Powered By Blogger

mercoledì 25 luglio 2012

Inail: 2000 Euro all’operaio morto, 18 miliardi allo Stato




L’Italia questo anno avrà il record di morti sul lavoro, in barba ai dati dell’Inail che danno le morti anno dopo anno in diminuzione, come abbiamo spiegato nella nostra inchiesta per L’Espresso “Morti sul lavoro, le cifre vere“. Un paese come il nostro che propone la norma salva-manager, un paese dove Confindustria applaude Espenhahn appena condannato a 16 anni per l’omicidio degli operai nel rogo della Thyssenkrupp, un paese dove i capannoni crollano sopra le teste degli operai in Emilia per una legge antisismica sbagliata. Un paese così valuta la vita di chi lavora come fosse niente.
E lo dimostrano i 1.936 euro e 80 centesimi che l’Inail ha dato a Paola Armellini (sopra nel video), madre di Matteo Armellini, operaio di 31 anni morto sotto il palco di Laura Pausini a Reggio Calabria. Il Direttore generale dell‘Inail, Giuseppe Lucibello spiega che questi soldi: “Non sono un risarcimento ma un anticipo dell’assegno funerario. La retribuzione molto bassa del ragazzo non consente di immaginare risarcimenti consistenti”. Matteo, non avendo moglie e figli e non contribuendo al mantenimento della madre ha diritto al solo rimborso delle spese funerarie.
Eppure, questo dei risarcimenti è un problema ricorrente, come ci spiega l’operaio di Firenze Marco Bazzoni, che da sempre si batte per la sicurezza sul lavoro: “L’Inail ha un tesoretto derivante dagli avanzi di bilancio annuale, che è arrivato alla cifra di ben 18,5 miliardi di euro, depositati in un conto infruttifero del Tesoro. Vengono utilizzati dallo Stato per ripianare i debiti. Questi soldi dovrebbero essere utilizzati per aumentare le rendite da fame agli invalidi sul lavoro, per aumentare le rendite ai superstiti sul lavoro, perché la vita di un operaio non venga più valutata solo 1936,80 euro”. Un paese dove accade questo vale anche meno.

21/07/12 Chiomonte: l'assedio al cantiere!



Il movimento notav lo aveva annunciato che sarebbe stata un'estate di lotta e così è stata. Partiti dal campeggio di Chiomonte e da Giaglione, l'assedio al cantiere, da parte di migliaia di notav, è un tassello importante che si aggiunge ad una stagione di lotta iniziata con il campeggio degli studenti notav.

Migliaia i notav che questa sera hanno assediato il cantiere di Chiomonte. Appena arrivati i notav si sono avvicinati alle reti e le forze dell'ordine hanno cominciato ad usare idranti e lacrimogeni. La risposta del corteo è stata determinata: new jersey e muro di recinzione abbattuti a copli di mazza per svariati metri, torrette faro per illuminare a giorno il cantiere messe fuori uso, pezzi consistenti di reti, non solo tagliate ma buttate giù, permettendo così ai notav di entrare nel cantiere e tenere la posizione per diverso tempo. Il lancio continuo di lacrimogeni da parte delle truppe occupanti a causato un incendio domato dai notav, chiusa l'autostrada nela direzione Bardonecchia - Torino.

"La valle non vi vuole" si gridava mentre si infrangeva il cantiere. Ad un anno di distanza dallo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, il movimento notav continua ad essere presente sul territorio senza farsi spaventare da teoremi giudiziari

Sabrina Ancarola: Io sò Carmela

Sabrina Ancarola: Io sò Carmela: Carmela Cirella aveva 13 anni quando il 15 aprile del 2007 decise di farla finita gettandosi   dal settimo piano di un palazzo del quartiere...

sabato 21 luglio 2012

bentornata rossella

Sindacato di Polizia e fascisti gettano fango su Carlo Giuliani

Sindacato di Polizia e fascisti gettano fango su Carlo Giuliani

Sindacato di Polizia e fascisti gettano fango su Carlo Giuliani
Come sciacalli il Coisp e Forza Nuova approfittano dell'anniversario dell'assassinio di Carlo Giuliani a Genova per farsi pubblicità e diffondere la loro versione dei fatti.
Mentre tutt'Italia ricorda l'uccisione del giovane manifestante Carlo Giuliani da parte delle forze dell'ordine durante la manifestazione contro il G8 di Genova esattamente il 20 luglio del 2001, il sindacato di polizia Coisp ha scelto di far circolare per Genova alcune 'vele' pubblicitarie per pubblicizzare la sua versione dei fatti. Sulla vela che ha fatto più volte il giro di Genova c'é scritto: ''Un estintore come strumento di pace''. ''Consapevoli della nostra funzione di tutela per gli operatori della sicurezza'', scrive il segretario Matteo Bianchi, ''pensiamo che questa nostra iniziativa possa essere tradotta come una verità che e' stata sempre mostrata in parte. Il G8 di Genova non fu solo la scuola Diaz o la caserma di Bolzaneto, ma fu anche Piazza Alimonda dove un carabiniere ha ucciso un giovane che stava attentando alla sua vita''. La classica versione della legittima difesa da parte del carabiniere, che dopo aver subito un processo farsa per l'uccisione di Carlo Giuliani poche settimane fa è stato di nuovo oggetto delle attenzioni della magistratura, ma questa volta per molestie sessuali su minore. “Non possiamo e non dobbiamo accettarlo, nonostante l’ultima sentenza della cassazione abbia messo la parola fine , a tutto quello che è stato il G8 di Genova ,sembra che qualcuno non sia ancora contento e voglia continuare ad oltranza a discreditare l’operato generale delle forze dell’ordine come una vera e propria caccia alle streghe” aveva detto ieri Matteo Bianchi commentando le manifestazioni previste oggi in ricordo del giovane ucciso. Aggiungendo poi, non contento del trattamento di favore riservato alle forze dell'ordine dai tribunali repubblicani non solo per i fatti di Genova dal 2001 ad oggi: ”Il G8 del 2001 difficilmente viene ricordato per le devastazioni ed i saccheggi subiti dalla città e dalla popolazione di Genova che in quei drammatici giorni aveva paura ad uscire di casa ed è per questo che noi nelle giornate di domani e dopodomani faremmo girare per le vie del Comune, una vela pubblicitaria raffigurante le immagini dei “poveri manifestanti” che si sentirono autorizzati a mettere a ferro e fuoco l’intera cittadina danneggiando irreparabilmente beni privati.”
Come se non bastasse, anche i fascisti di Forza nuova, anche loro nel giorno della commemorazione della morte di Carlo Giuliani, hanno deciso di intervenire. Hanno chiesto al sindaco di Genova la rimozione del cippo che ricorda il giovane manifestante che si trova al centro dell'aiuola di piazza Alimonda. Perchè Giuliani, afferma il coordinatore di Forza Nuova del capoluogo ligure Mario Troviso,  ''non può essere di esempio alle nuove generazioni''. A guardare le piazze della Grecia e della Spagna, veramente, sembrerebbe proprio di si.

