E spunta una sua interrogazione al parlamento europeo sul bambino di Padova portato via «brutalmente» dalla polizia.
Si chiama Potito Salatto e ieri mattina era in piazza Savonarola, a Ferrara, per portare la propria solidarietà al personale delle due volanti – Alfa due e Alfa tre – che la notte del 25 settembre 2005 intervennero in via dell’Ippodromo: Enzo Pontani, Luca Pollastri, Paolo Forlani e Monica Segatto. Gli assassini di Federico Aldrovandi. «Io rappresento l’Europa», ha detto con notevole pelo sullo stomaco al sindaco di Ferrara, che chiedeva al sit-in di indietraggiare di qualche metro, giusto per non urlare davanti a una madre il proprio supporto ai carnefici di suo figlio.
Salatto, europarlamentare in quota Fli, dice di sé: «In molti mi considerano un politico atipico e di questa etichetta, devo ammetterlo, vado parecchio fiero. Sarà perché mi tengo a debita distanza dai palazzi del potere e mi trovo più a mio agio tra la gente comune, a stretto contatto con la cosiddetta società civile. Da loro, d’altronde, ho ricevuto la mia legittimazione, ho avuto l’incarico di rappresentarli in Europa dopo diversi anni senza l’ombra di ruoli istituzionali». E meno male, l’amico di Alfa Due e Alfa Tre è stato eletto per la prima volta consigliere comunale a Roma per la Dc nel 1976. Poi: consigliere regionale del Lazio, vicepresidente e assessore fino al 1994. Da lì un lungo tragitto nel mondo delle associazioni capitoline, viaggi in Kosovo e Albania. Nel 2009 è stato eletto all’Europarlamento nelle file del Pdl, un anno dopo è fuggito per andare a rifugiarsi tra i finiani.
La carriera tipo del politico di medio livello che, a fine corsa, viene mandato a svernare in quel grande cimitero degli elefanti che è il parlamento europeo.
Nel marzo 2009, la guardia di finanza di Foggia lo denuncia per falso e truffa aggravata nell’ambito di un’indagine per un raggiro sanitario da 21 milioni di euro.
Il 16 ottobre scorso, Salatto – insieme ad altri colleghi del Ppe – ha presentato al consesso di Strasburgo un’interrogazione relativa ad un «Episodio di maltrattamento di un bambino da parte di agenti di polizia», riferendosi a quanto avvenuto a Padova pochi giorni prima. «Nonostante l’invocazione di aiuto da parte del bambino nei confronti della madre – si legge nel testo – e il suo diniego verso l’invito a seguire i poliziotti, gli stessi procedevano brutalmente e conducevano forzatamente il minore all’interno dell’auto di servizio ignorandone le richieste di soccorso. Secondo gli psicologi il bambino dopo questo episodio potrebbe rimanere traumatizzato a vita». Discorso ampiamente condivisibile, ma allora è lecito domandarsi, alla luce di quanto avvenuto ieri a Ferrara: che ci faceva l’uomo che parlava apertamente di «brutalità poliziesca» nel bel mezzo di una manifestazione di solidarietà nei confronti di quattro poliziotti condannati in via definitiva per l’omicidio di un ragazzo? Cosa ci faceva lì, mentre la mamma di Federico, Patrizia Moretti, esponeva le immagini di suo figlio in un lago di sangue?
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