Ruiz-Gallardon del Partido Pupular di Rajoy annulla la precedente normativa del governo Zapatero e, in clima da controriforma, propone la ““Legge dei diritti del concepito e della donna incinta“.
Il provvedimento prevede l’aborto solo nei casi di violenza sessuale (da denunciare non oltre le 12 settimane dal concepimento ) e in caso di grave pericolo per la salute psichica e fisica per la madre. Malformazioni fetali, condizioni socioeconomiche, non sono più motivazioni valide per richiedere l’aborto da parte di donne ogni giorno più in mano al controllo di governi reazionari.
Non è facile trovare delle modalità di resistenza attiva a questi continui attacchi. Informazione, dibattito, occupazioni, rivendicazioni sono all’ordine del giorno: ma c’è anche chi ha deciso di usare l’arte, la street art, per lanciare un messaggio, forse anche più efficace. Non perché assemblee ed editoriali non servano, ma perché l’arte, quella intelligente, arriva a tutti subito e non ci sono porte a cui bussare, gruppi in cui entrare (a fatica, anche), muraglie da abbattere, è lei che arriva e si spiega da sé.
Yolanda Dominguez è un’artista visuale spagnola, attiva dal 2008 e ultimamente nota per alcune geniali performance contro gli stereotipi delle immagini femminili nel mercato pubblicitario e contro lo sfruttamento globale del mondo della moda. Per l’opera “Pose n°5″ (2013) ad esempio, donne anonime di tutto il mondo si mettevano in strada nella stessa posa di una campagna di Chanel per evocarne proprio il completo distacco dal reale, dai corpi e dalle posizioni della realtà, mostrandone il ridicolo mascherato da eleganza.
In “Fashion Victims” (2013 ), alcune note blogger vestite alla moda apparvero in mezzo alle strade di Spagna ricoperte da detriti e calcinacci, come morte, per ricordare il crollo del 24 aprile in Bangladesh di alcuni laboratori di grandi industrie della moda occidentale, in cui erano rimaste uccise varie lavoratrici.
Qualche giorno fa è andata in scena l’ultima performance di Dominguez e di tutte le donne che vi hanno partecipato. “Accion Registro”: donne di diverse città della Spagna si sono recate ai “Registri della Proprietà” (il nostro catasto) per certificare il possesso del proprio corpo come bene mobile. L’azione è iniziata il 5 febbraio e per giorni agli sportelli degli uffici di Madrid, Barcelona, Bilbao, Sevilla, Pamplona e Pontevedra si sono allungate le code di donne che rivendicavano provocatoriamente il proprio corpo e la possibilità di decidere su di esso.
Scrive Dominguez sul suo sito:
Il corpo è un territorio di cui è necessaria la riconquista da parte delle donne. Un corpo modellato da altri e per altri, convertito in oggetto, usato come mercanzia, aggredito, manipolato e sottomesso a impossibili stereotipi. A queste difficoltà si aggiunge un “Antiprogetto di legge” sull’aborto presentato dal ministro della giustizia Ruiz-Gallardon che pretende limitare la capacità di prendere decisioni rispetto alla maternità e alla propria morale. I documenti che sono stati presentati e timbrati fanno parte di un’azione simbolica che vuole rendere visibile questo conflitto.
Una donna, al Registro di Madrid, ha dichiarato: "Con tutto quello che sta succedendo, l’unica cosa che resta alle donne è prendere l’iniziativa… qui c’è la mia carta di credito, il modulo e la prova che questo corpo è mio".
L’iniziativa è interessante e sicuramente riuscita, non fosse altro per il numero di donne che ha deciso di prendervi parte e di rilanciare un messaggio che sembra vecchio, ma non tutti hanno recepito: il famoso,il corpo è mio e lo gestisco io.
Eppure, apre anche ad alcune domande: siamo o possediamo il nostro corpo? Usare mezzi burocratici per rendere il nostro corpo un bene da possedere legalmente, non rischia di essere molto simile alla mercificazione stessa dei corpi?
