Il 27 aprile 1937 muore, nella clinica di Quisisana a Roma, Antonio
Gramsci, dopo undici anni di detenzione nelle carceri fasciste.
Il 27 aprile 1975, in un mondo radicalmente mutato in soli 37 anni,
moriva invece Danilo Montaldi, anch’egli, come Gramsci, militante
comunista, intellettuale e scrittore. Apparentemente una distanza
abissale separa i due personaggi: autore di fama mondiale, inserito
ufficialmente nel canone della letteratura e della storiografia
italiane, il primo, sconosciuto ai più il secondo; protagonista della
stagione classica del movimento comunista (dal 1917 agli anni precedenti
la seconda guerra) l’uno, partecipe della crisi storica del progetto
marxista-leninista tradizionale (dopo il 1945) l’altro. Gramsci visse la
fase ascendente della dittatura del proletariato nell’URSS, sposando
anche una rivoluzionaria bolscevica, Julia Schucht, da cui ebbe due
figli; Montaldi maturò la scelta di abbandonare il PCI nel 1946, proprio
a causa della consapevolezza della degenerazione burocratica che aveva
interessato successivamente il socialismo sovietico, nella sua fase
discendente. Nonostante queste e altre differenze biografiche, culturali
e politiche, molti aspetti permettono di accostare le due figure nel
segno della caratteristica più importante e tipica dell’intellettuale
militante/comunista tra primo e secondo novecento: il tentativo di
precisare una strategia per la distruzione della società capitalista,
regolarmente in contrasto con le stesse organizzazioni ufficiali della
politica socialista e comunista.
Gramsci era nato nel 1891 ad Ales, in Sardegna, e si era trasferito a
Torino per motivi di studio, in estrema povertà, nel 1911. Arrivò nella
città sabauda con 45 lire in tasca, avendo speso 55 lire per il viaggio
delle 100 dategli dalla famiglia; negli anni successivi sarebbe
sopravvissuto grazie a una delle 19 borse di studio da 70 lire mensili
messe a disposizione dall’università di Torino per gli studenti poveri
del Regno. Negli anni dell’università supera le posizioni sardiste,
immettendole nella più ampia e globale idea socialista; presso il numero
12 dell’odierno corso Galileo Ferraris frequenta la federazione
giovanile socialista e la sede dell’Avanti, dove inizierà la sua
carriera di scrittore grafomane, furioso e tenace, producendo in dieci
anni migliaia di pagine di riflessione politica, filosofica e di
costume. In quegli anni è anche molto impegnato come critico teatrale
(anche se ignorato dal mondo ufficiale dell’arte), risultando il primo
critico ad aver scoperto e valorizzato il teatro di Luigi Pirandello
(ben prima del più noto critico Adriano Tilgher, come lo stesso Gramsci
rivendicava con orgoglio).
Nel 1917 segue gli eventi russi e diviene fervente sostenitore della
rivoluzione bolscevica; nel 1919 fonda il giornale Ordine Nuovo; tra il
1919 e il 1920 definisce la linea dei giovani militanti socialisti che, a
differenza del ceto politico del partito, appoggiano e promuovono le
lotte operaie del biennio rosso che, con particolare forza a Torino,
Milano e Genova procedono all’occupazione armata delle fabbriche e in
molti casi alla loro autogestione e direzione produttiva. Dopo che
l’assalto operaio al potere di fabbrica fallisce a causa
dell’immobilismo/tradimento della dirigenza socialista, nel 1921 è parte
del gruppo di militanti che, a Livorno, accoglie le indicazioni
dell’Internazionale Comunista, proclamando la necessità di formare
un’organizzazione rivoluzionaria costituita da avanguardie dedite alla
promozione del conflitto operaio, per una presa del potere di tipo
sovietico, fondando il Partito Comunista d’Italia e, successivamente, il
giornale l’Unità. Dopo aver compiuto diversi viaggi in Unione Sovietica
come rappresentante della sezione italiana dell’Internazionale, e dopo
aver trascorso periodi come esule, soprattutto a Vienna, a causa delle
prime repressioni fasciste dopo il 1922, torna in Italia con l’immunità
parlamentare, essendo stato eletto deputato il 6 aprile 1924.
Poche settimane dopo, il 10 giugno, una banda di fascisti uccide un
deputato socialista, Giacomo Matteotti, e gran parte dell’opinione
pubblica è turbata e scandalizzata dall’accaduto. Per protesta tutti i
gruppi d’opposizione abbandonano i lavori parlamentari, ma tra essi è
solo quello comunista, capitanato da Gramsci, che chiede di fare l’unica
cosa sensata, ossia proclamare lo sciopero generale. I socialisti
temono che il ricorso allo sciopero favorisca il desiderio diffuso di
una rivoluzione di tipo bolscevico, i liberali e i cattolici temono
socialisti e comunisti molto più dei fascisti, e si appellano
sterilmente al Re come supposto garante di una legalità che il delitto
Matteotti avrebbe infranto. Tutto questo produce uno stallo durante il
quale aumenta la tensione reale nel paese, finché, il 12 settembre, il
militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram, per vendicare
Matteotti, il deputato fascista Armando Casalini, e si scatenano le
ondate della repressione più dura, con lo scioglimento di tutti i
partiti d’opposizione e l’arresto di militanti e dissidenti. Lo stesso
Gramsci sarà arrestato dopo due anni di sforzi nell’opposizione politica
al fascismo, e si dedicherà in prigione alla scrittura della sua opera
più famosa e internazionalmente conosciuta, i Quaderni del carcere.