Rossella Urru atterra in Sardegna e saluta il popolo sardo (20Lug2012)

giovedì 19 luglio 2012

Rosella Urru è tornata in Italia Grazie a tutti, sto bene

Rossella Urru è libera - Samugheo




Rossella Urru è libera: la cooperante italiana è stata liberata insieme ai suoi due compagni spagnoli – Ainhoa Fernandez de Ruincon e Eric Gonyalons – dopo 270 giorni di prigionia trascorsi in mano a un gruppo islamico. La notizia, trapelata ieri nel primo pomeriggio, è stata ufficialmente confermata dal ministro degli esteri Giulio Terzi che ha parlato di una «bellissima notizia» mentre dal Quirinale il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha sottolineato la «gioia e sollievo» dopo aver seguito personalmente la vicenda, mentre a Samugheo, il paese di origine della Urru in Sardegna, le campane che hanno iniziato a suonare a festa. I genitori di Rossella sono immediatamente volati a Roma, alla Farnesina, in attesa dell’arrivo della cooperante che potrebbe arrivare prestissimo.
Rossella Urru è stata liberata in una non precisata località del nord del Mali dopo essere stata rapita, insieme ai suoi due colleghi spagnoli il 23 ottobre scorso nel campo Rabouni, a Tindouf, dove c’è la più grossa comunità di saharawi, gli abitanti dell’ex Sahara spagnolo che non accettano la sovranità marocchina. Il sequestro sarebbe stato opera di un gruppo armato che, durante la notte, fece irruzione nel campo e li prelevò: un’azione che ancora oggi non trova una spiegazione, considerando che colpendo i cooperanti, i terroristi hanno arrecato un danno al popolo saharawi, manifestamente sostenuto dai movimenti islamici. È ancora presto per capire cosa sia realmente accaduto e, soprattutto, cosa realmente si nasconda dietro questo sequestro che ha portato alla ribalta internazionale il Movimento per l’unicità e la jihad nell’Africa occidentale.
Nei mesi scorsi il gruppo terroristico aveva chiesto, per la liberazione di Rossella Urru e di uno dei due cooperanti spagnoli, trenta milioni di euro; dalla trattativa restava escluso l’altro cooperante spagnolo perchè il movimento avrebbe voluto utilizzarlo come merce di scambio nei confronti del governo di Madrid, per ammorbidirne l’intransigenza. Dopo la rinuncia alla richiesta di riscatto, è seguito il silenzio che lasciava pensare a un avvio di trattativa meno “mediatica” con l’utilizzo di mediatori: potrebero essere stati i notabili arabi che, nel nord del Mali islamico, mantengono intatta la loro autorevolezza, a trattare la liberazione di Rossella e dei due cooperanti spagnoli.


mercoledì 18 luglio 2012

Avaaz - Commemoriamo mio figlio: STOP alla tortura di stato!

I poliziotti condannati per aver picchiato e ucciso mio figlio 18enne Federico Aldrovandi non andranno in carcere e sono ancora in servizio. C'è un solo modo per evitare ad altre madri quello che ho dovuto soffrire io: adottare in Italia una legge contro la tortura.

La morte di mio figlio non è un'eccezione: diversi abusi e omicidi commessi dalle forze dell'ordine rimangono impuniti. Ma finalmente possiamo fare qualcosa: alcuni parlamentari si sono uniti al mio appello disperato e hanno chiesto di adottare subito una legge contro la tortura che punirebbe i poliziotti che si macchiano di questi crimini. Per portare a casa il risultato però hanno bisogno di tutti noi.

Oggi è il compleanno di mio figlio e vorrei onorare la sua memoria con il vostro aiuto: insieme possiamo superare le vergognose resistenze ai vertici delle forze dell'ordine e battere gli oppositori che faranno di tutto per affossare la proposta. Ma dobbiamo farlo prima che il Parlamento vada in ferie! Vi chiedo di firmare la petizione per una legge forte che spazzi via l'impunità di stato in Italia e di dirlo a tutti - la consegnerò direttamente nelle mani del Ministro dell'Interno non appena avremo raggiunto le 100.000 firme

Firma Avaaz - Commemoriamo mio figlio: STOP alla tortura di stato!:

'via Blog this'

Santino Fois: morto per 'fatalità' coloniale

Santino Fois: morto per 'fatalità' coloniale
Mentre gli stanno perquisendo la casa alla ricerca di armi, un uomo di 64 anni viene colpito da un infarto. Invece di prestargli le cure necessarie i poliziotti continuano la perquisizione, e l'uomo muore. L'organizzazione sarda A Manca pro s’Indipendentzia lancia un'inchiesta.

La mattina del 6 luglio 2012 moriva a Nugoro Santino Fois. Lollovese, 64 anni, Santino non era impegnato in politica, non era appartenente alla nostra organizzazione, tuttavia è sempre stato un grande amico di molti compagni di a Manca e tante volte ha dato una mano all’organizzazione mettendosi a disposizione nella realizzazione delle iniziative. La sua morte, imprevedibile ed inaspettata, ha gettato tutti nello sconforto. Ma l’accaduto diventa, oltreché umanamente triste, anche politicamente inquietante. Santino è morto infatti a seguito di una perquisizione poliziesca nella sua abitazione. Provati dalla perdita del caro amico, ma determinati nel fare luce su una vicenda troppo sbrigativamente archiviata come “fatalità”, una apposita commissione della nostra organizzazione si è messa al lavoro per costruire delle indagini – le uniche finora svolte – che spieghino come sono andate realmente le cose quella maledetta mattina del 6 luglio.

Sin da subito gli elementi emersi dalla testimonianza delle pochissime persone presenti durante i suoi ultimi istanti si sono rivelati assolutamente inquietanti. Mano a mano che le indagini di A Manca vanno avanti – e non sono tuttavia ancora concluse – lo scenario sembra sempre più mostrare una pesante responsabilità delle Forze d’Occupazione Italiane nella morte di Santino.

Andiamo per ordine:

alle 7.30 circa si presentano a casa di Santino, dopo aver suonato a tutti i campanelli del palazzo, cinque poliziotti (due in divisa e tre in borghese) per eseguire una perquisizione alla ricerca di armi. Tra i cinque che operano in casa e gli otto (tra “catturandi” e scientifica) che stanno nel cortile davanti alla palazzina si contano 13 agenti, senza considerare gli altri due che seguivano l’operazione a distanza. Un po’ troppi forse, considerando che si trattava di un uomo di 64 anni, assolutamente non atletico e con una protesi al ginocchio, residente in una palazzina che ha una sola via d’uscita: quella presidiata da ben otto poliziotti. Appare dunque già nella stessa maniera di porsi, considerando il tipo di reato, la persona da perquisire e il dispiegamento di forze, un eccesso di zelo, se così si può dire. Eppure il capo della squadra mobile di Nugoro, Fabrizio Mustaro, in un’intervista alla stampa rilasciata l’indomani definiva questo vero e proprio assedio come «una normale perquisizione prevista dall’art. 41 Tulps. Una consueta attività preventiva alla ricerca di armi».