Sono domande legittime, ma in questa azione altro non c’è che la ricerca di linguaggi nuovi per esprimere concetti antichi, la voglio di usare anche il paradosso e l’ironia per arrivare a comunicare con intelligenza la necessità dell’autodeterminazione delle donne sui loro corpi e sui loro desideri.
mercoledì 12 febbraio 2014
Pestaggi e minacce: casapound semina il terrore a San Benedetto del Tronto -
C’è chi continua ad affermare che ‘il fascismo è morto’ e che essere antifascisti nel 2014 sia un esercizio di settarismo o quantomeno di arretratezza rispetto all’evoluzione del mondo. Sarà, ma le notizie che continuano ad arrivare dai nostri territori sembrano dire esattamente il contrario (senza contare che i fascisti non sono proprio ‘morti’ visto che hanno imposto al paese una festa nazionale – il Giorno della Memoria – a loro uso e consumo).
L’ultimo episodio segnalato dalla stampa locale è avvenuto in quel di San Benedetto del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno. Durante la notte tra il 7 e l’8 febbraio in tre diversi episodi una banda di giovanotti aderenti a gruppi locali dell’estrema destra, tra i quali un pugile professionista, prendono di mira alcuni giovani e seminano il terrore nel centro cittadino. Le prime vittime della notte brava è un ragazzo, preso a pugni e spintoni e finito al Pronto Soccorso, anche se secondo l’Osservatore Quotidiano al fatto non sarebbe seguita nessuna denuncia formale. Dopo pochi minuti la banda si dedica ad un approccio non molto educato nei confronti di una ragazza fuori da un bar; lei prende a ceffoni uno dei fascisti che risponde con pugni e calci contro la malcapitata e contro i suoi amici che tentano di difenderla. Due ventenni, un ragazzo e una ragazza, finiscono al Pronto Soccorso.
Racconta ancora l’Osservatore che a poche decine di metri di distanza il gruppo tenta di aggredire un’altra ragazza, “prima con insulti e poi con le mani e in seguito avrebbe colpito gli amici di quest’ultima. Anche un ragazzo – che aveva provato a sedare pacificamente gli animi – sarebbe stato gettato a terra e preso a calci e a bottigliate”. Questa volta le vittime del pestaggio, anche loro finiti al Pronto Soccorso, sono corse a sporgere denuncia. Il quotidiano locale racconta particolari che la dicono lunga sull’identità degli aggressori: “Che cazzo indichi, troia infame?”, avrebbe detto uno degli aggressori, e la ragazza, stupita, avrebbe risposto: “Roberto, che dici? Siamo amici e mi hai anche invitata a CasaPound”. Dopo il pestaggio il picchiatore avrebbe detto ad una delle vittime: “Se non ti ho ammazzato adesso ti faccio ammazzare”.
Alla fine della notte di terrore le denunce sporte sono ben 5 e gli aggressori individuati sono tutti esponenti di gruppi neofascisti locali, compreso il pugile di cui scrivevamo sopra, dirigente della sezione cittadina di Casapound.
Racconta ancora l’Osservatore che a poche decine di metri di distanza il gruppo tenta di aggredire un’altra ragazza, “prima con insulti e poi con le mani e in seguito avrebbe colpito gli amici di quest’ultima. Anche un ragazzo – che aveva provato a sedare pacificamente gli animi – sarebbe stato gettato a terra e preso a calci e a bottigliate”. Questa volta le vittime del pestaggio, anche loro finiti al Pronto Soccorso, sono corse a sporgere denuncia. Il quotidiano locale racconta particolari che la dicono lunga sull’identità degli aggressori: “Che cazzo indichi, troia infame?”, avrebbe detto uno degli aggressori, e la ragazza, stupita, avrebbe risposto: “Roberto, che dici? Siamo amici e mi hai anche invitata a CasaPound”. Dopo il pestaggio il picchiatore avrebbe detto ad una delle vittime: “Se non ti ho ammazzato adesso ti faccio ammazzare”.
