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martedì 4 settembre 2018

4 settembre 1970: Allende, el pueblo te defiende!


E’ il 4 di settembre 1970. La coalizione di sinistra Unidad Popular (che raggruppa Partito Socialista, Partito Radicale, Partito Comunista e Movimento de Acciòn Popular Unitario con l’appoggio esterno di tutti i sindacati) vince le elezioni in Chile. Il candidato si chiama Salvador Allende Gossens. Non è la prima volta che Allende cerca di portare le ragioni dei lavoratori cileni all’interno del palazzo presidenziale de La Moneda. Ma non è necessariamente ovvio che pur avendo la maggioranza di voti si possa andare a ricoprire posti di potere in un paese che ospita una buona fetta di grandi interessi stranieri. USA e non. Così il medico di Valparaiso ha già perso le elezioni del ’58, per il 3 per cento. E quelle del ’64. Questa volta no.
Gli sfidanti sono il conservatore Jorge Alessandri e il democristiano Radomiro Tomic. Allende prende più voti di tutti e il Congresso Nazionale ratifica la sua elezione a presidente. Per il momento Nixon non può farci niente. E’ il primo candidato marxista ad essere eletto democraticamente in un paese del Sudamerica.
La posizione degli Stati Uniti in merito allo svolgersi della legislatura di Unidad Popular, viene ben espressa dal segretario di stato Henry Kissinger durante le elezioni: “L’irresponsabilità di un popolo scellerato che pone le basi per il socialismo, non deve essere tollerata. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati soli a decidere….”. E’ solo questione di tempo, e se Allende vuole modificare fattivamente la situazione del paese deve fare in fretta. Il primo anno di mandato è di instancabile lavoro.
Pur non professando una dottrina socialista delle più radicali il governo Allende riesce in breve a farsi amare dal popolo e odiare da tutti quegli imprenditori, stranieri e cileni, i cui interessi vengono fortemente minati dalle sue politiche. Nazionalizzazione delle miniere di rame, delle principali industrie e dei latifondi di proprietà straniera, riforma agraria, sospensione del pagamento del debito estero, tassa sulle plusvalenze e aumento dei salari di base.
Quello che quasi nessuno può tollerare nelle Americhe e in Europa è che il Chile sia diventato d’un tratto il miglior compagno di Cuba, con cui aveva giurato di chiudere ogni rapporto dal ’62 (siglando, in merito,una dichiarazione dell’Organizzazione degli Stati Americani). I rapporti con Castro e l’URSS si fanno stretti, e sia da La Habana che da Mosca giungono preoccupazioni per l’assenza di una politica di rinnovamento militare da parte del nuovo governo cileno. Allende da parte sua è convinto che il paese riuscirà a far fronte all’embargo e alle intromissioni straniere senza dover riccorrere all’uso della forza.
Il 1973 è l’anno della fine. Il prolungato sciopero dei camioneros, foraggiati dalla CIA, e diversi tentativi di colpo di stato mettono il governo in ginocchio. Il tentativo del presidente è di placare il malcontento dei militari con diversi rimpasti che li includano nel governo. Ma l’11 settembre un golpe militare guidato da Augusto Pinochet, appena nominato generale dallo stesso Allende, pose fine alla via cilena per il socialismo e alla speranza che una rivoluzione potesse ancora darsi per mezzo delle istituzioni dello stato.

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