Una delle tesi contenute nei Quaderni, quella della necessità di
conquistare la direzione politica della società attraverso un’egemonia
culturale antagonista, verrà riletta in modo moderato dal PCI del
dopoguerra, passato nelle mani di Togliatti, interessato a bloccare, su
ordine di Stalin, ogni prospettiva rivoluzionaria in Italia. Una tesi
ben più complessa e articolata viene banalizzata come grimaldello
ideologico volto all’annacquamento della pratica rivoluzionaria (occorre
conquistare l’egemonia culturale in primo luogo, quindi la presa del
potere politico è rimandata…) a tutto vantaggio della coesistenza
pacifica tra due superpotenze capitaliste, l’URSS (capitalismo di stato)
e gli USA (capitalismo di mercato). È in questi anni che Danilo
Montaldi, nato nel 1929 a Cremona, esce dal PCI di cui era militante e
si dedica ad un’attività organizzativa continua e inusuale, attraverso
la frequentazione attiva di gruppi cui non aderisce formalmente (Partito
Comunista Internazionalista, Gruppi Anarchici di Azione Proletaria) o
la fondazione di gruppi che talvolta successivamente abbandona (Gruppo
di Unità Proletaria, 1957, e Gruppo Karl Marx, 1966).
Se Gramsci concepì il suo compito come quello della fondazione del
comunismo in Italia, inteso come prospettiva specifica nel panorama
socialista (consistente, in base all’insegnamento di Lenin, nel rifiuto
totale della guerra e nella direzione politica del conflitto sociale
allo scopo di provocare una presa diretta del potere), Montaldi si mosse
in un quadro dove la stessa soggettività comunista organizzata era
divenuta compatibile con la società capitalista, trasformandosi in
conservazione sociale burocratica dove era al potere e in involucro
retorico di una sostanziale socialdemocrazia dove era all’opposizione.
In particolare il compito del militante del dopoguerra è non solo
costruire organizzazioni alternative (di qui le critiche di Montaldi ai
trotzkisti, che a questo si limitavano), ma anzitutto indagare
direttamente le condizioni di lavoro e di lotta della classe operaia.
Negli anni della ricostruzione postbellica l’operaio è chiamato a
vendere la sua forza lavoro al capitale in nome di uno sforzo presentato
come trasversale alle classi, ma l’interesse alla ricostruzione è
l’interesse del capitale, poiché l’operaio non può che trarre giovamento
dalla distruzione del sistema esistente.
L’antagonismo operaio non va però, per Montaldi, imposto
intellettualmente e astrattamente dall’avanguardia ai lavoratori;
l’operaio non è oggetto di studio e di intervento dei comunisti, semmai
soggetto, esattamente come loro. Egli si dedica quindi a una ricerca sul
campo circa le reali condizioni e aspirazioni operaie e contadine,
impegnandosi affinché fossero essi stessi a raccontarsi e ad esprimere
la loro realtà, negli anni in cui la sinistra ufficiale maturava invece
quel distacco reale dalla classe di cui ancora oggi si vedono le
conseguenze. Ne saranno risultato opere come Milano Corea. Inchiesta
sugli immigrati (1960, con Franco Alasia), Autobiografie alla leggera
(1961) e Militanti politici di base (1971). Questo attivismo in cui
l’agitazione politica e l’inchiesta diventano una cosa sola costituirà
il nocciolo della pratica che verrà battezzata “con-ricerca” da Romano
Alquati e, assieme alle analisi fortemente anticonformiste della
soggettività operaia di Raniero Panzieri, apriranno la strada alla
grande stagione dell’operaismo italiano che, mettendo al centro la
classe e il suo conflitto reale contro l’accumulazione capitalistica
(anche e soprattutto al di fuori dagli orizzonti del partito e del
sindacato), imporrà all’attenzione delle nuove generazione il problema
della conquista dell’autonomia operaia.
È qui, a ben vedere, che Gramsci e Montaldi si incontrano: entrambi
hanno dovuto non soltanto vivere la contrapposizione del comunismo alle
forze riformiste o democratiche – o fasciste – ma anche quella tra
classe oppressa e organizzazioni esistenti della sinistra: in
riferimento al tradimento del PSI durante il biennio rosso il primo, e
in relazione al tradimento del PCI con la politica della coesistenza
democratica il secondo. I germi dei loro scritti, come spesso accade,
non hanno ancora prodotto tutta la potenza dei loro frutti (anche a
causa di una loro banalizzazione scolastica, come nel caso di Gramsci, o
della loro espulsione dai circuiti editoriali ed educativi, come nel
caso di Montaldi) nonostante abbiano già influenzato molte generazioni;
lette in prospettiva storica, restano un esempio irrinunciabile di
abnegazione militante e di intelligenza rivoluzionaria.
L’anticonformismo politico e l’autonomia di pensiero di entrambi è
caratterizzata da ciò che il vero comunista sa di dover sempre far
propria, ossia l’attitudine all’eresia, anche rispetto alla propria
stessa tradizione di pensiero.
Per questo tra le righe più potenti di Gramsci resteranno sempre
quelle, splendide, da lui dedicate all’Ottobre Rosso: “La rivoluzione
dei bolscevichi è […] la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx.
Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei
proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in
Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’era capitalistica, si
instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato
potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di
classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I
fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia
della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo
storico […] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale,
non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono
«marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una
dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili”.
Nessuno è come sembra, ma dobbiamo mantenere le apparenze per sopravvivere
martedì 30 aprile 2019
domenica 28 aprile 2019
Estate 1944. Le stragi nazifasciste da non dimenticare ·
E’ in corso una vera e
propria offensiva di recupero del fascismo: dalla spiaggia di Chioggia,
ai campi estivi neo–nazisti, ai manifesti inneggianti alla bontà di
governo di Mussolini.