Alla fine della notte di terrore le denunce sporte sono ben 5 e gli aggressori individuati sono tutti esponenti di gruppi neofascisti locali, compreso il pugile di cui scrivevamo sopra, dirigente della sezione cittadina di Casapound.
La matrice politica delle molteplici aggressioni non è sfuggita ai partiti di centrosinistra di San Benedetto del Tronto, che in una nota congiunta scrivono: “(...) appare comunque evidente che queste aggressioni siano maturate nel sempre fertile ambiente della destra neofascista, permeato da sempre da pulsioni violente e misogine. La reazione della città deve essere forte e unanime: il rifiuto netto del fascismo nella teoria politica e nella pratica; la lotta senza quartiere all’omertà ed all’indifferenza. Rivolgiamo quindi un appello ai nostri concittadini affinché non abbassino la guardia e denuncino alle autorità ogni forma di prevaricazione, delegittimando i gruppi che hanno come unico obiettivo l’intimidazione, negandogli la disponibilità di spazi e l’accoglienza; contemporaneamente, chiediamo alle forze dell’ordine di garantire la sicurezza perseguendo con decisione ogni manifestazione violenta”.
Manca una richiesta che forse un episodio come quello che abbiamo raccontato rende più che giustificabile: la chiusura di tutte le sedi fasciste. E la consapevolezza che non saranno certo le forze dell’ordine a garantire ‘la sicurezza dei cittadini’ e che quindi debbano essere i cittadini ad organizzarsi per impedire le scorribande fasciste.
Pestaggi e minacce: Casapound semina il terrore a San Benedetto del Tronto - contropiano.org:
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Egypt/Sudan: Traffickers Who Torture
Roma, 12 febbraio 2014, Nena News – Un nuovo rapporto di Human Rights Watch racconta di una realtà poco nota, terribile: i campi di tortura in Sudan e Egitto, teatro negli ultimi anni di settimane e mesi di violenze contro migliaia di rifugiati eritrei. Pestaggi, elettrochoc, stupri portati avanti dai trafficanti di uomini e ben coperti dalle autorità dei due Paesi.
Il rapporto, “I wanted to lie down and die”, riporta le testimonianze degli eritrei sopravvissuti a mutilazioni, bruciature, violenze sessuali e torture psicologiche, nella città di Kassala a Est del Sudan o nella città di Arish, in Sinai. E punta il dito contro coloro che avrebbero dovuto fermare tanta violenza. Al contrario, spiega HRW, le forze di polizia sudanesi e egiziane non solo non hanno perseguito i trafficanti, ma hanno partecipato attivamente a rapimenti e torture.
L’unico modo per liberarsi dai campi di tortura, raccontano i rifugiati, era il pagamento di un riscatto da 40mila dollari, spesso chiesto alle famiglie contattate al telefono. Non sempre il denaro ha salvato la vita delle centinaia di persone finite nelle mani degli aguzzini che, dopo aver ricevuto il riscatto, vendevano i rifugiati ad altri gruppi di trafficanti.
Trentasette testimonianze terribili, come quella di un giovane eritreo, 23 anni: “Mi hanno picchiato con una barra di metallo, hanno fatto gocciolare sulla mia schiena plastica fusa. Mi facevano restare in piedi per giorni e minacciavano di uccidermi, con una pistola puntata alla testa. Ho visto un uomo morire dopo essere stato appeso per 24 ore. Ogni volta che chiamavo la mia famiglia chiedendogli di pagare, mi bruciavano con una barra di ferro così gridavo al telefono. Non potevamo proteggere le donne: le prendevano, le violentavano e le riportavano nella cella”.
