“Camurrìa” in siciliano sta a indicare un motivo di fastidio, disturbo. Così Totò Riina usava apostrofare Mauro Rostagno, sociologo e giornalista torinese, la cui permanenza a Trapani negli anni ottanta ne faceva una presenza scomoda.
Il fondatore di Lotta Continua, dopo aver abbandonato il movimento e l’Italia durante “gli anni piombo” perché contrario alla deriva violenta e terroristica, aveva deciso di rientrare e trasferirsi nella città siciliana, nel 1981, per intraprendere una nuova battaglia combattuta con l’arma della parola, della denuncia, contro un sistema di intrecci tra potere economico, potere politico e mafia.
Iniziò presso l’emittente televisiva locale RTC, l’attività giornalistica di Rostagno, che fece presto a “dissacrare” con le sue indagini quello che rischiava di diventare un “vero e proprio santuario delle organizzazioni criminali”: questo il contesto della Trapani di allora nelle parole del Giudice Paolo Borsellino, intervistato dallo stesso Rostagno. Era un santuario inviolato e inviolabile che univa nello stesso culto deviante la massoneria, i boss, la politica, e li riuniva attorno ai grandi affari degli appalti e del traffico di droga.
Il suo impegno contro la droga, oltre che contro quegli assetti, Rostagno lo portava avanti anche nella comunità Saman, da lui stesso fondata, diventata centro di recupero per tossicodipendenti.
“Era un giornalista fuori luogo e fuori tempo, fu un pioniere che andò in avanscoperta con le spalle scoperte”, nel ricordo del Procuratore Antonio Ingroia.
Il 26 settembre 1988, esattamente ventiquattro anni fa, a Valderice (TP), Mauro Rostagno veniva freddato nella sua automobile. Con la sua vita dovevano spegnersi anche i riflettori puntati sulle zone d’ombra di quella Trapani che il giornalista aveva scelto per amarla e cambiarla con il suo impegno, e dove morì per scelta di Cosa Nostra.
Il nome del presunto mandante, il boss trapanese Vincenzo Virga, e quello di Vito Mazzara, accusato di essere uno degli esecutori dell’omicidio, emergono dopo ventidue anni di insabbiamenti, ventidue anni per avviare un processo contrassegnato da depistaggi e silenzi anche da parte degli organi d’informazione nazionali.
E proprio nel ventiquattresimo anniversario della morte di Mauro Rostagno, nell’aula bunker “Giovanni Falcone” del Tribunale di Trapani sono riprese le udienze. “Questa è l’ultima possibilità che do alla Giustizia italiana”, aveva già dichiarato la compagna di Rostagno, Chicca Roveri. E non resta che augurarsi che questa possibilità non vada sprecata, una volta tanto, ma sia piuttosto occasione di riscatto in nome della verità.
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