Nessuno è come sembra, ma dobbiamo mantenere le apparenze per sopravvivere
venerdì 13 dicembre 2013
giovedì 12 dicembre 2013
Mi chiamo Massimo e chiedo giustizia
è online e visibile a tutti gratuitamente il documentario "". La messa online del documentario ha la finalità di far conoscere il più possibile la storia di Massimo Casalnuovo, il meccanico ventiduenne morto a Buonabitacolo (SA) cadendo dallo scooter al presunto posto di blocco dei carabinieri la sera del 20 agosto 2011.
Erano le 20 e 30 di due anni fa quando il giovane percorreva senza casco via Grancia evitando l'alt dell'appuntato Francesco Luca Chirichella. Il maresciallo dei carabinieri Giovanni Cunsolo allora si portava al centro della carreggiata per fermare il ragazzo che qualche secondo più tardi cadeva a terra, sbattendo il petto sullo spigolo del muretto del ponte che sovrasta il fiume Peglio.
Erano le 20 e 30 di due anni fa quando il giovane percorreva senza casco via Grancia evitando l'alt dell'appuntato Francesco Luca Chirichella. Il maresciallo dei carabinieri Giovanni Cunsolo allora si portava al centro della carreggiata per fermare il ragazzo che qualche secondo più tardi cadeva a terra, sbattendo il petto sullo spigolo del muretto del ponte che sovrasta il fiume Peglio.
Dopo l'incidente si diffondono due versioni dei fatti totalmente opposte tra loro; quella dell'Arma secondo cui Massimo è caduto dopo avere cercato di investire il maresciallo e ferendolo a un piede, e quella invece di alcuni testimoni secondo cui Massimo ha sbandato a causa del calcio sferrato allo scooter dal maresciallo Cunsolo. All'ospedale di Polla comunque arrivava prima il maresciallo, mentre Massimo moriva in ambulanza.
In 40 minuti il documentario prende in esame tutte le fasi dell'accaduto; dal primo comunicato stampa dell'Arma che incolpava Massimo di avere investito il maresciallo dei carabinieri, all'insurrezione della comunità di Buonabitacolo, le voci di Emilio Risi ed Elia Marchesano testimoni oculari dell'incidente, le istituzioni locali, gli atti di indagine della polizia giudiziaria, le perizie tecniche, fino alla battaglia portata avanti dalla famiglia Casalnuovo in questi due anni, e l'udienza preliminare che lo scorso 5 luglio ha visto assolvere il maresciallo dei carabinieri Giovanni Cunsolo, unico indagato per la morte di Massimo.
In 40 minuti il documentario prende in esame tutte le fasi dell'accaduto; dal primo comunicato stampa dell'Arma che incolpava Massimo di avere investito il maresciallo dei carabinieri, all'insurrezione della comunità di Buonabitacolo, le voci di Emilio Risi ed Elia Marchesano testimoni oculari dell'incidente, le istituzioni locali, gli atti di indagine della polizia giudiziaria, le perizie tecniche, fino alla battaglia portata avanti dalla famiglia Casalnuovo in questi due anni, e l'udienza preliminare che lo scorso 5 luglio ha visto assolvere il maresciallo dei carabinieri Giovanni Cunsolo, unico indagato per la morte di Massimo.
venerdì 6 dicembre 2013
giovedì 5 dicembre 2013
A Torino il collettivo "#Se non con Marta quando?"
A Torino il 4 dicembre, durante la conferenza stampa No Tav, ha parlato Valeria, una compagna di Marta, l'attivista pisana che ha accusato le forze dell'ordine di averla molestata sessualmente durante un fermo, al cantiere Tav di Maddalena di Chiomonte. Valeria racconta la storia di Marta e delle iniziative del collettivo.
mercoledì 4 dicembre 2013
martedì 3 dicembre 2013
Federico Perna, ancora una vittima delle carceri italiane
Il caso di una nuova vittima del sistema carcerario italiano è stato reso pubblico da alcune testate negli ultimi giorni: si tratta di Federico Perna, detenuto di 34 anni morto nel carcere di Poggioreale, a Napoli, lo scorso 9 novembre.
Perna era in carcere da tre anni a scontare una pena cumulativa per reati diversi; fin dall'inizio della sua detenzione è stato sottoposto a continui trasferimenti (Velletri, Cassino, Viterbo, Secondigliano, Benevento e infine Napoli), nonostante fosse affetto da due patologie gravi e diversi medici avessero stabilito che la sua condizione di salute era incompatibile con la detenzione in carcere e che si dovessero quindi trovate delle soluzioni alternative. Nonostante questo, Perna è rimasto prigioniero del carcere di Poggioreale dove veniva sovente imbottito di psicofarmaci e subiva maltrattamenti e vessazioni continui.
Questa condizione viene confermata anche dalla madre di Perna, tramite le lettere che il figlio le inviava chiedendo disperatamente di poter essere sottratto all'inferno carcerario ma soprattutto dallo stato in cui lo trovava quando si recava ai colloqui, riferendo di averlo visto sempre coperto da segni di percosse e poco lucido per i farmaci somministratigli.
Una settimana prima della sua morte Federico Perna aveva denunciato di perdere sangue dalla bocca ormai da diversi giorni ma anche in questo caso la sua richiesta di aiuto è rimasta inascoltata fino a quando il 9 novembre la famiglia è stata informata del suo decesso. Secondo i referti la morte sarebbe avvenuta per un ictus ma la madre ha deciso di portare alla luce il caso di suo figlio, rendendo pubbliche le lettere ricevute negli ultimi tre anni ma soprattutto le foto del cadavere che raccontano una storia ben diversa da quella 'ufficiale' e che mostrano sul corpo di Perna i segni evidenti di pestaggi brutali.
'L'hanno ammazzato di botte' è la denuncia carica di rabbia fatta dalla madre, che dopo anni di richieste inascoltate ora pretende chiarezza e giustizia sul caso del figlio. Sulla vicenda alcuni deputati hanno chiesto un'interrogazione parlamentare, scontrandosi con la secca risposta del sottosegretario Giuseppe Berretta che, senza sapere nulla del caso, ha ritenuto di dover difendere a spada tratta l'operato del personale penitenziario di Poggioreale, affermando che Perna fosse sempre adeguatamente seguito ma rifiutasse le cure. Ancora una volta la sua famiglia dovrà probabilmente scontrarsi con un muro di menzogne e inchieste farsa ma la madre afferma di essere determinata ad andare avanti non solo per suo figlio ma anche perché quanto accaduto non si ripeta su altri detenuti nella sua stessa condizione.
Il caso di Perna riporta infatti alla mente per molti versi quello di Stefano Cucchi ma ci parla più in generale della situazione disumana cui sono sottoposti tantissimi altri detenuti in tutta Italia e degli abusi e delle violenze che tra quelle mura quotidianamente avvengono in totale impunità per mano della divisa di turno.
da InfoAut
domenica 1 dicembre 2013
Iscriviti a:
Post (Atom)