Israele, lo Stato che occupa la Palestina per una superficie che va
ben oltre quella stabilita nella partizione proposta dall’ONU nel
lontano 1948. Israele, lo Stato che per sistematica inosservanza di
decine e decine di Risoluzioni Onu è un Paese fuorilegge sebbene non
venga (per fortuna) bombardato come successo, con benedizione mediatica e
popolare, per altri Paesi. Paesi che magari di Risoluzioni Onu ne
avevano ignorata soltanto una.
Israele, che non subisce sanzione per le sue continue violazioni del Diritto universale umanitario e delle Convenzioni di Ginevra riesce, con un sortilegio basato su complicità e interessi internazionali, a mantenere il suo appellativo di Stato democratico. Aggettivazione che non perderà neanche dopo aver distrutto la ormai famosa “scuola di gomme” costruita dalla ong italiana Vento di Terra nove anni fa. Scuola che è stata oggetto da subito di minacce di demolizione, di confische di strutture ricreative quali altalene e altri giochi asportati addirittura con l’impiego di elicotteri per impedire a 170 bambini l’uso di quanto offerto dalla generosità internazionale.
Israele non perderà neanche questa volta la sua definizione di Stato democratico, per quanto assurdo sia rispetto alla realtà, grazie ad un fantastico gioco di prestigio giuridico-lessicale capace di ipnotizzare i democratici onesti e di fornire materiale narrativo ai suoi valletti mediatici.
Vediamo di cosa si tratta. Prima di tutto va ricordato che Israele – nel più totale silenzio mediatico – demolisce abitualmente strutture scolastiche oltre che abitative nell’Area C. Non solo, ma in particolare nell’Area C, cioè in quella parte di Palestina che la trappola degli accordi di Oslo del 1993 pose “provvisoriamente” sotto giurisdizione israeliana.
La scuola di gomme è riuscita, giustamente, ad attrarre l’attenzione internazionale sia per la tenacia dell’organizzazione che l’ha costruita, sia per l’originalità del progetto basato sul riciclo di vecchi copertoni e senza le fondamenta che, nella crudele e arbitraria prassi israeliana, ne avrebbero decretato l’abbattimento immediato per violazione delle norme ambientali. Non sembri pleonastico precisare che laddove vengono impedite anche minime costruzioni palestinesi lo Stato ebraico costruisce o lascia costruire a coloni (anch’essi fuorilegge ai sensi della legalità internazionale) enormi insediamenti su territorio comunque palestinese.
Ma cerchiamo di capire cosa consente a questo Stato di non perdere il grande scudo protettivo, e finora inossidabile, chiamato democrazia. Israele fa precedere le sue azioni più o meno violente contro il popolo palestinese, la sua terra, i suoi diritti e finanche la vita tout court, sia quando abbattuta in forma di stillicidio sia quando abbattuta per grandi numeri, dalla magica formula democratica della “legge” emanata dalle sue istituzioni.
La demolizione di case, ultimissime quelle del villaggio di Al Walaja vicino Betlemme, come tutte le altre demolizioni e confische di beni palestinesi e come tutte le altre costruzioni illegittime regalate ad ebrei in quanto ebrei su terreno palestinese, sono precedute da decreti, sentenze, o leggi emanate dalla Knesset che, grazie allo scudo giuridico-lessicale costituito dal temine “legale” – normalmente a braccetto con la definizione “sicurezza per Israele” – anestetizza i tanti sinceri democratici rendendoli incapaci di confronti semplici. Uno di questi confronti, solo per parlare dell’Italia, si può avere dando un’occhiata alla “legalità” di un tristissimo periodo storico del secolo scorso.