In casa inizia la perquisizione, con Santino e la moglie visibilmente agitati, e in assenza di un avvocato. La perquisizione va avanti senza alcun esito, e questo fa andare in escandescenze il poliziotto che coordina, il quale inizia ad urlare ai suoi sottoposti di cercare bene perché deve esserci qualcosa. Sostengono infatti di aver ricevuto una lettera anonima in cui vengono avvisati che la casa di Santino sia “piena di armi”. Invece di tranquillizzarsi perché ha davanti un cittadino che non ha commesso alcun reato, il dirigente si infuria e urla, avvisando con tono minaccioso che a breve sarebbero andati a cercare anche in altri luoghi di pertinenza di Santino, quali la cantina e la casa del fratello.

Nel frattempo Santino, certamente anche a causa del forte stress a cui è sottoposto, inizia a sentirsi male. Nella sua vita Santino ha scontato alcuni anni di carcere, accusato per un sequestro di persona che lui non ha mai commesso, e difatti era stato anche risarcito dallo Stato per l’ingiusta detenzione. Sapeva bene, quindi, che esiste la possibilità di essere incarcerati ingiustamente, e questa eventualità lo preoccupava molto, considerando anche le apprensioni che aveva nei confronti della moglie malata. Pur sapendo di non dover avere niente da temere dal punto di vista della consumazione di un reato, la sua agitazione era dunque ben motivata.

Gli agenti trascurano completamente le sue lamentele che dicono chiaramente di accusare un forte dolore nella parte sinistra del petto. Forse pensano che sia uno stratagemma dell’accusato per distrarli, ma la legge non li autorizza a supporre stratagemmi di fronte a chiari segnali di infarto. Difatti mentre Santino, pallido e sudato, continua ad accusare questi sintomi, anziché chiamare immediatamente un’ambulanza per farlo visitare, pensano bene di intimargli di scendere le scale e andare ad aprirgli la cantina.

Va detto, per inciso, che anche il più inesperto sa bene che è fondamentale, per salvare la vita a un infartuato, evitargli assolutamente qualsiasi movimento e fargli prestare immediatamente le cure. I poliziotti, che vengono preparati tramite corsi di preparazione medica a prestare le prime cure a un infartuato. Loro questo non lo sapevano forse. Decidono quindi, rabbiosi per l’esito negativo della perquisizione domiciliare, non solo di non prestare le cure dovute alla persona in pericolo di vita, ma per giunta di obbligarlo a scendere ben quattro rampe di scale!

Cosa sia successo nel tragitto che da casa sua, tramite le scale, porta alla cantina lo sanno solo i poliziotti. Sta di fatto che quando Santino è giunto davanti alla sua cantina si è accasciato al suolo, perdendo conoscenza. Solo a quel punto gli inquirenti hanno chiamato un’ambulanza, che peraltro è arrivata in pochissimi minuti vista la breve distanza dell’ospedale da casa di Santino. Ma a quel punto il tempo utile era ormai passato, e non certo per responsabilità dell’ambulanza. Mentre Santino moriva loro proseguivano ostinatamente la perquisizione nella sua cantina, alla disperata ricerca di armi. Alla fine la perquisizione ha dato esito negativo: nessun’arma è stata trovata.



Le indagini da parte nostra, come detto, proseguono per fare piena luce sulla vicenda. Nonostante la raccolta di tanti elementi, restano ancora tanti lati oscuri. Resta da capire, ad esempio, perché al Pronto Soccorso del San Francesco di Nugoro non conoscessero l’identità di un cadavere arrivato con un’ambulanza chiamata dalla polizia: infatti gli infermieri chiamavano col cellulare di Santino agli ultimi numeri registrati, chiedendo a chi rispondeva se sapesse chi fosse il proprietario di quel telefono, e chiedendo di andare lì per il riconoscimento del cadavere. Resta da capire, ad esempio, perché non sia stata fatta l’autopsia e chi e perché si sia opposto alla sua esecuzione. Chiunque si sia opposto e per qualsiasi motivo, rispettando le opinioni e i sentimenti dei parenti nel caso sia stato per decisione loro, ha a parer nostro commesso un errore. Da un’autopsia potrebbero emergere chiaramente ulteriori responsabilità da parte dei membri delle Forze d’Occupazione, dato che si potrebbe vedere chiaramente che Santino ha effettuato degli sforzi mentre era sotto infarto, dimostrando quindi la pesante responsabilità dei poliziotti nella sua morte.
Da parte nostra, spingeremo affinché la vicenda non venga coperta dall’impunità del silenzio, anche a costo di far chiedere una riesumazione della salma per verificare questi gravi indizi a carico delle Forze d’Occupazione.

Siamo convinti che Santino Fois non sia morto, come qualcuno molto comodamente voleva far credere, per fatalità.

Chiediamo a tutti presenza, sostegno e partecipazione, affinché questa ennesima storia di soprusi non cada – come tante altre, purtroppo – nel silenzio e nell’impunità.
 
A Manca pro s’Indipendentzia
Santino Fois: morto per 'fatalità' coloniale:

'via Blog this'

martedì 17 luglio 2012

Appello per rimuovere De Gennaro da sottosegretario

Appello per rimuovere De Gennaro da sottosegretario

L’obiettivo dichiarato è quello di sollevare dall’incarico di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni De Gennaro, il capo della polizia all’epoca del G8 di Genova, che avvallò l’assalto alla Diaz.

Si perchè De Gennaro, come ricordano gli “Avvocati Liberi”, gruppo di giuristi promotore dell’appello a Mario Monti, è l’unico che non solo è uscito indenne dal processo giudiziario, ma che è anche stato promosso, andando a ricoprire un incarico di governo. Una vergogna per tutti i cittadini italiani, l’ennesima offesa a tutte le vittime delle violenze di Genova, un affronto ai principi di Giustizia, Democrazia e Libertà scolpiti nella Costituzione della Repubblica Italiana.

Per sottoscrivere l’appello, basta scrivere una e-mail a osservatorio.diritti@tiscali.it

Ma non basta. Non fermiamoci qui. Diffondete questo post, fatelo girare. Twittatelo. Aderite al relativo evento su Facebook (dove potrete trovare anche il testo completo dell’appello) e invitate tutti i vostri amici a fare altrettanto. Più saremo più difficile sarà ignorarci.

Ecco qualche stralcio dell’appello:

Nomi come Diaz, Bolzaneto, le immagini dei pestaggi, della violenza inaudita e immotivata delle forze dell’ordine, sono un’onta indelebile per la nostra Democrazia.

Un’onta che la Giustizia non potrà comunque alleviare.

Le ferite che sono state aperte quel giorno non sono ancora rimarginate.

E non le rimargineranno le condanne in sede penale dei dirigenti funzionari e agenti di Polizia. Non le rimargineranno le condanne del Ministero degli Interni al risarcimento dei danni per le condotte illecite poste in essere dagli appartenenti alle forze di Polizia.