Più in generale il clima è di allentamento al riguardo dei principi
fondamentali dell’antifascismo, sulle sue ragioni profonde, sulla realtà
storica dei fatti.
Ha contribuito a questa sorta di rilassatezza culturale l’attacco alla
Costituzione tentato nel corso die mesi scorsi e (provvisoriamente?)
respinto con il voto del 4 Dicembre 2016.
Per questi motivi è bene tener viva la memoria, perché senza di essa si
smarrisce l’identità repubblicana dell’Italia: il profondo significato
etico e politico di questa identità conquistata con la lotta.
Queste le ragioni del tentativo di rinnovo del ricordo contenuto in
questo intervento, partendo dalle due stragi–simbolo compiute dai
nazifascisti nell’estate del 1944 a Sant’Anna di Stazzema e a
Marzabotto.
Intervento che si conclude con l’elenco delle 139 stragi compiute su
tutto il territorio nazionale per un totale (secondo l’Atlante delle
stragi nazifasciste in Italia) di circa 23.000 vittime
Sant’Anna di Stazzema
All’inizio dell’agosto 1944 Sant’Anna di Stazzema era stata qualificata
dal comando tedesco come “zona bianca”, ossia una località adatta ad
accogliere sfollati: per questo la popolazione, in quell’estate, aveva
superato le mille unità. Inoltre, sempre in quei giorni, i partigiani
avevano abbandonato la zona senza aver svolto operazioni militari di
particolare entità contro i tedeschi. Nonostante ciò, all’alba del 12
agosto 1944, tre reparti di SS salirono a Sant’Anna, mentre un quarto
chiudeva ogni via di fuga a valle sopra il paese di Valdicastello. Alle
sette il paese era circondato. Quando le SS giunsero a Sant’Anna,
accompagnati da fascisti collaborazionisti che fecero da guide[10], gli
uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati,
mentre donne, vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro
in quanto civili inermi, restarono nelle loro case.
In poco più di mezza giornata vennero uccisi centinaia di civili di cui
solo 350 poterono essere in seguito identificate; tra le vittime 65
erano bambini minori di 10 anni di età. Dai documenti tedeschi peraltro
non è facile ricostruire con precisione gli eventi: in data 12 agosto
1944, il comando della 14ª Armata tedesca comunicò l’effettuazione con
pieno successo di una “operazione contro le bande” da parte di reparti
della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS nella “zona 183”,
dove si trova il territorio del comune di S. Anna di Stazzema; l’ufficio
informazioni del comando tedesco affermò che nell’operazione 270
“banditi” erano stati uccisi, 68 presi prigionieri e 208 “uomini
sospetti” assegnati al lavoro coatto. Una successiva comunicazione dello
stesso ufficio in data 13 agosto precisò che “altri 353 civili
sospettati di connivenza con le bande” erano stati catturati, di cui 209
trasferiti nel campo di raccolta di Lucca
I nazistifascisti rastrellarono i civili, li chiusero nelle stalle o
nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra, bombe a mano,
colpi di rivoltella e altre modalità di stampo terroristico. La vittima
più giovane, Anna Pardini, aveva solo 20 giorni(23 luglio-12 agosto
1944). Gravemente ferita, la rinvenne agonizzante la sorella maggiore
Cesira (Medaglia d’Oro al Merito Civile) miracolosamente superstite, tra
le braccia della madre ormai morta. Morì pochi giorni dopo
nell’ospedale di Valdicastello. Infine, incendi appiccati a più riprese
causarono ulteriori danni a cose e persone.
Non si trattò di rappresaglia (ovvero di un crimine compiuto in risposta
a una determinata azione del nemico): come è emerso dalle indagini
della procura militare di La Spezia, infatti, si trattò di un atto
terroristico premeditato e curato in ogni dettaglio per annientare la
volontà della popolazione, soggiogandola grazie al terrore. L’obiettivo
era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per
rompere ogni collegamento fra i civili e le formazioni partigiane
presenti nella zona.
La ricostruzione degli avvenimenti, l’attribuzione delle responsabilità e
le motivazioni che hanno originato l’Eccidio sono state possibili
grazie al processo svoltosi al Tribunale militare della Spezia,
conclusosi nel 2005 con la condanna all’ergastolo per dieci SS colpevoli
del massacro; sentenza confermata in Appello nel 2006 e ratificata in
Cassazione nel 2007. Nella prima fase processuale si è svolto, grazie al
pubblico ministero Marco de Paolis, un imponente lavoro investigativo,
cui sono seguite le testimonianze in aula di superstiti, di periti
storici e persino di due SS appartenute al battaglione che massacrò
centinaia di persone a Sant’Anna. Fondamentale, nel 1994, anche la
scoperta avvenuta a Roma, negli scantinati di Palazzo Cesi-Gaddi, di un
armadio chiuso e girato con le ante verso il muro, ribattezzato poi
armadio della Vergogna, poiché nascondeva da oltre 40 anni documenti che
sarebbero risultati fondamentali ai fini di una ricerca della verità
storica e giudiziaria sulle stragi nazifasciste in Italia nel secondo
dopoguerra.
Prima dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, nel giugno dello stesso
anno, SS tedesche, affiancate da reparti della X MAS, massacrarono 72
persone a Forno. Il 19 agosto, varcate le Apuane, le SS si spinsero nel
comune di Fivizzano (Massa Carrara), seminando la morte fra le
popolazioni inermi dei villaggi di Valla, Bardine e Vinca,nel comune di
Fivizzano . Nel giro di cinque giorni uccisero oltre 340 persone,
mitragliate, impiccate, financo bruciate con i lanciafiamme.