Se la legalità si fa semplicemente domestica e cozza contro un ben più universale corpo di leggi internazionale, la legge nazionale mantiene la forma di legge pur violando la legittimità del suo contenuto. Anche il Parlamento italiano approvò le leggi razziali del 1937 in violazione dell’eguaglianza con le popolazioni colonizzate, definendole “razze inferiori” e quelle del 1938 contro i cittadini italiani di religione ebraica definendo anch’essi “razza”. Erano “leggi” e pertanto rispettavano quel simulacro detto legalità. Bene, Israele fa regolarmente altrettanto e, come allora le leggi razziali ebbero l’autorevolezza di essere leggi, così ora le discriminanti norme giuridiche di Israele, peraltro all’interno del suo essere Stato fuorilegge in quanto occupante e assediante, hanno l’autorevolezza della forma e tanto basta perché il mondo le accolga e, tutt’al più, tolleri l’organizzazione di petizioni e preghiere affinché il governo israeliano mostri magnanimità nell’applicazione di norme e sentenze che di per sé dovrebbero essere condannate dalla comunità internazionale in quanto illegittime già alla fonte.
Quanto sta succedendo con la demolizione della scuola di gomme del villaggio beduino di Khan Al Akhmar in Cisgiordania e la successiva deportazione della comunità Jahalin che lo abita, è solo l’ultimo esempio di tutto ciò. Demolizione e deportazione sono state decise da molti anni, da quando le istituzioni israeliane hanno stabilito di allargare la colonia (ovviamente illegale) di Ma’ale Addumin unendola ad una colonia più piccola tagliando definitivamente in due la Cisgiordania e impedendo anche solo l’idea della nascita, seppure in forma ridotta, di quello Stato palestinese che la Risoluzione 181 proponeva accanto a quello israeliano.
La decisione – rimandata più volte in seguito a petizioni, richieste di organizzazioni palestinesi ed anche israeliane, la tenacia di Vento di Terra e l’attenzione di parlamentari italiani e di varie nazioni, e i ricorsi alla Corte suprema israeliana – infine è arrivata, e in forma di sentenza definitiva. Sentenza emessa da quella Corte suprema che, assurdamente, è considerata super partes nonostante sia istituzione giuridica dello Stato occupante e quindi, per logica, rappresentante semplicemente quella figura che la saggezza popolare italiana ha affidato a un vecchio adagio, quello che recita “oste com’è il vino? Ottimo direi”. Quindi la Suprema corte israeliana, dopo una farsa pluriennale, ha sentenziato che il villaggio verrà demolito e la scuola di gomme con esso. I 170 bambini che la frequentano, insieme con le loro famiglie verranno deportati, ma il verbo usato è “trasferiti” e le parole hanno un loro perché, verranno deportati in una località generosamente offerta dallo Stato di Israele, ovviamente in territorio palestinese e, addirittura, verranno offerte loro delle tende in modo che con calma possano ricostruirsi le case che Israele demolirà. La zona offerta, con possibile alternativa, è nei pressi di una grande discarica, l’alternativa è invece nei pressi di un impluvio di acque reflue.
Come ricordano i rappresentanti di VdT, la comunità Jahalin è qui da settant’anni, cioè da quando l’esercito israeliano l’ha cacciata dal Neghev dopo la Nakba. Insomma, vessazioni su vessazioni praticate dal democratico Stato di Israele fin dal suo nascere e di cui questa è solo l’ultima in ordine di tempo.
Ricordiamo che Vento di Terra ha fatto e sta facendo ottime cose anche nella Striscia di Gaza e che proprio lì, quattro anni fa, l’IDF distrusse completamente la città dei bambini, un meraviglioso asilo all’avanguardia come sistema educativo nel villaggio beduino di Um al Nasser al nord della Striscia. Fu allora che, nell’operazione dal magico nome “margine protettivo”, in soli 51 giorni Israele uccise qualche migliaio di persone compresi 570 bambini. Però Vento di Terra, con la tenacia che evidentemente ha in comune col popolo palestinese, a Um al Nasser sta portando avanti altri ottimi progetti per le donne e i bambini scampati alla strage del 2014. Le nuove strutture resisteranno solo se Israele, nel suo arbitrio impunito, non avrà “bisogno” di distruggerle e, in quel caso, sappiamo che il mondo assisterà ancora impotente, o ignaro, o consenziente a seconda della narrativa che riuscirà ad essere veicolata dal suo vallettismo mediatico.