HRW è riuscita a parlare anche con due trafficanti: “Ho guadagnato 200mila dollari in un anno – ha detto uno di loro – So che è denaro sporco, ma lo faccio comunque. A volte li torturavo mentre erano al telefono con i parenti. Lo facevo con tutti, li colpivo alle gambe e ai piedi, allo stomaco e al petto. Li appendevo a testa in già per ore. Tre di loro sono morti perché il pestaggio era stato troppo duro”.
A preoccupare è il ruolo svolto dalle autorità egiziane e sudanesi, profondamente colluse con i trafficanti di uomini: “Ad oggi la polizia e l’esercito in Sudan e Egitto che aiutano i trafficanti a rapire e torturare i rifugiati non hanno nulla di cui temere – spiega Gerry Simpson, autore del rapporto – Vige l’impunità, a volte li rinchiudono nelle stazioni di polizia e, se fuggono, li prendono e li riconsegnano ai trafficanti. Per anni le autorità egiziane hanno negato questi orribili abusi perpetrati in Sinai. Oggi devono porre fine alle torture e alle estorsioni e perseguire i trafficanti e tutti i funzionari collusi”. Nena News
El mejor "anuncio" de CocaCola
CocaCola pretende hacer un ERE a 1250 trabajadores y cerrar cuatro plantas de embotellado, pese a tener beneficios. En solidaridad con los trabajadores de CocaCola llamamos a hacer un boicot a sus productos hasta que retiren el ERE.
martedì 11 febbraio 2014
Drug Addicted Children In Afghanistan (FULL Documentary)
Di seguito il documentario “Drug Addicted Children In Afghanistan”, realizzato dalla giornalista inglese-iraniana Ramita Ravai insieme al regista Matt Haan.
Le immagini del film mostrano quanto l'epidemia della tossicodipendenza tra i minori sia una diretta conseguenza della guerra che da oltre trent'anni attanaglia il paese.
Girato nel 2010, ha fatto parte della serie di documentari “Unreported World” mandata in onda dall'emittente inglese Channel 4, ed è una sorta di girone infernale nelle zone più degradate del paese: dai bambini di Kabul che, resi orfani dal conflitto, si abbandonano all'eroina e alla droga per cancellare l'impatto psicologico della perdita, alle baraccopoli, dove i rifugiati provenienti da Helmand nutrono i loro figli feriti con l'oppio per alleviare il dolore.
Navai visita anche le famiglie dei tossicodipendenti nella lontana regione montuosa del Badakhshan, dove gli abitanti fumano oppio per sopprimere l'appetito. “E' più conveniente per comprare la droga del cibo” dicono.
Le immagini sono molto forti, e il taglio forse un po' troppo sensazionalistico, ma mostra una realtà che, a tutt'oggi, con l'avvicinarsi delle elezioni presidenziali e del parziale ritiro delle truppe Nato, ci suggerisce un futuro del paese a tinte fosche.
11 Febbraio 2014
Vídeo editado por la Guardia Civil del intento de entrada de inmigrantes...
Interior ha difundido un vídeo sobre las muertes de inmigrantes el pasado jueves al intentar entrar en Ceuta nadando que no aporta ninguna información relevante y su único objetivo es hacer ver que los subsaharianos son unos violentos que tiran piedras a la Guardia Civil.
El vídeo editado se divide en dos partes: por un lado, aparece la llegada de cientos de personas al paso fronterizo del Tarajal. Por otro, muestra cómo los inmigrantes tiran piedras desde el lado marroquí, mientras la policía alauí trata de frenarles. En la primera aún es de noche. En la segunda es de día. Ni rastro de su llegada al mar, ni de la actuación de la Guardia Civil, ni de cómo se produjeron las muertes, ni de cómo se actuó con las personas que lograron pisar suelo español, ni explica que las Organizaciones de Inmigrantes indicaron que tiraron piedras por la impotencia de ver morir ahogados a 15 de sus compañeros.