De Gennaro era il capo della Polizia in quei giorni. Era il capo della Polizia durante quella tragedia.

Era il capo di quella Polizia accusata da Amnesty International di aver sospeso i diritti democratici.

A volte, caro Presidente, si può essere responsabili anche senza avere una responsabilità diretta.

A volte si è responsabili di qualcosa anche senza averne la responsabilità giuridica.

All’indomani della sentenza della Cassazione che confermava le condanne inflitte a dirigenti e agenti per i fatti della Diaz, nessuna scusa, nessun mea culpa, da parte del dott. De Gennaro ma solidarietà per i condannati.

Che dei poliziotti costruiscano finte prove per incolpare qualcuno è agghiacciante;

che queste finte prove servano a pestare ragazzi inermi che stanno magari dormendo, la “ macelleria messicana “ come definita da un funzionario di polizia, è ributtante.

Che un sottosegretario, poi, sia pienamente concorde con questa linea di condotta è inquietante.

Le chiediamo, con il rispetto che portiamo per la Sua carica, ma con la fermezza di cittadini italiani, desiderosi di credere di vivere ancora in un Paese democratico, di revocare l’incarico Istituzionale conferito al dott. De Gennaro.

Dovere di Critica
OSSERVATORIO sulla REPRESSIONE: Appello per rimuovere De Gennaro da sottosegretario:

'via Blog this'

venerdì 13 luglio 2012

Frida Kahlo




Frida Kahlo muore il 13 luglio 1954 a Coyoacàn; la causa ufficiale della morte è ''embolia polmonare'', ma si sospetta il suicidio.
13 luglioMagdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón era nata nel 1907 da Carl Wilhelm Kahlo e Matilde Calderón y Gonzalez a Coyoacàn, una delle sedici delegazioni di Città del Messico. Sentendosi profondamente ''figlia'' della rivoluzione messicana del 1910, da sempre sosteneva questa come sua reale data di nascita.
Nonostante fosse affetta da spina bifida (inizialmente scambiata per poliomielite), fin dall'adolescenza Frida manifestò un talento artistico e uno spirito indipendente e passionale riluttante verso ogni convenzione sociale.
A diciassette anni rimase vittima di un incidente stradale tra un autobus su cui viaggiava e un tram, a causa del quale riportò gravi fratture che le segneranno la vita costringendola a numerose operazioni chirurgiche che le sfigureranno il corpo intero. Dimessa dall'ospedale, fu costretta ad anni di riposo nel suo letto di casa con il busto ingessato: è qui che Frida cominciò a leggere libri sul movimento comunista e a dipingere soprattutto autoritratti, grazie a un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto che i genitori le avevano regalato.
Dopo che le fu rimosso il gesso, portò i suoi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore murale dell'epoca che, rimanendo particolarmente colpito dallo stile moderno di Frida, decise di trarla sotto la sua ala e inserirla nella scena politica e culturale messicana.
Frida divenne così un'attivista del partito comunista messicano partecipando a diverse manifestazioni e, nel 1929 sposò Rivera, pur sapendo dei continui tradimenti cui andava incontro. Frida e Diego organizzarono i loro studi e accumularono reperti precolombiani del Messico e collezioni etnografiche nella grande ''Casa Azul'' di Coyoacàn, oggi aperta al pubblico come il Museo Frida Kahlo.
Negli anni successivi al matrimonio Frida si trasferì a New York con il marito, al quale erano stati commissionati alcuni lavori, ma ben presto decise di tornare nella sua città natale, anche a causa di un aborto spontaneo in gravidanza inoltrata causato dell'inadeguatezza del suo fisico.
Nel 1939 Frida e il marito divorziarono per il tradimento di Rivera con la sorella di Frida, per risposarsi di nuovo un anno dopo a San Francisco perché, di fatto, Diego non l'aveva dimenticata e non aveva mai smesso di amarla.
Frida aveva assimilato dal marito uno stile volutamente naif che la portò a dipingere in particolare piccoli autoritratti ispirati all'arte popolare e alle tradizioni precolombiane. La sua chiara intenzione era, ricorrendo a soggetti tratti dalle civiltà native, affermare in maniera inequivocabile la propria identità messicana. Nei suoi ritratti raffigurò inoltre, molto spesso, gli aspetti drammatici della sua vita, il maggiore dei quali fu il grave incidente del 1925. Il rapporto ossessivo con il suo corpo martoriato caratterizzava infatti uno degli aspetti fondamentali della sua arte: creava visioni del corpo femminile non più distorto da uno sguardo maschile.
Nel corso della sua vita Frida ebbe numerosi amanti, di ambo i sessi, tra i quali il rivoluzionario russo Lev Trotskij, il poeta Andrè Breton e la militante comunista e fotografa Tina Modotti.
Pochi anni prima della sua morte le venne amputata la gamba destra, in evidente stato di cancrena. Le ultime parole che scrisse nel suo diario furono:
"Attendo con gioia la mia dipartita. E spero di non tornare mai più."

giovedì 12 luglio 2012

I bambini del Saharawi in vacanza in Emilia-Romagna



Il Presidente dell'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna, Matteo Richetti, accoglie i bambini del Saharawi anche quest'anno in vacanza nella nostra regione. Da Richetti anche un appello per liberare Rossella Urru.

Genova 2001, nomi e cognomi…. da tenere bene in mente #giustiziaG8

Immagine

La preparazione di Genova 2001, la protesta, il dopo G8, sono per molte ragioni il simbolo dell’emersione di punti di vista e di pratiche sociali che hanno segnato la storia di singoli cittadini, di movimenti e pure di media indipendenti.  Di seguito, un articolo che ricostruisce in modo puntuale quanto accaduto negli ultimi anni, partendo dai processi. Non lo leggerete sui «grandi» media.

 
I commenti che sta suscitando la sentenza della cassazione sulla Diaz dimostrano almeno un fatto: il G8 di Genova non si può derubricare a una questione giudiziaria. Ma ora che lo stanno scrivendo anche i maggiori quotidiani italiani c’è un rischio: quello di dare le risposte sbagliate alle tante domande che si stanno ponendo all’attenzione dell’opinione pubblica. E allora tanto vale chiarirne qualcuna e usare nomi e cognomi.
 
