Il 28 aprile 1945 Walter Audisio ufficiale addetto al
Comando generale del CVL, col nome di battaglia di “Colonnello Valerio”,
ricevette l’ordine di recarsi a Dongo, per eseguire la sentenza
capitale decretata dal CVL nei confronti di Benito Mussolini, sulla base
del decreto emesso, il 25 aprile 1945, dal CLN Alta Italia. L’art. 5
del decreto diceva: ” I membri del governo fascista e i gerarchi del
fascismo colpevoli di avere contribuito alla soppressione delle garanzie
costituzionali, d’aver distrutto le libertà popolari, creato il
fascismo, compromessa e tradita la sorte del Paese e d’averlo condotto
all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e, nei casi
meno gravi, con l’ergastolo”.
Sull’esecuzione del capo del fascismo a Giulino di Mezzegra, il Colonnello Valerio ebbe a raccontare:
“… cominciai a leggere il testo della sentenza di condanna a morte del criminale di guerra benito mussolini:
“… cominciai a leggere il testo della sentenza di condanna a morte del criminale di guerra benito mussolini:
“Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontario della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano”. “Credo
che mussolini non abbia nemmeno capito quelle parole: guardava con gli
occhi sbarrati il mitra che puntavo su di lui. La petacci gridò
enfatica: “mussolini non deve morire”. Dico alla petacci che s’era
appoggiata a mussolini: “Togliti di lì se non vuoi morire anche tu“.
La donna capisce subito il significato di quell’anche e si stacca dal
condannato. Quanto a lui, non disse una sola parola: non il nome di un
figlio, non quello della madre, della moglie, non un grido, nulla.
Tremava livido di terrore e balbettava con quelle grosse labbra in convulsione: “Ma…ma…ma…ma signor colonnello. Ma…ma…ma signor colonnello“. “Nemmeno a quella donna che gli saltellava vicino, che si muoveva di qua e di là, disse una sola parola. No: si raccomandava nel modo più vile, per quel suo grosso corpo tremante: solo a quello pensava: a quel grosso corpo appoggiato al muretto”. “(…) Faccio scattare il grilletto ma i colpi non partono. Il mitra si era inceppato. Manovro l’otturatore, ritento il tiro ma l’arma non spara. Passo il mitra a Guido (Aldo Lampredi, ndr.), impugno la pistola: anche la pistola si inceppa. Passo a Guido la rivoltella, afferro il mitra per la canna, aspettandomi, malgrado tutto, una qualunque reazione. Ogni uomo normale avrebbe pensato di difendersi ma mussolini era al di sotto di ogni uomo normale e continuava a balbettare, a tremare, immobile con la bocca semiaperta e le braccia penzoloni. Chiamo a voce alta il Commissario della 52a che viene di corsa a portarmi il suo Mas. Adesso gli sono di fronte, come prima: egli non si è mosso, continua il suo balbettio di invocazione. Vuol salvare solo quel grosso corpo tremante. E su quel corpo scarico cinque colpi“. “Il criminale si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto. Non era ancora morto, gli tirai una seconda raffica di quattro colpi. La petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente, fu colpita e cadde di quarto a terra. mussolini respirava ancora e gli diressi, sempre col Mas, un ultimo colpo al cuore. L’autopsia constatò più tardi che l’ultima pallottola gli aveva troncato netto l’aorta. Erano le 16.10 del 28 aprile 1945“.
Il 29 aprile il suo cadavere viene esposto impiccato a testa in giù,
accanto a quelli della stessa petacci e di altri gerarchi, in piazzale
Loreto a Milano, dove viene lasciato alla disponibilità della folla, che
infierisce sul cadavere. In quello stesso luogo, otto mesi
prima i nazifascisti avevano esposto e dileggiato, quale monito alla
Resistenza italiana, i corpi di quindici Partigiani uccisi : Antonio
Bravin, Giulio Casiraghi, Renzo Del Riccio, Andrea Esposito, Domenico
Fiorani, Umberto Fogagnolo, Giovanni Galimberti, Vittorio Gasparini,
Emidio Mastrodomenico, Angelo Poletti, Salvatore Principato, Andrea
Ragni, Eraldo Soncini, Libero Temolo e Vitale VertematiTremava livido di terrore e balbettava con quelle grosse labbra in convulsione: “Ma…ma…ma…ma signor colonnello. Ma…ma…ma signor colonnello“. “Nemmeno a quella donna che gli saltellava vicino, che si muoveva di qua e di là, disse una sola parola. No: si raccomandava nel modo più vile, per quel suo grosso corpo tremante: solo a quello pensava: a quel grosso corpo appoggiato al muretto”. “(…) Faccio scattare il grilletto ma i colpi non partono. Il mitra si era inceppato. Manovro l’otturatore, ritento il tiro ma l’arma non spara. Passo il mitra a Guido (Aldo Lampredi, ndr.), impugno la pistola: anche la pistola si inceppa. Passo a Guido la rivoltella, afferro il mitra per la canna, aspettandomi, malgrado tutto, una qualunque reazione. Ogni uomo normale avrebbe pensato di difendersi ma mussolini era al di sotto di ogni uomo normale e continuava a balbettare, a tremare, immobile con la bocca semiaperta e le braccia penzoloni. Chiamo a voce alta il Commissario della 52a che viene di corsa a portarmi il suo Mas. Adesso gli sono di fronte, come prima: egli non si è mosso, continua il suo balbettio di invocazione. Vuol salvare solo quel grosso corpo tremante. E su quel corpo scarico cinque colpi“. “Il criminale si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto. Non era ancora morto, gli tirai una seconda raffica di quattro colpi. La petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente, fu colpita e cadde di quarto a terra. mussolini respirava ancora e gli diressi, sempre col Mas, un ultimo colpo al cuore. L’autopsia constatò più tardi che l’ultima pallottola gli aveva troncato netto l’aorta. Erano le 16.10 del 28 aprile 1945“.
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