Nella prima metà di settembre, con il massacro di 33 civili a Pioppetti
di Montemagno, in comune di Camaiore (Lucca), i reparti delle SS
portarono avanti la loro opera nella provincia di Massa Carrara. Sul
fiume Frigido furono fucilati 108 detenuti del campo di concentramento
di Mezzano (Lucca), mentre a Bergiola i nazisti fecero 72 vittime.
MARZABOTTO
Dopo l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema avvenuta il 12 agosto 1944, gli
eccidi nazisti contro i civili sembravano essersi momentaneamente
fermati. Ma il feldmaresciallo Albert Kesselring aveva scoperto che a
Marzabotto agiva con successo la brigata Stella Rossa e voleva dare un
duro colpo a questa organizzazione e ai civili che l’appoggiavano. Già
in precedenza Marzabotto aveva subito delle rappresaglie, ma mai così
gravi come quella dell’autunno 1944.
Capo dell’operazione fu nominato il maggiore Walter Reder, comandante
del 16º battaglione esplorante corazzato (Panzeraufklärungsabteilung)
della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS, sospettato a suo
tempo di essere uno tra gli assassini del cancelliere austriaco
Engelbert Dollfuss. La mattina del 29 settembre, prima di muovere
all’attacco dei partigiani, quattro reparti delle truppe naziste,
comprendenti sia SS che soldati della Wehrmacht, accerchiarono e
rastrellarono una vasta area di territorio compresa tra le valli del
Setta e del Reno, utilizzando anche armamenti pesanti. «Quindi – ricorda
lo scrittore bolognese Federico Zardi – dalle frazioni di Pànico, di
Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe di Salvaro e della periferia
del capoluogo le truppe si mossero all’assalto delle abitazioni, delle
cascine, delle scuole», e fecero terra bruciata di tutto e di tutti.
Nella frazione di Casaglia di Monte Sole la popolazione atterrita si
rifugiò nella chiesa di Santa Maria Assunta, raccogliendosi in
preghiera. Irruppero i tedeschi, uccidendo con una raffica di
mitragliatrice il sacerdote, don Ubaldo Marchioni, e tre anziani. Le
altre persone, raccolte nel cimitero, furono mitragliate: 197 vittime,
di 29 famiglie diverse tra le quali 52 bambini. Fu l’inizio della
strage: ogni località, ogni frazione, ogni casolare fu setacciato dai
soldati nazisti e non fu risparmiato nessuno. La violenza dell’eccidio
fu inusitata: alla fine dell’inverno fu ritrovato sotto la neve il corpo
decapitato del parroco Giovanni Fornasini.
Fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, dopo sei giorni di violenze, il
numero delle vittime civili si presentava spaventoso: circa 770 morti.
Le voci che immediatamente cominciarono a circolare relative all’eccidio
furono negate dalle autorità fasciste della zona e dalla stampa locale
(Il Resto del Carlino), indicandole come diffamatorie; solo dopo la
Liberazione lentamente cominciò a delinearsi l’entità del massacro.
13 giugno, la strage di Niccioleta
Il 13 giugno 1944, i reparti tedeschi e fascisti irruppero a Niccioleta
per punire i suoi abitanti che, come in molte zone del grossetano,
avevano disertato di presentarsi ai posti di polizia fascisti e tedeschi
di Massa Marittima, in seguito ad un manifesto affisso in tutti i
comuni della provincia di Grosseto, firmato da Giorgio Almirante. Sei
minatori (Ettore Sergentoni, con i figli Aldo e Alizzardo, Rinaldo
Baffetti, Bruno Barabissi e Antimo Ghigi) vennero fucilati subito nel
piccolo cortile dietro il forno della dispensa, largo non più di tre
metri. Il minatore Giovanni Gai riuscì a fuggire nella macchia, grazie
ad un attimo di distrazione di un fascista di Porto Santo Stefano,
Aurelio Picchianti, che si stava arrotolando una sigaretta. Altri 150
operai furono portati a Castelnuovo di Val di Cecina, e la sera del 14
giugno, 77 minatori vennero giustiziati sulla strada per Larderello, 21
deportati in Germania e gli altri liberati. In tutto perirono nella
strage 83 operai di Niccioleta. Tra i cadaveri si scoprì tempo a dietro
che c’erano anche i componenti della famoso gruppo partigiano la “Banda
di Ariano”: Gianluca Spinola, Vittorio Vargiu, Franco Stucchi Prinetti e
Francesco Piredda assassinati dai nazifascisti sempre il 14 giugno.