Después de la publicación de los testimonios de inmigrantes que hablaban del uso de material de antidisturbios, Interior lo reconoció: la Guardia Civil lanzó balas de goma y botes de humo contra varias personas que nadaban hacia la costa, de las que al menos 15 murieron ahogadas sin que los agentes salieran en su auxilio.
جنود اسرائيليين يطلقون النار على طفل و يعتقلونه في العيزرية 7-2-2014
Fuerzas israelíes destinadas en el este de la población ocupada de Jerusalén al-Eizariya aparecen en un video posando mientras someten a un niño palestino herido.
Este inquietante video grabado por Rami Alarya y publicado por el Centro de Medios Independientes (IMC) viene acompañado de esta descripción y análisis, según indica el sitio The Electronic Intifada:
“Los soldados asaltaron al niño durante los enfrentamientos que tuvieron lugar en la localidad [al- Eizariya], al este de Jerusalén oriental ocupado”.
“Uno de los soldados trató de empujar al camarógrafo, Alarya, y a su colega, Amin Alawya, lejos de la escena, mientras les gritaban: “Basta, basta. ¡Alejaos!. ¿Qué queréis?”.
“Fuentes médicas dijeron que los soldados dispararon al niño de 13 años Yassin al- Karaki con una bala de metal recubierta de caucho que alcanzó la pierna del niño de 13 años. Después de su caída, los soldados comenzaron a agredir y abusar de él”.
“Los soldados se tomaron fotos a sí mismos con el niño herido y un soldado recogió un cóctel molotov desde el suelo, mientras que el niño gritaba en hebreo “no es mío, no es mío”, y un soldado le respondía: “es tuyo, está bien, es tuyo”.
“Uno de los soldados retenía al niño con una llave estranguladora y se burlaba de él imitando movimientos de lucha, mientras que otros soldados tomaban fotos, aunque el niño apenas podía respirar”.
NoDiSex 2014
Tra pochi minuti si inaugureranno le Olimpiadi Invernali di Sochi. Si svolgeranno nella Russia delle leggi omofobe che impedisce anche solo di parlare di temi legati a “relazioni sessuali non tradizionali”.
E' la Russia del vicepremier Dmitry Kozak, che mette in guardia spettatori e atleti contro la promozione dei diritti degli omosessuali durante le Olimpiadi, mentre il segretario generale dell' Onu Ban Ki-Moon dichiara che “Il mondo si sollevi a difesa dei gay”.
Tutto ciò è incompatibile con uno dei principi fondamentali della Carta Olimpica: “ogni forma di discriminazione nei confronti di un Paese o di una persona per motivi di razza, religione, politica o sesso, o altro è incompatibile con l’appartenenza al Movimento Olimpico.”
Come nella peggiore tradizione, il mondo e le istituzione sportive italiane tacciono. Il Premier Letta sarà presente alla cerimonia ufficiale, dopo essere stato in Qatar a stipulare accordi commerciali con il paese che ospiterà i mondiali di calcio 2022, già al centro delle polemiche per le condizioni di sfruttamento dei lavoratori migranti impiegati nella costruzione degli stadi.
Il Coni, le Federazioni Sportive Invernali sono avvolte in un silenzio assordante. I principi olimpici si stanno piegando di fronte agli interessi economici e politici, che ruotano attorno a un grande evento sportivo costato 50 miliardi di euro.
La Polisportiva Independiente, assieme all'associazione “Sport Alla Rovescia”, sta organizzando a Vicenza per sabato 15 Febbraio una giornata a sostegno della campagna “NoDiSex” per chiedere alle istituzioni sportive di inserire esplicitamente il divieto di discriminazione per orientamento sessuale nei propri statuti.
All'interno di una piazza del centro cittadino a partire dalle ore 15 ci saranno dimostrazioni di arti marziali, parkour, giocoleria, tornei di street soccer 3 vs3 e street volley.