 
Intanto sulla famigerata commissione d’inchiesta bocciata durante il governo Prodi. Fu discussa e votata dalla commissione Affari costituzionali il 30 ottobre del 2007. Non passò perché dei 45 membri presenti, votarono in 44: 22 a favore e 22 contro. E dalla maggioranza si sfilarono i radicali e socialisti Cinzia Dato e Angelo Piazza (assenti, ma non rimpiazzati), Carlo Costantini dell’Idv che votò no come Francesco Adenti (Udeur). L’altro Idv Massimo Donadi era assente. Di Pietro giustificò questo voto dicendo che era una commissione a senso unico contro la polizia, Mastella perché non l’aveva visto nel programma dell’Unione (falso: era a pagina 77). Quello che nessun commentatore ha sottolineato è che la differenza la fece il non voto del presidente della commissione: Luciano Violante, allora democratici di sinistra ora Pd. Del resto cosa ne pensasse l’ex presidente della camera era scritto nero su bianco in una intervista a La Stampa del 23 Giugno 2007 nel quale si dichiarava personalmente contrario. E il motivo lo ha spiegato l’editoriale del 9 luglio di Marco Menduni su Il Secolo XIX, unico quotidiano a scriverlo oltre al manifesto. Quella commissione rischiava di mettere in imbarazzo sia il governo di destra che l’opposizione di centrosinistra. Questo perché il G8 a Genova fu deciso sotto il governo D’Alema e gestito dal governo Amato che nominò De Gennaro capo della polizia il 26 maggio del 2000. Il governo Amato ero lo stesso che gestì l’ordine durante il global forum di Napoli (che anticipò quello che avvenne dopo a Genova). Insomma non è solo la destra a dover dare risposte, come chiede Concita De Gregorio su Repubblica. Che poi da quelle parti ci siano state altre connivenze è poco ma sicuro.
 
Uno dei deputati più attivi al G8 fu Filippo Ascierto, ex carabinieri, ovviamente di Alleanza nazionale. Il 5 giugno del 2001 intervistato da Repubblica disse, riferendosi ai manifestanti che stavano preparando il contro vertice di Genova: «Non dormano tranquilli perché noi li andremo a prendere uno per uno». Quando il giornalista chiese a chi si riferisse con il «noi» aggiunse «ho detto andremo perché mi sento ancora un carabiniere». E ancora, è noto che Fini, allora vicepresidente del consiglio, fu personalmente presente a Forte San Giuliano, nella sede operativa dei Carabinieri. Lui disse per portare un saluto istituzionale, peccato che si durò dalle 10 alle 16,30. E tutto questo fu accertato in una sede istituzionale. Già perché prima della commissione d’inchiesta mai nata ci fu una commissione di indagine con tre relazioni finali (una di maggioranza, una di centrosinistra ed una di rifondazione) che a rileggerle oggi contenevano già tutti gli elementi per farsi un’idea di quello che era accaduto facendo delle proposte. Per esempio in quella di Mascia (Prc) si prendeva atto dell’impossibilità di riconoscere gli operatori di polizia in piazza chiedendo l’introduzione di codici identificativi. Cosa che è passata nel dimenticatoio. Per l’opposizione della destra? Difficile crederlo visto che Claudio Giardullo, il segretario del Silp, sindacato di polizia vicino alla Cgil, intervistato l’anno scorso dal manifesto si dichiarava contrario a questo provvedimento («aumenta il rischio del singolo operatore») e perfino all’introduzione del reato di tortura («un messaggio di sfiducia per la polizia»), mentre più di recente Giuseppe Corrado del Sap (vicino alla destra) dichiarava a La Stampa «se lo Stato decidesse in questo senso non ci opporremo in nessun caso». E a proposito del reato di tortura, fu discusso in parlamento nel 2004 con una proposta bipartisan, ma poi si preferì non fare nulla visto che fu approvato a maggioranza un emendamento dell’onorevole Carolina Lussana, della Lega, che definiva tortura solo il comportamento reiterato con il paradosso che che se fosse stato fatto una solva volta o più volte nei confronti di più persone non susisterebbe.
 
Oggi diverse proposte giaciono nei cassetti e del resto cosa ne pensasse uno dei massimi esponenti della Lega fu chiaro nel 2008 quando Repubblica intervistò Roberto Castelli, all’epoca di Genova ministro della giustizia in visita al carcere di Bolzaneto, disse che tenere in piedi le persone per ore non era tortura: perché «i metalmeccanici stanno in piedi otto ore al giorno e non si sentono umiliati e offesi». Per fortuna si può ancora sostenere l’appello sul sito di Amnesty international. Eppure quella non è stata l’unica voce isolata in tutto questo tempo. Il Comitato Verità e Giustizia che oggi chiede le dimissioni di Manganelli e De Gennaro aveva chiesto tutte queste cose sia al presidente della Repubblica Napolitano che ai segretari del centrosinistra Bersani, Di Pietro, Bonelli e Vendola. Risposte? Nessuna. Eppure perfino il procuratore generale di Genova, Luciano Di Noto, aveva chiesto a suo tempo scuse e dimissioni per una situazione che non è certo circoscritta solo alla vicenda Diaz. Uno degli avvocati delle parti civili al processo Diaz, Emanuele Tambuscio, ha calcolato che ci sono altre 9 condanne nella polizia passate in giudicato per falso e calunnia, mentre su altri processi che sono in corso o devono partire incombe la prescrizione.
 
Se su tutti questi fatti oggi abbiamo un po’ di verità non è certo per la maggioranza dei media nazionali che oggi si stracciano le vesti sulle responsabilità della politica. Se i processi sono andati in un certo modo è stato grazie al lavoro di decine di attivisti che con il lavoro del supporto legale hanno fornito materiali audio video agli avvocati delle parti civili e alla magistratura. Oggi tutti quei materiali sono fruibili in rete e hanno smentito tutte le ricostruzioni più mistificatorie sentite in questi anni. Della Diaz abbiamo delle immagini grazie al fatto che le videocamere di Indymedia erano posizione nel palazzo di fronte ed hanno potuto riprendere la scena dell’irruzione che ha smentito le ricostruzioni della polizia (il Tg5 di Mentana lo mandò in onda qualche tempo dopo oscurando il logo del network). Filmati, foto e testimonianze di giornalisti freelance sono stati il racconto in presa diretta che ha prodotto decine di video e di libri ben prima del film Diaz di Vicari e Procacci alimentando un dibattito nel paese taciuto dai tv e giornali se non per qualche cronaca locale che non ha mai raggiunto le prime pagine fino ad oggi. Molte delle informazioni raccolte qui provengono da libri come “Genova nome per nome” di Carlo Gubitosa o “L’eclisse della democrazia” di Lorenzo Guadagnucci e Vittorio Agnoletto che non hanno trovato spazio su giornali blasonati né in trasmisioni come quelle di Fazio, Dandini, ecc. E invece continua l’abitudine, tutta italiana, di riportare commenti piuttosto che fatti.
 
Eppure, anche in queste ore, sarebbe stato troppo chiedere ai giornalisti che ne hanno riportato le parole di Paola Severino, ministro della giustizia, e quelle di Luigi Li Gotti, parlamentare Idv, sulla professionalità dei condannati di spiegare anche sono stati avvocati difensori rispettivamente di Giovanni Luperi, Gilberto Caldarozzi e Francesco Gratteri?
 