Elenco degli eccidi e delle stragi riconosciute (da Wikipedia)
A
Strage di Acerra
Eccidi dell’alto Reno
B
Eccidio di Barletta
Strage della Benedicta
Eccidio di Bergiola Foscalina
Eccidio della Bettola
Strage della valle del Biois
Massacro di Biscari
Bombardamenti di Foggia del 1943
Eccidio di Borga
Strage di Borgo Ticino
Eccidio di Boves
Eccidio di Braccano
Bus de la Lum
C
Eccidio di Cadè
Strage di Caluso
Strage di Campagnola
Strage del palazzo Comunale di Campi Bisenzio
Strage di Canicattì
Eccidio di Capistrello
Strage di Castello
Strage di Castiglione
Strage di Cavriglia
Eccidio del Colle del Lys
Eccidio di Cravasco
Strage di Cumiana
E
Eccidi di San Ruffillo
Eccidio di Santa Giustina in Colle
Eccidio de La Storta
Eccidio dei conti Manzoni
Eccidio dei XV Martiri di Madonna della Pace
Eccidio del Castello dell’Imperatore
Eccidio del Ponte dell’Industria
Eccidio del pozzo Becca
Eccidio dell’Aldriga
Eccidio della caserma Mignone
Eccidio della famiglia Arduino
Eccidio delle Fosse Reatine
Eccidio di Argelato
Eccidio di Bari
Eccidio di Cadibona
Eccidio di Caffè del Doro
Eccidio di Cavazzoli
Eccidio di Cibeno
Eccidio di Civitella
Eccidio di Codevigo
Eccidio di Crespino sul Lamone
Eccidio di Gardena
Eccidio di Guardistallo
Eccidio di Maiano Lavacchio
Eccidio di Malga Bala
Eccidio di Massignano
Eccidio di Monte Manfrei
Eccidio di Monte Sant’Angelo
Eccidio di Pessano
Eccidio di Piavola
Eccidio di Pietralata
Eccidio di Portofino
Eccidio di Pratolungo
Eccidio di San Michele della Fossa
Eccidio di San Piero a Ponti
Eccidio di Schio
Eccidio di Trivellini
Eccidio di Valdagno
Eccidio di Vallarega
Eccidio di Vattaro
Eccidio di via Aldrovandi
Eccidio di Malga Zonta
F
Strage di Falzano
Eccidio dell’aeroporto di Forlì
Strage di Forno
Strage delle Fosse del Frigido
Eccidio di Fragheto
G
Bombardamento di Grosseto
Strage di Grugliasco e Collegno
L
Eccidio di Salussola
Strage di Lasa
Strage di Leonessa
M
Martiri di Fiesole
Martiri ottobrini
Strage di Marzabotto
Strage di Matera
Strage della cartiera di Mignagola
Strage della Missione Strassera
Strage di Monchio, Susano e Costrignano
Eccidio di Montalto
Eccidio di Montemaggio
N
Eccidio di Nola
O
Operazione Ginny
Operazione Piave
Operazione Wallenstein
P
Eccidio di Procchio
Eccidio del Padule di Fucecchio
Strage di Pedescala
Strage di Penetola
Eccidio del Pian del Lot
Eccidio di piazza Tasso
Strage di Piazzale Loreto
Eccidio di Pietransieri
Eccidio di Ponte Cantone
Eccidio del ponte di Ruffio
Strage della Portela
R
Rastrellamenti di Villa d’Ogna
Eccidio della Righetta
Strage di Rionero in Vulture
Eccidio della Romagna
Eccidio di Ronchidoso
Strage di Rovetta
S
Eccidio di San Giacomo Roncole
Strage di San Polo
Eccidio di Sant’Anna di Stazzema
Eccidio di Scalvaia
Strage del collegino di Sesto Fiorentino
Strage di Solcio di Lesa
Eccidio di Soragna
Eccidio di Spino d’Adda
Strage del Duomo di San Miniato
Strage del pane
Strage della caserma di Anghiari
Strage della corriera fantasma
Strage della famiglia Einstein
Strage di Barbania
Strage di Corrubbio
Strage di Costa d’Oneglia
Strage di Gorla
Strage di Oderzo
Strage di San Benedetto del Tronto
Stragi di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme
T
Eccidio di Tavolicci
Eccidio di Testico
Eccidio del Torrazzo
Strage di Treschè Conca
Triangolo della morte (Emilia)
Strage del Turchino
U
Strage di Serra Partucci
V
Eccidio di Valdobbiadene
Eccidio di Vercallo
Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli
Eccidio di Vinca
http://contropiano.org/news/politica-news/2017/08/12/estate-1944-le-stragi-nazifasciste-non-dimenticare-094699?fbclid=IwAR0ypcv8T_o9uUEHrRgHMUtlhFrD2q1ENyloc1n1hniBh7yoPirhaUYc4Ns
28 aprile 1945 viene fucilato benito mussolini
Il 28 aprile 1945 Walter Audisio ufficiale addetto al
Comando generale del CVL, col nome di battaglia di “Colonnello Valerio”,
ricevette l’ordine di recarsi a Dongo, per eseguire la sentenza
capitale decretata dal CVL nei confronti di Benito Mussolini, sulla base
del decreto emesso, il 25 aprile 1945, dal CLN Alta Italia. L’art. 5
del decreto diceva: ” I membri del governo fascista e i gerarchi del
fascismo colpevoli di avere contribuito alla soppressione delle garanzie
costituzionali, d’aver distrutto le libertà popolari, creato il
fascismo, compromessa e tradita la sorte del Paese e d’averlo condotto
all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e, nei casi
meno gravi, con l’ergastolo”.
Sull’esecuzione del capo del fascismo a Giulino di Mezzegra, il Colonnello Valerio ebbe a raccontare:
“… cominciai a leggere il testo della sentenza di condanna a morte del criminale di guerra benito mussolini:
“… cominciai a leggere il testo della sentenza di condanna a morte del criminale di guerra benito mussolini:
“Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontario della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano”. “Credo
che mussolini non abbia nemmeno capito quelle parole: guardava con gli
occhi sbarrati il mitra che puntavo su di lui. La petacci gridò
enfatica: “mussolini non deve morire”. Dico alla petacci che s’era
appoggiata a mussolini: “Togliti di lì se non vuoi morire anche tu“.
La donna capisce subito il significato di quell’anche e si stacca dal
condannato. Quanto a lui, non disse una sola parola: non il nome di un
figlio, non quello della madre, della moglie, non un grido, nulla.