Intanto si seguitano a organizzare petizioni, manifestazioni di solidarietà con la popolazione del villaggio a cui partecipano anche sinceri democratici israeliani. La società civile si muove chiedendo che Israele non commetta quest’ennesimo crimine e Vento di Terra sta facendo il possibile perché il crimine non accada. Ma accadrà. Le proteste e le richieste affinché la Corte suprema israeliana modifichi la sua sentenza finale cadranno nel vuoto. Del resto, sarà gioco facile dire che se ci si affida a un tribunale si devono accettare le sue sentenze, e così si darà a Israele la possibilità di definirsi ancora una volta paese democratico il quale, prima di compiere un’azione, si affida al diritto. Che poi sia un diritto domestico e “Cicero pro domo sua” passerà in secondo piano.
Ma forse succederà di peggio. Siccome i luoghi in cui si è stabilito di deportare gli abitanti di Khan al Akhmar sono orrendi e insalubri, probabilmente il governo israeliano ha già pronto un piano B: cambierà luogo offrendo come nuova residenza un ambiente non inquinato e, con l’aiuto di qualche bravo opinion maker, forse si finirà per chiedere che gli abitanti di Khan al Akhmar ringrazino Israele per la sua umana comprensione. Altra operazione che trasformerà un ennesimo crimine israeliano in una prestigiosa medaglia alla generosità.
Nessuno fermerà Israele finché questo Stato sarà utile ai suoi protettori e ai suoi protetti. Pochi diranno la verità, e pochissimi l’hanno già detta. La verità si chiama sviluppo del progetto di annessione di tutta la Palestina storica a danno – tra gli altri – degli abitanti di Khan Al Akhmar, confiscando altra terra palestinese, implementando Ma’ale Addumin e creando un muro invalicabile che spezzi in due la Cisgiordania, portando dentro la Palestina ebrei venuti dalla Russia e dal mondo in genere i quali, cacciando i palestinesi diventeranno israeliani, cittadini della “Grande Israele” o Eretz Israel come vuole il sogno sionista sempre più vicino alla sua realizzazione grazie alle complicità o all’impotenza dei governi e delle istituzioni internazionali.
La petizione di Vento di Terra, che fa appello al Governo italiano alla UE e all’ONU, verrà presentata all’Alto rappresentante per gli Affari Esteri della UE Federica Mogherini. Forse assisteremo a un’ennesima beffa del Diritto internazionale, tuttavia, i cittadini che ancora credono nell’importanza delle istituzioni democratiche sono invitati a firmarla.
La petizione si trova QUI
Israele, che non subisce sanzione per le sue continue violazioni del Diritto universale umanitario e delle Convenzioni di Ginevra riesce, con un sortilegio basato su complicità e interessi internazionali, a mantenere il suo appellativo di Stato democratico. Aggettivazione che non perderà neanche dopo aver distrutto la ormai famosa “scuola di gomme” costruita dalla ong italiana Vento di Terra nove anni fa. Scuola che è stata oggetto da subito di minacce di demolizione, di confische di strutture ricreative quali altalene e altri giochi asportati addirittura con l’impiego di elicotteri per impedire a 170 bambini l’uso di quanto offerto dalla generosità internazionale.
Israele non perderà neanche questa volta la sua definizione di Stato democratico, per quanto assurdo sia rispetto alla realtà, grazie ad un fantastico gioco di prestigio giuridico-lessicale capace di ipnotizzare i democratici onesti e di fornire materiale narrativo ai suoi valletti mediatici.
Vediamo di cosa si tratta. Prima di tutto va ricordato che Israele – nel più totale silenzio mediatico – demolisce abitualmente strutture scolastiche oltre che abitative nell’Area C. Non solo, ma in particolare nell’Area C, cioè in quella parte di Palestina che la trappola degli accordi di Oslo del 1993 pose “provvisoriamente” sotto giurisdizione israeliana.
La scuola di gomme è riuscita, giustamente, ad attrarre l’attenzione internazionale sia per la tenacia dell’organizzazione che l’ha costruita, sia per l’originalità del progetto basato sul riciclo di vecchi copertoni e senza le fondamenta che, nella crudele e arbitraria prassi israeliana, ne avrebbero decretato l’abbattimento immediato per violazione delle norme ambientali. Non sembri pleonastico precisare che laddove vengono impedite anche minime costruzioni palestinesi lo Stato ebraico costruisce o lascia costruire a coloni (anch’essi fuorilegge ai sensi della legalità internazionale) enormi insediamenti su territorio comunque palestinese.