Questa iniziativa è stata inserita nel calendario delle iniziative a livello europeo promosse dall'organizzazione“Football V Homophobia”, che è partner della FA (Football Association), la federcalcio inglese, nella promozione dei diritti lgbt nel calcio.
“Football V Homophobia” organizza in Febbraio ogni anno un “Action Month”di iniziative a livello europeo, che ad esempio nel 2013 ha coinvolto squadre di Premier League come Arsenal, Chelsea e Manchester United fino all'ufficio governativo inglese per l'uguaglianza, passando per realtà calcistiche ed associazioni lgbt di vari paesi europei.
Tornando un momento all'iniziativa vicentina hanno ad oggi aderito alla giornata NoDiSex del 15 Febbraio:
Assemblea Permanente We Want Sex Vicenza, Sinistra Ecologia e Libertà di Vicenza, Comitato Territoriale Uisp di Vicenza, Delos Vicenza, Vicenza Roller Derby, Asd Vicenza Bike Polo, Collettivo Q-Generation Padova, Polisportiva San Precario Padova, Circolo Pink di Verona, Osservatorio Queer del Comune di Venezia, Arcilesbica Queerquilia Treviso, Anteros Padova, Agedo Veneto, Lieviti Verona, Arcilesbica Il riparo Padova
Per chi volesse aderire o proporre qualche attività sportiva si può scrivere una mail apolisportivaindependiente@yahoo.itQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Il Gruppo "Vicenza Roller Derby" ha deciso di aderire alla campagna NoDiSex attraverso questo contributo video:
lunedì 10 febbraio 2014
ACTORS OF RESISTANCE | Palestine Short Film (HD)
Gli attori del Freedom Theatre di Jenin lanciano un progetto di crowfounding per realizzare un documentario. E’ la rivoluzione che va in scena sul palcoscenico della Palestina.
Li avevamo incontrati in una sera d’estate, nel luglio scorso, quando il progetto era ancora un’idea. Gli attori del Freedom Theatre di Jenin erano arrivati in Italia per portare in scena i loro spettacoli, raccontare le loro storie, mandare avanti il prezioso lavoro avviato da Juliano Mer-Khamis.
Oggi quell’idea sta diventando realtà, e la campagna di crowfoundig per la realizzazione del loro progetto è stata lanciata in rete nel gennaio scorso.
Actors of Resistance è un documentario, e molto di più. E’ la speranza che possa diventarlo.
E’ un progetto dal basso, ideato da chi ha scelto il palcoscenico di un teatro per resistere o, come raccontano gli ideatori, “è la visione di un gruppo di giovani artisti per sfidare l’eredità coloniale, il sistema di oppressione, violenza e discriminazione sotto il quale viviamo, la vita quotidiana sotto un regime militare, e insieme raccontare il nostro spirito rivoluzionario e il nostro attivismo culturale, per porvi fine”.
Il palcoscenico, questa volta, sono i paesaggi della Palestina, o ciò che ne resta tra insediamenti coloniali, muri e bypass road. I protagonisti sono loro: i giovani attori del Freedom Theatre di Jenin, del Freedom Bus, del Red Noses Palestine di Betlemme.
Giovani “che hanno vissuto la loro vita sotto un’occupazione militare come cittadini di seconda classe, e che hanno scelto di diventare attori per mostrare al mondo cosa significhi essere palestinesi, lottare per la giustizia e per la libertà. Su un palco o altrove”. Utilizzando un linguaggio universale – quello del corpo – comprensibile a chiunque, per raccontare di “un apartheid che non può continuare”.
Combattono per quello in cui credono, contro ciò che li opprime. “E’ una forma molto importante di resistenza. Stanno cercando di rubarci la cultura: la difendiamo, per non perderla” racconta Ahmad nel trailer.
