Nessuno è come sembra, ma dobbiamo mantenere le apparenze per sopravvivere
martedì 4 settembre 2018
Nessun copyright su Stefano Cucchi
Puntuali come le tasse, arrivano le prime minacce contro la proiezione
del film “Sulla mia pelle” la storia degli ultimi 7 giorni di Stefano
Cucchi, ragazzo romano ucciso dai carabinieri il 22 ottobre del 2009
durante la custodia cautelare. Come faremo a proiettare un film ancora
nelle sale? Semplice, la produzione del film ha venduto i diritti anche a
“Netflix”, impresa operante nella distribuzione di contenuti
audiovisivi su internet. Per avere il file basta avere l’account della
piattaforma. Bella contraddizione vendere i diritti sia ai Cinema
d’essai sia ad una multinazionale del Web. Il 12 settembre potrete
decidere se andare al cinema a 5,6,7 €, utilizzare il vostro
abbonamento, oppure partecipare alle tante proiezioni gratuite lanciate
in tutta Italia. Netflix è sbarcata in Italia nel 2015, e oggi ha una
media di 800mila abbonamenti mensili. Molte formule di abbonamento
prevedono la possibilità di installare la piattaforma su più
dispositivi, ergo, milioni di persone nel nostro paese accedono al
servizio “Netflix” a prezzi ben più concorrenziali dei Cinema d’essai.
Useremo questo cortocircuito della distribuzione cinematografica per
riprenderci, senza pagare, il diritto a usufruire di alcune possibilità
che sono concesse solo dietro pagamento, e lo faremo pubblicamente,
mettendoci la faccia e fortunatamente, sembra, con un discreto seguito.
In poche ore nella giornata di giovedì 27 agosto decine di realtà
sociali in Italia hanno lanciato appuntamenti pubblici per vivere
collettivamente la visione del film sulla traumatica morte di Cucchi. La
storia di Stefano è la realtà quotidiana della violenza poliziesca nel
nostro paese, non un thriller holliwoodiano e tanti e tante hanno
sentito, opportunamente, l’esigenza di divulgarlo in ambiti pubblici.
Nella giornata del 31 agosto “Netflix Italia” ha contattato tutti gli
organizzatori per ricordarci che il pagamento del canone mensile non
permette la distribuzione “commerciale” dei prodotti audiovisivi, pena
violazione del copyright e del diritto d’autore. Grazie “Netflix
Italia”! ma già lo sapevamo, la nostra non è una proiezione a scopo
commerciale ma un momento per ricordare la morte di Stefano Cucchi.
Alcune ferite, alcune storie, non sono commerciabili o, almeno, non per
noi. L’amministrazione italiana della piattaforma on-demand ha la faccia
tosta di chiederci denaro o l’annullamento delle proiezioni, quando nel
2017 hanno fatturato “appena” 11.69 MILIARDI di $, con 559 milioni di
utili per 5400 dipendenti. Quanto pagano di tasse? 0,000 €. Oltre a
questi avidi affaristi della “Silicon Valley” siamo stati contattati
dagli “addetti ai lavori” del morente, lo scriviamo con sincero
dispiacere, Cinema d’autore. Ci hanno scritto per sottolineare le
violazioni dei diritti d’autore, tacciandoci di minare i diritti dei
lavoratori e delle lavoratrici del mondo del cinema, sperando di
illuminarci sulle contraddizioni delle nostre azioni. Chiunque abbia
lavorato nell’ambito culturale, dai beni artistici al cinema, passando
per il teatro sa perfettamente che il proprio nemico è il costante
de-finanziamento di qualsivoglia attività culturale. Le condizioni dei
“lavoratori della cultura” sono pessime, votate alla crescente
precarietà, attraverso pratiche di sfruttamento e ricatto che non
conoscono confini di categoria. Biblioteche aperte 6 ore al giorno,
musei il cui ingresso costa spesso due ore del nostro lavoro, teatri e
cinema in stato di abbandono o, laddove resistono, con prezzi non
accessibili. Se si osserva il bilancio del Mibact, (Ministero dei beni e
delle attività culturali e del turismo) vi si nota, che dal 2000 ad
oggi, i fondi sono stati ridotti del 26%, un taglio di 600 milioni di €
tondi tondi (in fondo trovare link bilanci Mibact). I mondi della
cultura e del turismo pesano sul bilancio statale lo 0.19%, ripetiamo
0,19% del PIL. Coloro che sono realmente interessati alla sopravvivenza
del cinema d’autore, creativo, di nicchia, non unicamente votato alla
commercializzazione, dovrebbero, insieme a noi, chiedere e rivendicare
maggiori investimenti. Questi stessi investimenti arrivano invece dalle
multinazionali “cool” alla “Netflix” che vi offre il suo denaro mentre
con gli altri oligopolisti del settore, elimina rapidamente tutto ciò
che non è immediatamente fruibile e commerciabile per un pubblico il più
ampio possibile. Cari amici del cinema d’autore avete sbagliato
bersaglio. Mentre Università, scuola, ricerca, sanità, teatro e cinema
sembrano non contare molto per chi amministra il paese, c’è una voce nel
bilancio statale che non conosce crisi economica, quella della
“difesa”. Nel 2018 si prevedono investimenti per 25 miliardi di € cioè
l’1.4% del Pil. Sedici volte ciò che viene speso per i beni culturali.
Chi sarebbe il problema dei lavoratori e delle lavoratrici del cinema? I
giovani e le giovani che si organizzano per stare in compagnia e vedere
dei film senza dover spendere soldi, che non hanno, oppure le continue
scellerate scelte politiche volte ad arricchire e finanziare le solite
persone nei soliti settori? Chi ci governa preferisce la guerra alla
cultura e ce lo ricorda ogni anno attraverso il bilancio dello Stato e
le tante storie come quella di Stefano.
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