Genova non è finita. Venerdì 13 ci sarà la sentenza per 10 ragazzi che rischiano 100 anni di penacomplessivamente in un processo che forse qualcuno vorrebbe far diventare una specie di secondo tempo con pareggio per la vicenda Diaz. Una concezione indecente per chiunque sostenga in buona fede le ragioni dello stato di diritto. In questi giorni un altro tema è stato la richiesta di scuse da parte delle istituzioni. Giuste, certo, ma accettarle o meno riguarda un piano umano ed emotivo che avrebbe meritato parole migliori e gesti più concreti che non si sono visti in questi 11 anni. Alle istituzioni, invece, bisognerà porre un’altra domanda: «Come si potrà evitare altri episodi come Genova per il futuro?». Oggi che la verità ottenuta con il sacrificio di tante persone è diventata anche un pezzo di giustizia, gran parte delle possibilità di trovare risposte dipenderanno dalla capacità di chiedere conto del proprio operato a chi in quei giorni aveva incarichi di responsabilità, a chi ha taciuto pur sapendo e a chi sta ancora tacendo. Non generiche responsabilità politiche, ma chiamandoli per nome e cognome. Altrimenti non avremo alibi se Genova sarà l’ennesima pagina nera della storia di questo paese di un libro che non si vuole chiudere.
 
Marco Trotta da ComuneInfo

Chi controlla il Controllore?




E’ stato denunciato dai carabinieri per resistenza a pubblico ufficiale e rifiuto di fornire generalità il cittadino somalo che ieri sera ha accusato un malore durante un controllo in via Tiburtina attirando l’attenzione di numerosi cittadini che hanno inveito contro i militari. L’uomo è stato dimesso con 15 giorni di prognosi per una contusione alla testa e varie escoriazioni che si è procurato cadendo per terra. Secondo quanto si é appreso, i carabinieri stiamo vagliando le immagini dei video che circolano in rete per appurare eventuali responsabilità di favoreggiamento da parte di alcune persone intervenute e identificarle.
Oggi intorno alle 20 e 30 abbiamo sentito delle grida in Via degli Ausoni. Un ragazzo somalo, rifugiato politico, veniva fermato, strattonato e spintonato da quattro persone scese da una Renault Clio che non si identificano come carabinieri.
Arrivati li abbiamo visto decine di persone che urlavano contro la violenza che stava subendo il ragazzo. I quattro solo dopo alcuni minuti affermano di essere carabinieri. A quel punto arrivano rinforzi, tre volanti da cui altri “Tutori dell’ordine” scendono e cominciano a spintonare chi era li.
Dopo avergli tolto il borsello provano a spingere in auto il ragazzo, ormai ammanettato e in preda al panico, che a quel punto accusa un attacco epilettico molto pesante. Arrivata l’ambulanza che porta il ragazzo in ospedale decine di persone bloccano l’auto dei carabinieri e pretendono la loro identificazione, che avviene solo dopo un’ora e all’arrivo della polizia di stato.
Questi i fatti. Questo è quello che succede in pieno giorno a San Lorenzo. Noi riteniamo inaccettabile quello che è successo oggi.
I problemi del quartiere vengono affrontati dall’ amministrazione cittadina tramite la presenza ossessiva e in questo caso violenta, delle forze dell’ordine.
A nostro avviso San Lorenzo si deve difendere con la cultura, con la condivisione e con la partecipazione e continueremo ad affermalo ancora più forte dopo lo spettacolo indecente e vergognoso a cui molti di noi oggi hanno assistito.
il ragazzo alle 3 di notte è stato rilasciato senza nessun accusa. Ha una prognosi di 15 giorni per trauma cranico ed alcune contusioni.

al poligono di tiro di Cibeno (Carpi), 67 internati politici del Campo di concentramento di Fossoli (MO) furono fucilati dalle SS




Nel poligono di tiro di Cibeno, frazione a circa 3 km a nord di Carpi, furono trucidati il 12 luglio 1944 sessantasette internati politici del campo di concentramento di Fossoli, uomini con le esperienze più varie, di tutte le professioni, di tutte le regioni, dai 16 ai 64 anni.
Condotti sul posto in tre gruppi, furono fucilati sull’orlo di una fossa scavata il giorno prima da internati ebrei. A cose finite, la fossa comune fu colmata e mascherata, e il silenzio cadde sul fatto.
I destinati alla fucilazione erano 71, ma uno, Bernardo Carenini, fu tolto dalla lista dalle stesse SS, Teresio Olivelli si nascose durante la notte e Mario Fasoli ed Eugenio Jemina, del secondo gruppo riuscirono a sfuggire all’esecuzione, ribellandosi e dando inizio a una sollevazione dei condannati. Si noti quante anomalie caretterizzino questa strage, rispetto alle “consuete” rappresaglie naziste cui la si volle accomunare, soprattutto per la segretezza da cui fu circondata.
La stampa dell’Italia liberata diede grande rilievo all’esumazione delle vittime e alle esequie solenni il 24 maggio 1945 nel Duomo di Milano: fu forse il primo momento pubblico in cui popolazione e personalità politiche e militari si fusero unanimi nel compianto e nella condanna.
Eppure a tanta emozione non è seguita giustizia: i processi iniziati sono stati insabbiati, i fascicoli per anni nascosti nel cosiddetto “armadio della vergogna”, la strage stessa, anche se ricordata ogni anno sul luogo dell’eccidio dai familiari e da una manifestazione dell’Amministrazione comunale di Carpi, è sconosciuta al grande pubblico.
Questi i nomi dei fucilati:
  • Achille Andrea
  • Alagna Vincenzo
  • Arosio Enrico
  • Baletti Emilio
  • Balzarini Bruno
  • Barbera Giovanni
  • Bellinp Vincenzo
  • Bertaccini Edo
  • Bertoni Giovanni
  • Biagini Primo
  • Bianchi Carlo
  • Bona Marcello
  • Brenna Ferdinando
  • Broglio Luigi Alberto
  • Caglio Francesco
  • Ten. Carioni Emanuele
  • Carlini Davide
  • Cavallari Brenno
  • Celada Ernesto
  • Ciceri Lino
  • Cocquio Alfonso Marco
  • Colombo Antonio
  • Colombo Bruno
  • Culin Roberto
  • Dal Pozzo Manfredo
  • Dall'Asta Ettore
  • De Grandi Carlo
  • Di Pietro Armando
  • Dolla Enzo
  • Col. Ferrighi Luigi
  • Frigerio Luigi
  • Fugazza Alberto Antonio Fortunato
  • Gambacorti Passerini Antonio
  • Ghelfi Walter
  • Giovanelli Emanuele
  • Guarenti Davide
  • Ingeme Antonio
  • Kulczycki Sas Jerzj
  • Lacerra Felice
  • Lari Pietro
  • Levrino Michele
  • Liberti Bruno
  • Luraghi Luigi
  • Mancini Renato
  • Manzi Antonio
  • Col. Marini Gino
  • Marsilio Nilo
  • Martinelli Arturo
  • Mazzoli Armando
  • Messa Ernesto
  • Minonzio Franco
  • Molari Rino
  • Montini Gino
  • Mormino Pietro
  • Palmero Giuseppe
  • Col. Panceri Ubaldo
  • Pasut Arturo
  • Pompilio Cesare
  • Pozzoli Mario
  • Prina Carlo
  • Renacci Ettore
  • Gen. Robolotti Giuseppe
  • Tassinati Corrado
  • Col. Tirale Napoleone
  • Trebsé Milan
  • Vercesi Galileo
  • Vercesi Luigi