Ma cerchiamo di capire cosa consente a questo Stato di non perdere il grande scudo protettivo, e finora inossidabile, chiamato democrazia. Israele fa precedere le sue azioni più o meno violente contro il popolo palestinese, la sua terra, i suoi diritti e finanche la vita tout court, sia quando abbattuta in forma di stillicidio sia quando abbattuta per grandi numeri, dalla magica formula democratica della “legge” emanata dalle sue istituzioni.
La demolizione di case, ultimissime quelle del villaggio di Al Walaja vicino Betlemme, come tutte le altre demolizioni e confische di beni palestinesi e come tutte le altre costruzioni illegittime regalate ad ebrei in quanto ebrei su terreno palestinese, sono precedute da decreti, sentenze, o leggi emanate dalla Knesset che, grazie allo scudo giuridico-lessicale costituito dal temine “legale” – normalmente a braccetto con la definizione “sicurezza per Israele” – anestetizza i tanti sinceri democratici rendendoli incapaci di confronti semplici. Uno di questi confronti, solo per parlare dell’Italia, si può avere dando un’occhiata alla “legalità” di un tristissimo periodo storico del secolo scorso.
Se la legalità si fa semplicemente domestica e cozza contro un ben più universale corpo di leggi internazionale, la legge nazionale mantiene la forma di legge pur violando la legittimità del suo contenuto. Anche il Parlamento italiano approvò le leggi razziali del 1937 in violazione dell’eguaglianza con le popolazioni colonizzate, definendole “razze inferiori” e quelle del 1938 contro i cittadini italiani di religione ebraica definendo anch’essi “razza”. Erano “leggi” e pertanto rispettavano quel simulacro detto legalità. Bene, Israele fa regolarmente altrettanto e, come allora le leggi razziali ebbero l’autorevolezza di essere leggi, così ora le discriminanti norme giuridiche di Israele, peraltro all’interno del suo essere Stato fuorilegge in quanto occupante e assediante, hanno l’autorevolezza della forma e tanto basta perché il mondo le accolga e, tutt’al più, tolleri l’organizzazione di petizioni e preghiere affinché il governo israeliano mostri magnanimità nell’applicazione di norme e sentenze che di per sé dovrebbero essere condannate dalla comunità internazionale in quanto illegittime già alla fonte.
Quanto sta succedendo con la demolizione della scuola di gomme del villaggio beduino di Khan Al Akhmar in Cisgiordania e la successiva deportazione della comunità Jahalin che lo abita, è solo l’ultimo esempio di tutto ciò. Demolizione e deportazione sono state decise da molti anni, da quando le istituzioni israeliane hanno stabilito di allargare la colonia (ovviamente illegale) di Ma’ale Addumin unendola ad una colonia più piccola tagliando definitivamente in due la Cisgiordania e impedendo anche solo l’idea della nascita, seppure in forma ridotta, di quello Stato palestinese che la Risoluzione 181 proponeva accanto a quello israeliano.
La decisione – rimandata più volte in seguito a petizioni, richieste di organizzazioni palestinesi ed anche israeliane, la tenacia di Vento di Terra e l’attenzione di parlamentari italiani e di varie nazioni, e i ricorsi alla Corte suprema israeliana – infine è arrivata, e in forma di sentenza definitiva. Sentenza emessa da quella Corte suprema che, assurdamente, è considerata super partes nonostante sia istituzione giuridica dello Stato occupante e quindi, per logica, rappresentante semplicemente quella figura che la saggezza popolare italiana ha affidato a un vecchio adagio, quello che recita “oste com’è il vino? Ottimo direi”. Quindi la Suprema corte israeliana, dopo una farsa pluriennale, ha sentenziato che il villaggio verrà demolito e la scuola di gomme con esso. I 170 bambini che la frequentano, insieme con le loro famiglie verranno deportati, ma il verbo usato è “trasferiti” e le parole hanno un loro perché, verranno deportati in una località generosamente offerta dallo Stato di Israele, ovviamente in territorio palestinese e, addirittura, verranno offerte loro delle tende in modo che con calma possano ricostruirsi le case che Israele demolirà. La zona offerta, con possibile alternativa, è nei pressi di una grande discarica, l’alternativa è invece nei pressi di un impluvio di acque reflue.