Tremava livido di terrore e balbettava con quelle grosse labbra in convulsione: “Ma…ma…ma…ma signor colonnello. Ma…ma…ma signor colonnello“. “Nemmeno a quella donna che gli saltellava vicino, che si muoveva di qua e di là, disse una sola parola. No: si raccomandava nel modo più vile, per quel suo grosso corpo tremante: solo a quello pensava: a quel grosso corpo appoggiato al muretto”. “(…) Faccio scattare il grilletto ma i colpi non partono. Il mitra si era inceppato. Manovro l’otturatore, ritento il tiro ma l’arma non spara. Passo il mitra a Guido (Aldo Lampredi, ndr.), impugno la pistola: anche la pistola si inceppa. Passo a Guido la rivoltella, afferro il mitra per la canna, aspettandomi, malgrado tutto, una qualunque reazione. Ogni uomo normale avrebbe pensato di difendersi ma mussolini era al di sotto di ogni uomo normale e continuava a balbettare, a tremare, immobile con la bocca semiaperta e le braccia penzoloni. Chiamo a voce alta il Commissario della 52a che viene di corsa a portarmi il suo Mas. Adesso gli sono di fronte, come prima: egli non si è mosso, continua il suo balbettio di invocazione. Vuol salvare solo quel grosso corpo tremante. E su quel corpo scarico cinque colpi“. “Il criminale si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto. Non era ancora morto, gli tirai una seconda raffica di quattro colpi. La petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente, fu colpita e cadde di quarto a terra. mussolini respirava ancora e gli diressi, sempre col Mas, un ultimo colpo al cuore. L’autopsia constatò più tardi che l’ultima pallottola gli aveva troncato netto l’aorta. Erano le 16.10 del 28 aprile 1945“.
Il 29 aprile il suo cadavere viene esposto impiccato a testa in giù,
accanto a quelli della stessa petacci e di altri gerarchi, in piazzale
Loreto a Milano, dove viene lasciato alla disponibilità della folla, che
infierisce sul cadavere. In quello stesso luogo, otto mesi
prima i nazifascisti avevano esposto e dileggiato, quale monito alla
Resistenza italiana, i corpi di quindici Partigiani uccisi : Antonio
Bravin, Giulio Casiraghi, Renzo Del Riccio, Andrea Esposito, Domenico
Fiorani, Umberto Fogagnolo, Giovanni Galimberti, Vittorio Gasparini,
Emidio Mastrodomenico, Angelo Poletti, Salvatore Principato, Andrea
Ragni, Eraldo Soncini, Libero Temolo e Vitale VertematiTremava livido di terrore e balbettava con quelle grosse labbra in convulsione: “Ma…ma…ma…ma signor colonnello. Ma…ma…ma signor colonnello“. “Nemmeno a quella donna che gli saltellava vicino, che si muoveva di qua e di là, disse una sola parola. No: si raccomandava nel modo più vile, per quel suo grosso corpo tremante: solo a quello pensava: a quel grosso corpo appoggiato al muretto”. “(…) Faccio scattare il grilletto ma i colpi non partono. Il mitra si era inceppato. Manovro l’otturatore, ritento il tiro ma l’arma non spara. Passo il mitra a Guido (Aldo Lampredi, ndr.), impugno la pistola: anche la pistola si inceppa. Passo a Guido la rivoltella, afferro il mitra per la canna, aspettandomi, malgrado tutto, una qualunque reazione. Ogni uomo normale avrebbe pensato di difendersi ma mussolini era al di sotto di ogni uomo normale e continuava a balbettare, a tremare, immobile con la bocca semiaperta e le braccia penzoloni. Chiamo a voce alta il Commissario della 52a che viene di corsa a portarmi il suo Mas. Adesso gli sono di fronte, come prima: egli non si è mosso, continua il suo balbettio di invocazione. Vuol salvare solo quel grosso corpo tremante. E su quel corpo scarico cinque colpi“. “Il criminale si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto. Non era ancora morto, gli tirai una seconda raffica di quattro colpi. La petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente, fu colpita e cadde di quarto a terra. mussolini respirava ancora e gli diressi, sempre col Mas, un ultimo colpo al cuore. L’autopsia constatò più tardi che l’ultima pallottola gli aveva troncato netto l’aorta. Erano le 16.10 del 28 aprile 1945“.
sabato 27 aprile 2019
27 aprile 1976 Gaetano Amoroso
Gaetano Amoroso, insieme ad altri compagni del Comitato
rivoluzionario antifascista di porta Venezia, fu aggredito e
accoltellato la sera del 27 aprile 1976, in via Uberti, da un gruppo di
fascisti.
Aveva 21 anni, lavorava all’Acfa come disegnatore di fibbie e, studente-lavoratore, di sera frequentava l’ultimo anno del corso serale presso la Scuola artistica del Castello che oggi porta il suo nome.
Era entrato giovanissimo a far parte della lega degli artisti del Vento rosso, organismo di massa del Partito comunista marxista leninista, nella quale aveva trovato il modo di esprimere le sue esigenze politiche e artistiche, dipingendo murales.
Nella fabbrica, in cui lavorava col padre, si era impegnato con altri operai in una autogestione di mesi contro la chiusura della stessa; nel quartiere si batteva contro le speculazioni edilizie, partecipando all’ occupazione della casa di piazza Risorgimento.
La presenza fascista all’interno del quartiere in cui viveva e una forte spinta antifascista dopo l’uccisione di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi lo spinsero a creare ed organizzare, insieme ad altri compagni, il Comitato antifascista di porta Venezia.
Fu a causa del suo impegno democratico e antifascista che, la sera del 27 aprile venne aggredito da un gruppo di noti squadristi (Cavallini, Folli, Cagnani, Pietropaolo, Terenghi, Croce, Frascini, Forcati), tutti provenienti alla sede del Msi di via Guerrini.