mercoledì 11 luglio 2012

11 luglio 1995 Inizia il massacro di Srebrenica




Nel 17° anniversario del massacro di Srebrenica, 8mila morti, in Bosnia i sopravvissuti hanno camminato di nuovo lungo la strada della morte. Una marcia di 110 km da Srebrenica a Tuzla. È il percorso che fecero nel 1995, sotto i costanti bombardamenti e le imboscate dei soldati serbo-bosniaci.
“Il più antico diritto umano è quello a una degna sepoltura e ad avere una memoria del defunto e dei nostri parenti morti – dice il diplomatico austriaco Valentin Inzko, uno degli amministratori internazionali della Bosnia – Per questo siamo venuti qui a Srebrenica, per esprimere solidarietà a chi è sopravvissuto e alla stessa Srebrenica”.
Lunedì sera al memoriale di Potocari sono arrivate le salme delle 520 vittime identificate quest’anno. Ancora oggi, questa terra continua a restituire ossa umane a cui si deve dare un nome

lunedì 9 luglio 2012

Asturie: scontri tra minatori e polizia, un lavoratore gravemente ferit





La Polizia carica violentemente i lavoratori che cercano di installare una barricata su una autostrada, e poi pesta tre minatori. Uno è stato ricoverato in ospedale in prognosi riservata. Ancora blocchi in tutte le Asturie.
Ancora scontri e repressione nella lotta dei minatori spagnoli contro i tagli del governo Rajoy. Uno dei minatori arrestati oggi stato picchiato così selvaggiamente dai corpi speciali della Guardia Civil che è stato ricoverato in gravi condizioni all’Ospedale Universitario Centrale delle Asturie. Il lavoratore è stato ferito nella località di Olloniego, quando la Polizia in assetto antisommossa è intervenuta contro i lavoratori che intorno alle sette del mattino bloccavano con una barricata incendiata l’autostrada A-66 all’altezza dei tunnel di El Padrun. Dopo averli picchiati i poliziotti hanno arrestato tre minatori. Ma poi uno di loro è stato nuovamente pestato dai poliziotti, dopo l’arresto, ed è stato poi ricoverato in ospedale in prognosi riservata.
I minatori oggi hanno anche interrotto la circolazione sull’autostrada ‘Y’ all’altezza di Lugo de Llanera causando code chilometriche anche se per solo un quarto d’ora.
Blocchi e barricate anche sulla AS-15 all’altezz de La Doriga e sulla N-634 all’altezza di Cornellana.
Intanto i cinque manifestanti arrestati durante gli scontri di venerdì vicino alla miniera di Santiago (ad Aller) sono stati rimessi in libertà oggi dal tribunale di Pola de Lena. Contro di loro il giudice ha emesso una denuncia per disordini e attentato all’autorità (resistenza). I cinque hanno ammesso di aver partecipato alla manifestazione ma affermano di non aver preso parte ai duri scontri tra minatori e agenti in tenuta antisommossa. Solo uno di loro è un minatore, gli altri sono un pensionato, uno studente, un operaio metalmeccanico e un dipendente pubblico. Uno degli accusati ha denunciato di essere stato arrestato dalla Guardia Civil mentre ritornava a casa, lontano da dove si erano svolti i fatti.
Centinaia di altri lavoratori e familiari e attivisti sindacali sono arrivati questa mattina nella località asturiana di Pola per sostenere gli accusati, e per tutta la mattinata la tensione è stata alta.
Gli scontri di venerdì alla miniera di Santiago sono stati tra i più violenti delle ultime settimane di lotta contro le decurtazioni del governo all’industria mineraria spagnola. Un testimone ha raccontato che uno dei responsabili della miniera è stato aggredito dai lavoratori che stavano realizzando i picchetti davanti all’ingresso. E che ad un certo punto i minatori si erano impossessati dei pozzi fino all’inizio delle violentissime cariche degli agenti che hanno obbligato molti manifestanti a rifugiarsi nei tunnel. Molti di loro sono riusciti poi a sfuggire all’arresto scappando dal pozzo ‘San Antonio’, che comunica direttamente con il centro abitato di Santiago.

71 donne uccise da uomini violenti nell'indifferenza delle istituzioni - Il Paese delle donne on line

71 donne uccise da uomini violenti nell’indifferenza

Decine di altre vittime “collaterali” dall’inizio dell’anno


E’ ancora Femminicidio vite spezzate vite cancellate ancora quante? Avevamo parlato di escalation. Quattro donne in tre giorni. Ogni giorno a orrore si aggiunge orrore. Uomini e donne capiscono e rispondono ma non risponde il governo. Perchè? Non possiamo più aspettare. E’ un grave allarme sociale ma chi nelle istituzioni è davvero deciso a fermare il massacro?
stopfemm
La donna uccisa nel Trapanese, Maria Anastasi, di 39 anni, madre di altri tre figli (di 16, 15 e 13 anni) e prossima a partorire il quarto, era scomparsa ieri pomeriggio e l’hanno trovata morta, parzialmente carbonizzata, nelle campagne di Trapani.
Si era allontanato dall’auto in cui viaggiavano insieme e al suo ritorno “non l’ha trovata più” così racconta il marito agli inquirenti, i quali dichiarano di non credergli.
Si parla di ennesima lite per la presenza dell’amante che l’uomo aveva imposto alla famiglia. Ma se fosse vero che cosa autorizza un uomo in questo paese a pensare che ha il diritto e la forza di comportarsi come vuole, come un talebano con il suo arbitrio totale e tollerato dalla sua comunità e dallo Stato?

Forse il fatto che assiste da sempre a comportamenti simili al suo senza che nessuno faccia niente e quindi a essere “strano” sia il comportamento di una donna che non sopporta queste violenze e prevaricazioni quotidiane e che per questo debba essere punita fino alla morte insieme al figlio che sta per nascere?

E’ questo che produce l’escalation a cui assistiamo annichilite tutti i giorni? Perché “non c’è dubbio, è una escalation”, così dicevamo all’inizio di questo terribile anno e ancora dicevamo “è allarme sociale”.
Come sempre, non ci siamo limitate a denunciare.

Abbiamo scritto, già dall’inizio del 2012, alla Ministra Fornero, manifestando la nostra forte preoccupazione e richiedendo un incontro urgente per esporre le nostre proposte per contrastare e prevenire il massacro a cui assistiamo da tempo. Perché si possono fare molte cose per fermarlo.

La ministra Fornero che è anche ministra delle pari opportunità e ha la delega per coordinare le politiche contro la violenza maschile non ha mai risposto. Come non ha mai detto nulla. L’assoluta indifferenza di questo ministro (e per la verità di tutto il Governo, anche di chi firma Appelli contro il femminicidio) a intervenire sul massacro quotidiano di donne a cui stiamo assistendo da mesi non può che lasciarci esterrefatte.