Portare su un palco le proprie convinzioni, battersi contro un sistema sociale, culturale e politico, è già una forma di rivoluzione: lo ricorda Nabil al-Raee, direttore creativo del Freedom Theatre, che ne prese le redini nella primavera del 2011, quando Juliano Mer-Khamis venne assassinato, raccogliendo la sua eredità culturale e portando avanti la sua battaglia.
Al centro le storie di questi giovani attivisti, le esperienze personali che hanno accompagnato le loro vite, rivisitate e reinterpretate attraverso l’arte teatrale e la performance.
“Non rappresentiamo tutta la Palestina ne’ l’intero movimento di resistenza, eterogeneo come in qualsiasi altro contesto. Il documentario vuole solo raccontare l’esperienza di alcuni artisti che hanno scelto il teatro per lottare contro le circostanze sociali e politiche in cui sono costretti a vivere”, spiegano.
E non hanno intenzione di essere “equilibrati”. Il film sceglie, al contrario, di non essere obiettivo – “le parole e l’arte, in fondo, non lo sono mai”, raccontano – ritraendo esclusivamente attori e attrici palestinesi, per dare voce a chi, nella narrativa dominante, non ne ha mai.
Una delle condizioni necessarie per riuscirci, però, è restare indipendenti “da qualsiasi istituzione politica, religiosa o culturale”, anche per combattere “l’interpretazione egemonica ed eurocentrica che caratterizza la narrazione di tanti documentari prodotti in Occidente sulla Palestina”.
Ecco perché hanno scelto il crowfoundind per finanziare il loro sogno.
“Mio padre è stato ucciso. Mio zio è stato ucciso. Tanti miei amici sono stati uccisi, o si trovano in prigione oggi. Io non sono migliore di loro. Perché queste persone sono morte? Perché lottavano per la loro libertà, e quella della loro terra. Devo portare avanti il loro messaggio, continuare la lotta” racconta Saber.
Ecco perché questo documentario è tanto importante, e ha bisogno di un sostegno dal basso.
“Lo è per noi e per molti altri. Abbiamo lavorato di notte, siamo stati soffocati dai lacrimogeni durante le manifestazioni, arrestati dai soldati dell’esercito israeliano e ottenuto la solidarietà del mondo per arrivare dove siamo oggi. Ma non possiamo andare avanti senza il vostro aiuto. Vogliamo fare questo film, abbiamo bisogno di farlo”. E' questo il messaggio che lanciano, perché la speranza diventi realtà.
Per maggiori informazioni e fare una donazione clicca qui.
I Bambini raccontano Samouni Street
Il centro Invictapalestina di Pentone (CZ) ha prodotto la versione italiana del cartone realizzato dai bambini di Samouni Street. Samouni Street è stata teatro di uno degli episodi più noti nel recente conflitto a Gaza. Attivisti per i diritti umani raccontano che 29 membri della famiglia Samouni sono morti, dopo un attacco israeliano contro una casa dove erano riunite circa 100 persone. - See more at: http://www.freedomflotilla.it/2014/02/05/gaza-la-guerra-raccontata-dalle-vittime/#sthash.JnZjGhF0.dpuf
lunedì 3 febbraio 2014
3 febbraio 1998, la strage del Cermis, 20 vittime provocate da un aereo militare usa
In questa storia di vittime non ce n’è solo una. In tutto sono venti, tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un olandese. Nessun ferito o sopravvissuto. Muoiono il 3 febbraio 1998, il giorno in cui per una coincidenza “bizzarra” la corte di Cassazione pronunciava la sentenza definitiva sull’aereo militare caduto sull’istituto tecnico-commerciale Salvemini di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, il 6 dicembre 1990. Negli ultimi istanti di vita gli sciatori, gli escursionisti e coloro che stanno lavorando si trovano sospesi a circa 150 metri dal suolo perché sono all’interno della cabina di una funivia, quella del Cermis, in Val di Fiemme.