Gli otto assassini fascisti furono arrestati poche ore dopo il fatto: l’accusa iniziale di aggressione fu trasformata, quando il 30 aprile Gaetano morì per le ferite subite, in quella di omicidio premeditato e tentato omicidio pluriaggravato, quest’ultima per il ferimento di due compagni di Amoroso.http://www.pernondimenticare.net/chi-siamo/306-gaetano-amoroso
materiali storiciAveva 21 anni, lavorava all’Acfa come disegnatore di fibbie e, studente-lavoratore, di sera frequentava l’ultimo anno del corso serale presso la Scuola artistica del Castello che oggi porta il suo nome.
Era entrato giovanissimo a far parte della lega degli artisti del Vento rosso, organismo di massa del Partito comunista marxista leninista, nella quale aveva trovato il modo di esprimere le sue esigenze politiche e artistiche, dipingendo murales.
Nella fabbrica, in cui lavorava col padre, si era impegnato con altri operai in una autogestione di mesi contro la chiusura della stessa; nel quartiere si batteva contro le speculazioni edilizie, partecipando all’ occupazione della casa di piazza Risorgimento.
La presenza fascista all’interno del quartiere in cui viveva e una forte spinta antifascista dopo l’uccisione di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi lo spinsero a creare ed organizzare, insieme ad altri compagni, il Comitato antifascista di porta Venezia.
Fu a causa del suo impegno democratico e antifascista che, la sera del 27 aprile venne aggredito da un gruppo di noti squadristi (Cavallini, Folli, Cagnani, Pietropaolo, Terenghi, Croce, Frascini, Forcati), tutti provenienti alla sede del Msi di via Guerrini.
Gli otto assassini fascisti furono arrestati poche ore dopo il fatto: l’accusa iniziale di aggressione fu trasformata, quando il 30 aprile Gaetano morì per le ferite subite, in quella di omicidio premeditato e tentato omicidio pluriaggravato, quest’ultima per il ferimento di due compagni di Amoroso.http://www.pernondimenticare.net/chi-siamo/306-gaetano-amoroso
r_lombardia
Striscia di Gaza,15 ragazzini tra i 60 feriti nella Grande Marcia del Ritorno
"Agenzia stampa Infopal - www.infopal.it"
Decine di cittadini palestinesi sono rimasti feriti, venerdì, quando
l’esercito di occupazione israeliano ha aperto pesantemente il fuoco
contro i manifestanti che hanno preso parte alla Grande Marcia del
Ritorno nella Striscia di Gaza.
Portavoce del ministero della Sanità, Ashraf al-Qidra, ha reso noto che 60 palestinesi sono stati feriti dai colpi israeliani, tra cui 15 bambini, un paramedico e un giornalista.
A decine sono rimasti asfissiati dai gas lacrimogeni.
Centinaia di palestinesi hanno manifestato lungo il confine tra la Striscia di Gaza e i territori palestinesi occupati del 1948 nel 56° venerdì della Grande Marcia del Ritorno.
I Palestinesi della Striscia di Gaza hanno lanciato la Grande Marcia del Ritorno il 30 marzo 2018 per chiedere il ritorno dei rifugiati nelle loro terre e case la fine del blocco di 13 anni sull’enclave.
Dall’inizio delle proteste, l’esercito israeliano ha ucciso 284 palestinesi e ha ferito oltre 32.000 altri.
Portavoce del ministero della Sanità, Ashraf al-Qidra, ha reso noto che 60 palestinesi sono stati feriti dai colpi israeliani, tra cui 15 bambini, un paramedico e un giornalista.
A decine sono rimasti asfissiati dai gas lacrimogeni.
Centinaia di palestinesi hanno manifestato lungo il confine tra la Striscia di Gaza e i territori palestinesi occupati del 1948 nel 56° venerdì della Grande Marcia del Ritorno.
I Palestinesi della Striscia di Gaza hanno lanciato la Grande Marcia del Ritorno il 30 marzo 2018 per chiedere il ritorno dei rifugiati nelle loro terre e case la fine del blocco di 13 anni sull’enclave.
Dall’inizio delle proteste, l’esercito israeliano ha ucciso 284 palestinesi e ha ferito oltre 32.000 altri.
venerdì 26 aprile 2019
giovedì 25 aprile 2019
mercoledì 24 aprile 2019
martedì 23 aprile 2019
mercoledì 10 aprile 2019
venerdì 5 aprile 2019
SALO’: REVOCARE LA CITTADINANZA ONORARIA A MUSSOLINI NEL COMUNE SIMBOLO DELLA RSI
Il consiglio comunale di Salò sarà chiamato nei prossimi giorni ad esprimersi sulla richiesta di un consigliere di opposizione Stefano Zane a nome della sua lista Scelgo Salò, di revocare la cittadinanza onoraria che il commissario prefettizio con un decreto conferì a Benito Mussolini.
La vicenda assume un particolare risalto
simbolico-politico perchè il comune gardesano è considerato, vedremo se
a torto o a ragione, la capitale della Repubblica sociale italiana,
costituita dal Duce su volere di Hitler dopo l’armistizio firmato dal
Regno d’ Italia con gli Alleati l’8 settembre 1943.
Ma ha senso togliere la cittadinanza
onoraria a Mussolini dopo così tanti decenni e considerato che le
amministrazioni dopo la Liberazione , anche guidate da ex partigiani,
non l’hanno fatto?
Questa discussione potrebbe presto
interessare anche la città di Brescia, dove non è ancora chiaro se il
duce abbia ancora la cittadinanza onoraria datata 1924 o se questa sia
stata cancellata dal sindaco della Liberazione Ghislandi.