Cosa ha a che vedere un simile atteggiamento da parte di “tecnici europei” con tutte le politiche e le raccomandazioni europee contro la violenza alle donne? L’Europa serve solo per le pensioni e la “riforma del mercato del lavoro”. Sempre per togliere e mai per dare? Dobbiamo prendere atto che ignorare il femminicidio sia sintomo di incapacità ad assolvere il proprio ruolo istituzionale?

Abbiamo proposto a donne di altre associazioni che condividono l’importanza di contrastare e prevenire la violenza e il femminicidio di lavorare insieme per convincere forze politiche e istituzionali a difendere il diritto alla vita e all’integrità delle donne. Ricordiamo che siamo cittadine di questo stato, ma questo stato mostra livelli di complicità con uomini violenti inaccettabili come ha denunciato anche la rapporteur dell’ONU Rashida Manjoo.

Non ci siamo accontentate di aspettare una risposta che non arriva, in molte regioni d’Italia le nostre sedi promuovono azioni forti “Stop Femminicidio”, come a Roma per quattro mesi, ogni lunedì, siamo state anche, con le “Donne sul Ponte”, promotrici e partecipi di azioni-lampo di sensibilizzazione delle cittadine e dei cittadini romani.
Uomini e donne capiscono e rispondono ma non risponde il governo. Perchè? Non possiamo più aspettare. E’ un grave allarme sociale ma chi nelle istituzioni è davvero deciso a fermare il massacro? 

Casa originale dell' articolo 71 donne uccise da uomini violenti nell'indifferenza delle istituzioni - Il Paese delle donne on line:

'via Blog this'

Diaz. 29 “agenti violenti” in servizio #GiustiziaG8‬


Diaz. 29 "agenti violenti" in servizio
G8 2001 Diaz e non solo. Negli altri processi mai rimossi i condannati in via definitiva. Pare che nella polizia italiana essere “pregiudicati” per violenza sia un titolo di merito…

Le dichiarazioni del ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri, le scuse undici anni dopo i fatti del capo della polizia Antonio Manganelli, il pensionamento del capo del dipartimento analisi dell’Aisi Giovanni Luperi e la sostituzione di Francesco Gratteri alla direzione centrale anti-crimine e del capo dello Sco Gilberto Caldarozzi, l’imminente rimozione degli altri dirigenti firmatari dei verbali falsi dopo l’operazione alla scuola, fra cui il capo della squadra mobile de l’Aquila Fabio Ciccimarra (almeno stando alle dichiarazioni che ha rilasciato al Tirreno), potrebbero far pensare a un’immediata applicazione delle pene previste dopo la condanna in Cassazione dei poliziotti presenti alla Diaz nel 2001. Guardando però al passato c’è da dubitare che le sospensioni dagli incarichi pubblici vengano effettivamente applicate a tutti i condannati e che siano irrevocabili. Che cosa succederà di preciso non lo sanno gli avvocati delle parti offese e neppure quelli dei poliziotti. Ad esempio Silvio Romanelli, legale di Canterini e degli uomini del VII nucleo, spiega di non aver idea delle sospensioni o di quanto contribuiranno ai risarcimenti i suoi assistiti, «perché sono questioni disciplinari che riguardano il Viminale». 
All’indomani del G8 si ripetè da più parti che solo a condanne definitive si poteva pensare a un ritiro definitivo di determinati poliziotti. Ma questo della Diaz non è l’unico processo terminato con la Cassazione. Per gli arresti dei manifestanti in piazza Manin che, come venne provato a processo, erano stati fatti accusando falsamente di resistenza dei manifestanti spagnoli, furono condannati a quattro anni di carcere quattro poliziotti il 19 dicembre 2011. Sono stati sospesi dal servizio per sei mesi e sono ancora affidati ai servizi sociali, ma non risulta si siano dimessi. Un altro processo, quello per il calcio al ragazzo minorenne di Ostia, avvenuto non lontano dalla questura ad opera di un gruppo di funzionari della polizia genovese, fra cui l’allora vicecapo della Digos Alessandro Perugini, finì con altre cinque condanne definitive, con pene tra un anno e mezzo e otto mesi (sospese) per falso, calunnia e arresto illegale. Gli imputati non fecero ricorso in Cassazione, forse perché il Viminale voleva evitare una pericolosa condanna in ultimo grado per falso, con la Diaz ancora in ballo. Perciò divenne definitiva la condanna in appello. In quel caso non c’era la pena accessoria della sospensione dagli incarichi, i poliziotti pagarono una piccola pena pecuniaria e sono rimasti ai loro posti visto che Perugini continua ad essere vicequestore ad Alessandria.
Il processo per le violenze avvenute a Bolzaneto deve ancora andare in Cassazione e così inizierà in autunno il processo di primo grado per le dichiarazioni false dell’allora questore di Genova Francesco Colucci, che durante il processo Diaz disse di aver nominato responsabile dell’operazione Murgolo, oltre a dichiarare di avere mandato lui stesso il portavoce del Viminale Sgalla alla scuola Diaz, correggendo la dichiarazione resa prima che Sgalla era stato mandato dal capo della polizia De Gennaro. Questione non di lana caprina, visto che nelle intercettazioni con più interlocutori Colucci dice di aver cambiato la versione come diceva «il capo». Ma, come sappiamo, in Cassazione De Gennaro e l’allora capo della Digos genovese Spartaco Mortola sono usciti innocenti. Poi ci sono altri piccoli strascichi: un dirigente della mobile di Bologna, Luca Cinti, è accusato di falsa testimonianza al processo per i fatti di Manin e perciò è stato rinviato a giudizio. A ottobre si aprirà il processo. Poi ci sono Ledoti e Stranieri, i due dei reparti mobile alla Diaz accusati di falsa testimonianza per le accuse mosse a un manifestante arrestato venerdì 20 luglio 2001: anche in questo caso il primo grado si apre con l’autunno. Infine deve andare in Cassazione un processo contro l’allora capo del VII nucleo Vincenzo Canterini, condannato per falso in Cassazione al processo Diaz per una violenza privata: il gas cs spruzzato in faccio a un paio di manifestanti in corso Torino. «In undici anni abbiamo assistito a sedici condannati per falso e calunnia per i fatti della Diaz (le calunnie erano già prescritte in appello) – dice uno dei legali delle parti offese al processo Diaz, Emanuele Tambuscio – per falso e calunnia ci sono altri quattro poliziotti condannati in via definitiva a Manin, più altri cinque compreso Perugini in via Barabino, altri quattro poliziotti denunciati per falsa testimonianza al processo dei 25. Mi pare un numero preoccupante».
Tra i processi ancora pendenti c’è anche quello contro i dieci manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: la sentenza di Cassazione è attesa per venerdì prossimo. «Premesso che con la sentenza Diaz la magistratura ha dimostrato tra tanti problemi di essere l’ unico pezzo di stato che funziona, c’è un’evidente sproporzione fra le pene – commenta ancora Tambuscio – Alla Diaz nessuno paga col carcere e dall’altra prendono dai dieci ai quindici anni per danneggiamenti. Quindi in Italia c’è da concludere che se spacco le teste prendo tre anni, se spacco una vetrina ne prendo quindici».