Come ricordano i rappresentanti di VdT, la comunità Jahalin è qui da settant’anni, cioè da quando l’esercito israeliano l’ha cacciata dal Neghev dopo la Nakba. Insomma, vessazioni su vessazioni praticate dal democratico Stato di Israele fin dal suo nascere e di cui questa è solo l’ultima in ordine di tempo.
Ricordiamo che Vento di Terra ha fatto e sta facendo ottime cose anche nella Striscia di Gaza e che proprio lì, quattro anni fa, l’IDF distrusse completamente la città dei bambini, un meraviglioso asilo all’avanguardia come sistema educativo nel villaggio beduino di Um al Nasser al nord della Striscia. Fu allora che, nell’operazione dal magico nome “margine protettivo”, in soli 51 giorni Israele uccise qualche migliaio di persone compresi 570 bambini. Però Vento di Terra, con la tenacia che evidentemente ha in comune col popolo palestinese, a Um al Nasser sta portando avanti altri ottimi progetti per le donne e i bambini scampati alla strage del 2014. Le nuove strutture resisteranno solo se Israele, nel suo arbitrio impunito, non avrà “bisogno” di distruggerle e, in quel caso, sappiamo che il mondo assisterà ancora impotente, o ignaro, o consenziente a seconda della narrativa che riuscirà ad essere veicolata dal suo vallettismo mediatico.
Intanto si seguitano a organizzare petizioni, manifestazioni di solidarietà con la popolazione del villaggio a cui partecipano anche sinceri democratici israeliani. La società civile si muove chiedendo che Israele non commetta quest’ennesimo crimine e Vento di Terra sta facendo il possibile perché il crimine non accada. Ma accadrà. Le proteste e le richieste affinché la Corte suprema israeliana modifichi la sua sentenza finale cadranno nel vuoto. Del resto, sarà gioco facile dire che se ci si affida a un tribunale si devono accettare le sue sentenze, e così si darà a Israele la possibilità di definirsi ancora una volta paese democratico il quale, prima di compiere un’azione, si affida al diritto. Che poi sia un diritto domestico e “Cicero pro domo sua” passerà in secondo piano.
Ma forse succederà di peggio. Siccome i luoghi in cui si è stabilito di deportare gli abitanti di Khan al Akhmar sono orrendi e insalubri, probabilmente il governo israeliano ha già pronto un piano B: cambierà luogo offrendo come nuova residenza un ambiente non inquinato e, con l’aiuto di qualche bravo opinion maker, forse si finirà per chiedere che gli abitanti di Khan al Akhmar ringrazino Israele per la sua umana comprensione. Altra operazione che trasformerà un ennesimo crimine israeliano in una prestigiosa medaglia alla generosità.
Nessuno fermerà Israele finché questo Stato sarà utile ai suoi protettori e ai suoi protetti. Pochi diranno la verità, e pochissimi l’hanno già detta. La verità si chiama sviluppo del progetto di annessione di tutta la Palestina storica a danno – tra gli altri – degli abitanti di Khan Al Akhmar, confiscando altra terra palestinese, implementando Ma’ale Addumin e creando un muro invalicabile che spezzi in due la Cisgiordania, portando dentro la Palestina ebrei venuti dalla Russia e dal mondo in genere i quali, cacciando i palestinesi diventeranno israeliani, cittadini della “Grande Israele” o Eretz Israel come vuole il sogno sionista sempre più vicino alla sua realizzazione grazie alle complicità o all’impotenza dei governi e delle istituzioni internazionali.
La petizione di Vento di Terra, che fa appello al Governo italiano alla UE e all’ONU, verrà presentata all’Alto rappresentante per gli Affari Esteri della UE Federica Mogherini. Forse assisteremo a un’ennesima beffa del Diritto internazionale, tuttavia, i cittadini che ancora credono nell’importanza delle istituzioni democratiche sono invitati a firmarla.
La petizione si trova QUI
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