Abbiamo sviscerato la questione in una
trasmissione, allargando la riflessione ad altri aspetti: le reazioni
scatenatesi, le attività del Centro studi sulla Repubblica sociale di
Salò e della sezione a questa dedicata del Museo cittadino, Musa; del
rischio che Salò diventi la Predappio del Garda e dell’eredità lasciata
dall’esperienza della Rsi nella zona del lago e nella provincia
bresciana; ci siamo avvalsi dei contributi di Stefano Zane, consigliere comunale con tradizione famigliare partigiana e antifascista; di Antonio Bontempi presidente dell’Anpi medio Garda e di due storici, studiosi del fascismo e della Resistenza: Mimmo Franzinelli e Paolo Corsini, ex sindaco di Brescia Ascolta o scarica
Bologna, 6 aprile. Contro il razzismo di governo: Manifestazione delle/dei migranti
Migranti e richiedenti asilo, donne e uomini, non è più tempo di avere paura. È tempo di manifestare contro il razzismo del governo che ci vuole clandestini e sfruttati. È tempo di scendere in piazza contro la legge Salvini e la sua applicazione:
- Non vogliamo più aspettare mesi per avere risposte dalla commissione territoriale. Non accettiamo dinieghi dopo le persecuzioni e le violenze subite nei paesi di provenienza e durante il viaggio. Non accettiamo dinieghi mentre siamo sfruttati nei magazzini e nelle cooperative, spesso in nero o con contratti brevi tramite agenzie interinali, attraverso tirocini o lavori non pagati.
- Non accettiamo che il permesso di soggiorno sia un ricatto contro le donne migranti che, dopo aver subito violenze lungo il viaggio, sono esposte a molestie nelle strutture d’accoglienza, nelle case, nei magazzini e in altri luoghi di lavoro.
- Non accettiamo che il Comune neghi la residenza: vogliamo avere accesso ai servizi sociali e alla sanità. Non accettiamo la chiusura dei CAS: non vogliamo finire nel centro regionale di via Mattei oppure per strada perché nessuno affitta ai migranti.
- Non accettiamo l’allungamento a quattro anni dei tempi per ottenere la cittadinanza. Non accettiamo che siano concesse sempre meno carte di soggiorno. Rifiutiamo il ricatto della legge Bossi-Fini che impone ogni anno di dimostrare di avere una casa, un lavoro e un reddito sufficiente.
Mentre progetta di aprire nuovi centri di detenzione ed espulsione, questo governo razzista vuole trasformare i richiedenti asilo in forza lavoro usa e getta, senza diritti e con salari sempre più bassi, come i migranti che vivono da anni in questo paese. Per questo vogliamo per tutte e tutti, migranti e richiedenti asilo, un permesso di soggiorno, per muoverci liberamente e costruire una vita migliore!
Per la libertà dei/delle migranti!
Sabato 6 aprile, ore 16
Piazza Nettuno (Piazza Maggiore) – Bologna
Per info e adesioni: coo.migra.bo@gmail.com ; 3275782056
Coordinamento Migranti – Arci Bologna - Asahi Modena – Ass.ne senegalese Chaikh Anta Diop – Ass.ne Guineana dell'Emilia-Romagna - Ass.ne lavoratori marocchini – Ass.ne Eritrea democratica – Ass.ne Sopra i Ponti – Associazione Studenti Migranti UNIBO - Centro di Salute Internazionale e Interculturale - Circolo Anarchico Berneri - Comunità Pakistana Bologna – Diaspora Africana Modena – Diaspora Ivoriana d’Emilia Romagna – Laboratorio Smaschieramenti - Pratello R'Esiste -Scuola Italiano Aprimondo - Si Cobas - Sokos - Unione Sindacale Italiana - Vivere insieme in pari dignità
Simone di Torre Maura
Gli si crea subito una folla intorno, ma lui non si fa intimidire. Nella voce, che trema appena, c'è la consapevolezza di stare andando controcorrente, una corrente fascista e carica di odio che non lo attacca subito forse solo perché stupito della sua giovane età, e del suo coraggio.
Simone ha solo 15 anni e davanti a lui ci sono gli esponenti di Casapound. Siamo a Torre Maura, da ieri sera un campo di battaglia per l'arrivo di 70 famiglie rom ospitati dal centro di accoglienza di via dei Codirossoni.
Casapound è arrivata quasi subito, cavalcando la protesta, alzando cori razzisti e aizzando le persone a dire bestialità come "bruciateli vivi". Bruciare vive quelle famiglie, quei bambini, chiamati 'scimmie' e prese a sassate e sputi. Scene da Medioevo.
Simone ha solo 15 anni, ma il cuore e il cervello maturi al punto da capire dove sta la verità: "questa gente è trattata come merce, nessuno deve essere lasciato indietro".
"È sempre la stessa cosa, quando ti svaligia casa un rom tutti dobbiamo andargli contro, se lo fa un italiano allora stiamo tutti zitti. Si va sempre contro la minoranza, a me non mi sta bene".
Casapound gli risponde, cerca di sminuirlo: "sei uno su cento, solo tu pensi queste cose".
"Almeno io penso" risponde Simone, "almeno io non mi faccio spingere dalle cose vostre per raccattare voti". "E perché" lo aggredisce Casapound, "quelli della tua fazione politica non ci vengono qui?". "Io non ne ho fazione politica, io so de Torre Maura, tu di dove sei?" attacca Simone, che inizia a scaldarsi, prima che una donna lo tiri via, attaccando i giornalisti: "non potete riprenderlo, è minorenne". #torremaura#antifa #apiazzaleloretoceancoraposto#fuckfascism #norazzismo
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