A ucciderli non è un incidente all’impianto, ma il passaggio di un aereo militare americano, un Grumman EA-6B Prowler, al cui comando c’è un ufficiale dei marines, il capitano Richard Ashby, che era decollato per un volo di addestramento dalla base di Aviano alle 14.36. Con il primo capitano ci sono a bordo altri tre parigrado: il navigatore Joseph Schweitzer, l’addetto ai sistemi di guerra elettronica William Rancy e l’addetto ai sistemi di guerra elettronica Chandler Seagraves.
Sul fatto che il mezzo stia volando troppo basso si è d’accordo fin dall’inizio, ma cosa sia effettivamente accaduto e in base a quale dinamica si sia arrivati a quella strage non è chiaro subito. E allora i magistrati ottengono l’immediato sequestro dell’aereo, che le autorità statunitensi stavano già smontando facendo temere di voler farlo sparire. A provocare tutti quei morti è stata la coda del Prowler che trancia il cavo della funivia e dunque a processo ci dovrebbe finire chi era ai comandi. Ma una prima doccia fredda giunge quando si ripesca una convenzione Nato del 1951 in base alla quale i militari americani non possono essere processati e giudicati in Italia, ma quella competente è una corte statunitense.
Inutile dire che le conseguenze penali per i quattro ufficiali furono molto meno pesanti rispetto al massacro compiuto. E anche i risarcimenti ai familiari, inizialmente fissati a 40 milioni di dollari da parte del governo di Washington, sono stati una pena infinita, ricaduta sulle spalle delle amministrazioni della provincia autonoma di Trento e dello Stato italiano e solo successivamente rimborsate in parte (per il 75%) da oltre oceano. Solo anni dopo, nel 2009, il pilota Joseph Schweitzer ha detto al National Geographic ciò che sarebbe effettivamente accaduto. Ed ecco in sostanza, secondo quanto riportatodall’Espresso:
Ridevano e filmavano le montagne, il «paesaggio splendido» del lago di Garda. Mentre il loro aereo violava le regole, volando troppo basso e troppo veloce, loro giravano un video ricordo delle Alpi: un souvenir per il pilota, all’ultima missione prima di tornare negli Stati Uniti. E poco dopo sono andati a tranciare la funivia del Cermis, uccidendo venti persone.
Ed ha aggiunto Schweitzer: «Ho bruciato la cassetta. Non volevo che alla Cnn andasse in onda il mio sorriso e poi il sangue delle vittime». Vittime che avevano un nome, un cognome e una vita:
- Hadewich Antonissen (24, Vechelderzande), belga;
- Stefan Bekaert (28, Lovanio), belga;
- Dieter Frank Blumenfeld (47, Burgstädt), tedesco;
- Rose-Marie Eyskens (24, Kalmthout), belga;
- Danielle Groenleer (20, Apeldoorn), olandese;
- Michael Pötschke (28, Burgstädt), tedesco;
- Egon Uwe Renkewitz (47, Burgstädt), tedesco;
- Marina Mandy Renkewitz (24, Burgstädt), tedesca;
- Maria Steiner-Stampfl (61, Bressanone), italiana;
- Ewa Strzelczyk (37, Gliwice), polacca;
- Philip Strzelczyk (14, Gliwice), polacco;
- Annelie (Wessig) Urban (41, Burgstädt), tedesca;
- Harald Urban (41, Burgstädt), tedesco;
- Sebastian Van den Heede (27, Bruges), belga;
- Marcello Vanzo (56, Cavalese), manovratore della Cabina in discesa, italiano;
- Stefaan Vermander (27, Assebroek), belga;
- Anton Voglsang (35, Vienna), austriaco;
- Sonja Weinhofer (22, nata a Monaco, domiciliata a Vienna), austriaca;
- Jürgen Wunderlich (44, Burgstädt), tedesco;
- Edeltraud Zanon-Werth (56, nata ad Innsbruck, residente a Bressanone), italiana.
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